lunedì 26 marzo 2012

Tutte le Notti una Stella.





Tutte le notti.
Quando stanco.
Scende la notte.
E tu scendi le scale della tua “anima”.
Dentro la tua notte.
Finalmente spento il giorno.

Tutte le notti.
C’è una piccola stella che ti guarda.
E illumina il tuo riposo.
E illumina e riflette.
Anche se non potrai mai saperlo, vederlo.
Un semplice, sincero:

Ti Amo.


FranzK.

domenica 25 marzo 2012

Il Diavolo nella Tazza.





Una tazza colma di veleno.
Chiusa da un lato.
Dall’altro un sottile foglio di carta.
La rovesci.
E il veleno non esce.
Nulla da fare.
Tensione superficiale di bordo.
E nessuna possibilità.
Per far entrare ossigeno.
E uscire veleno.
Come un diavolo persistente.
Nidificato.

Finisci per affezionarti.
Al tuo veleno.
Al tuo diavolo nella tazza dei tuoi ventricoli.
Appena modellati.
Finisci per sentire tuo quel veleno.
Scambiandolo per amorevole caffèlatte.
Chiuso da un lato.
Per natura.
Quel cilindro.
Di emozioni avvelenate.
Chiuso da un sottile foglio di carta innaturale, dall’altro.

Umida sui bordi.
Di veleno a elevato punto di evaporazione.
Goccioline persistenti.
Di sensi di colpa.
Di abitudini.
Di affezione alla “normalità”.
Di produttori di veleni.
Di madri avvelenate.
Dentro i seni.
Non di latte rilassante.
Ma di false libertà.

Mucche da travaso.
Non di serotonina di buonumore.
Ma di veleno corrosivo.
Alienante.
Di possesso.
L’ossigeno della libertà è colmo d’altro.
Di responsabilità
Di “no”.
Per crescere davvero.
La libertà non è possesso.
Ma distacco.

Di quella piccola membrana.
Appena sollevata dal bordo della tazza colma di veleno, non di latte, solo un poco.
Che lascia entrare ossigeno.
E uscire veleno.
Non tuo.
Rimarranno umide le pareti.
Di diavoli e veleni.
Ma la superficie di scambio diverrà grande.
E  tutto quell’ossigeno.
Le asciugherà.
Nel tempo.
Nella buona stagione calda.

Lasciando solo il meglio della vita.
Pareti pulite e trasparenti.
Da colmare con altro veleno, altri diavoli.
O solo buon latte fresco.
Pieno di ossigeno.
Pieno di vera Libertà.
 

FranzK.

domenica 18 marzo 2012

Sembianze Umane.





Era tempo che l’aveva adocchiata.
Ronzandole intorno freneticamente.
Si era innamorato.
E amava di lei tutto.
Provando anche cocenti passioni …..
L’aveva seguita nei suoi viaggi.
Di nascosto a volte.
Era un timido.
Quanto un sentimentale e passionale vero.
Intrappolato dentro tutta quella sua timidezza.

La prima cosa che lo aveva colpito di lei, erano le sue labbra.
Quello superiore.
Così ben disegnato.
E quello inferiore, allungato e ripiegato con grazia a forma di doccia.
A raccogliere quelle meraviglie.
Quei sei stiletti lunghi e acuminati.
Brillanti come lame sotto i raggi del sole.
Era giovane e matura.
Ancora fresca e integra.
Nella sua verginità.

Quando la osservava le passioni lo rapivano.
A volte fino a fermarsi.
A doversi appoggiare .
I suoi organi sensoriali erano assi più sviluppati.
I suoi in particolare.
E lo sfinimento a volte era così pronunciato da impedirgli anche il nutrimento.
L’assunzione di quei liquidi zuccherini necessari oltre che a sopravvivere, a compensare quel grande dispendio di energie passionali.
Quello zucchero indispensabile.
E , nel suo stato d’animo, ancora di più.

Le lunghe gambe affusolate.
Quel suo addome così filante e snello.
Quei dieci segmenti così ben delineati.
Quelle protrusioni soffici e velate.
Avrebbe desiderato appartenere ai suoi palpi.
Avrebbe desiderato brindare con lei con quel rosso rubino.
Che lei amava così tanto.
La sua vita.
Il suo zucchero necessario.
Che esplosione di fantasie contemplarla nel suo degustare quel rosso rubino.

Lui sapeva la verità.
Sapeva che non avrebbe mai potuto essere l’unico della vita.
Ma quanto desiderio per essere il primo, l’unico possibile per una nuova stirpe.
Non per la stirpe in se ma per la passione che gli bruciava dentro.
Puoi essere timido, riservato ma si sa, ad un certo punto la passione esplode.
E fai cose che non avresti mai pensato di esserne capace.
Gli ronzò intorno per un po', una sera.
E alla fine si propose, diretto, schietto freddo come il cuore che non aveva.
Ma affamato in proporzione al suo apparato digerente.
Alle insistenti pulsioni delle estremità dei suoi tubi malpighiani e della sua spermateca.

Purtroppo come in un racconto  di Shakespeare lei si ritrasse.
Nel tipico atteggiamento di difesa femminile, restituendo un “no”, secco, almeno al suo sistema percettivo.
Povero essere disperato e affranto , bastava conoscere le femmine.
Solo un poco di più di quanto la sua timidezza non gli avesse mai concesso.
Pazienza, autostima, un minimo di egocentrismo e ……… le femmine parlano al contrario, molte di loro lo fanno.
Per autodifesa, per loro natura, bastava aspettare, saper pazientare solo un po'.
Povero essere disperato e destrutturato, con l’addome colmo di tossine, di sofferenza.
Più rosso del rosso rubino del quale lei si nutriva.
Più deluso e disperato di un Romeo.
Più ferito che se fosse stato trafitto da cento stiletti, fuggì.

Fuggì senza meta, senza alcuna destinazione.
Con dentro solo quel dolore lancinante, insopportabile.
Le ombre della sera, le luci della notte, quel buio dentro.
Insopportabile, come un verme che ti mangia da dentro.
Come un acido corrosivo.
Senza antidoto.
Nella confusione di essere corroso da quel dolore, senza più aver controllo di dove e come.
Finì per sbaglio in un locale.
Fumoso e tetro, tavoli disordinati, pavimenti lerci.
E in tutto quel brutto, quel dolore percepì solo un profumo, …… rassicurante, …….. nuovo e antico insieme.

Lei, dopo poco, comprese e comprese non un errore, ma il suo animo, la sua debolezza.
E cominciò a cercarlo, disperata anche lei, non alla ricerca di rosso rubino.
Ma del primo amore perduto e disperato.
Lui, seguiva, ormai solo quel profumo di essenza zuccherine, confuso e frastornato.
E trovò un appoggio, con dentro la medicina, il rimedio.
Una bottiglia di spirito forte, con il collo aperto, lercio ma trasudato di quel liquido speciale.
Iniziò a lambirlo con una certa ripugnanza ma lo lambì.
Più quel liquido percorreva le sue interiora e più il dolore si sopiva, addormentando anche i suoi pensieri.
Non riusciva più a smettere, e la tristezza era divenuta una sorta di strana, confusa euforia.
Lei intanto, morsa dal senso di colpa, girando e girando alfine lo trovò, attaccato a quella propaggine cilindrica e lercia della bottiglia.

Non fece in tempo.
Come in un racconto di Shakespeare, era lì ormai vicina, ma il tempo non fu dalla loro.
Il tempo per vedere solo una rozza mano pelosa acchiappare la bottiglia e versarne il contenuto in un minuscolo bicchiere.
Il tempo di vedere che ormai quasi privo si sensi cadeva anche il suo lui dentro quel minuscolo bicchiere.
L’astante non tardò.
Aveva lo stesso problema.
Cercava consolazione anche lui, per lo stesso motivo, per la stessa sfortunata condizione.
Il tempo vide lei vedere solo il suo lui tracannato dentro la gola di un altro lui.
Con lo stesso dolore, con uguale disperazione.
Da sopire, dimenticare, medicare.

Non preoccupatevi, è solo la sfortunata storia d’amore di due moleste zanzare.
Con sembianze umane......

FranzK.

P.S. liberamente tratto e interpretato da:

venerdì 16 marzo 2012

I Tuoi Occhi.





Ti ho incrociata.
Per le strade della vita.
Quelle più difficili.
Attraversando l’impossibile.
Per un impossibile.
Una follia.
Sei sbucata fuori come uno scoiattolo.
Da quel groviglio di impossibile.
Di caos.
Di selvaggio disordine.

Gli occhi sono dentro.
E guardano dentro.
Un piccolo passaggio aperto.
Oltre il caos.
L’ordine o il disordine dentro.
Gli occhi non tradiscono.
Non ingannano.
Non pretendono.
Non invecchiano.
Stretti passaggi segreti.
Per il dentro.
Isolato dal caos del selvaggio fuori.

Guardami.
Entra in quel minuscolo spiraglio.
Guardami dentro.
Non parlarmi.
Non dirmi di te.
Transita per il mio piccolo vuoto.
Dei miei occhi.
Dentro me.
È aperto per te.

Guardami.
Non ascoltarmi.
Ho dilatato quel piccolo passaggio.
Per farti entrare dentro.
Non ascoltarmi.
Non sentire le mie parole.
Guardami dentro.
Puoi vedere tutto.
Senza parlarmi.
Senza sentire.
Vedi il tuo guardare.
Lascia che io veda il tuo.
Non tradisce.
Non inganna.
Non indaga.
Non pretende.
Non invecchia.

Guardami.
Negli occhi.
Lasciati guardare.
Nei tuoi.
Sapremo non di immagini.
Ma di noi.
Non di pensieri.
Ma di essenze.
Non di vita che muore.
Ma del sempre che persiste.
Non di progetti, non del domani.
Ma di molecole.
Vere.

Guardami.
È l’unico modo per toccarmi.
Lascia acceso un istante.
Il fondo della galleria.
Lascia che ti possa guardare
In silenzio.
La vedi?
La vedo.
La musica dentro.
Non la sento.
Non provare a sentirla.
Trasferiscila.
E basta.
Adesso sappiamo di noi.
Tutto.
Senza inganni.
Senza dubbi.
Senza confusione.
O fraintesi.
Senza tempo.
Che possa cancellare.
Senza spazi.
Senza modifiche.
Senza che possa mai invecchiare.
Quella nostra musica silenziosa.
Quel dipinto senza colori.
Quella poesia senza rime.
Solo molecole vere.
Indelebili.

Guardami.
Ti sto guardando.
Le mie molecole sono tue.
Le tue mie.
Adesso.
Adesso possiamo spegnerci.
Riposarci.
Rassicurarci.
Abbandonarci al sereno.
Di una luce chiara.
Di una musica armonica.
Di un dipinto di emozioni.
Di una poesia solo nostra.

Adesso.

Ci apparteniamo.
Semplicemente.
Senza possedere.
Possederci.
Senza necessità.
Senza alcun pregiudizio.
Dubbio.
Incertezza.
Ansia.
Distanze.
O semplice caos.
Dentro al quale ti ho incontrata.
Attraversando l’impossibile.
Per un impossibile.
Una follia.
Sbucata fuori come uno scoiattolo.
Irrequieto.

C’è solo luce adesso.
Chiara.
Discreta.
Appartenenza.
Non possesso.
Di minuscole molecole.
Luminose.
Salvate dal caos.
Nel nostro dentro.

C’è solo luce con frequenza certa.
Nel nostro dentro.

Nei miei.
Nei tuoi occhi.


FranzK.

mercoledì 14 marzo 2012

Ladri di Vite.






Ancora e ancora.
Di violenza.
Da bestie.
No.
Le bestie non sono violente.
Mai.
Da Uomini.
Perché?
Perché la violenza da uomini?
Perché le bestie possono impazzire.
O avere solo fame.
Gli uomini no.
Né per fame.
Neppure per follia.
Mi riporta a ricordi.
Giovanili.
Di film che non ho potuto vedere.
Allora.
Troppo giovane tra vecchi.
Troppo precoce solo nella testa.
Un maledetto.
Perché in quel film rappresentava.
Lo stupro vero.
La sua vera origine.
La struttura sociale.
Della violenza.

E degli stupratori?
Cosa dire?
Maledetti?
Ma no.
Da “capire”.
Qualche anno al fresco.
Condizionali.
Psicologi.
E via.
Perché cambiare la società?
In fondo uno stupro è come un furto.
Andato male.
Uno che entra nella tua casa.
E non può rubare sentimenti.
Solo lasciare fetidi odori.
Che solo finestre aperte.
E tanto tempo.
Possono far passare.
Povero Pasolini.
Maledetto per la sua “diversità”.
Per me eterosessuale.
Nulla di che.
Che in quel film.
Ha avuto il coraggio.
Di rappresentare l’origine dello stupro.
I quattro poteri che lo favoriscono.
O favoreggiano …..
Favoreggiando i condizionamenti sociali a loro e a suo vantaggio.
Ed è passato lui per “bestia”.
I quattro poteri si sono evoluti.
Nel favore del vento.
Della società dei controvalori e delle speculazioni.
Dei “grandi fratelli”, dei “Facebook”.
Dei “Sanremo”, dei “Superenalotti”.
Delle “veline” , dei modelli certificati da quattro poteri con un unico interesse.
Farti “pensare” come lui.

Salò?
Sodoma?
120 giorni?
Almeno.
Sarebbero già finiti.
Invece no.
Non c’è numero.
Non c’è fine.
Allo stupro.
Alla violenza.
Di uomini su donne.
Di donne su uomini.
Di furti.
Dei propri profumi.
Lasciando solo olezzi.
Insopportabili.
Violenza?
No.
Molto di più.
Furto.
Legalizzato.
Incitato.
Favorito.
Favoreggiato.
Anche solo per il valore di una notizia.
Di un terrore.
Fisico.
Psicologico.
Profondo.
Interiore.

Quattro poteri.
E qualche miliardo di senza pensiero.
Ladri di vite.


FranzK.

P.S. come cantava De Andrè , appena rivisto
.......anche se noi ci crediamo assolti, siamo tutti coinvolti......

martedì 13 marzo 2012

Il Cuore della Notte.





C’è silenzio nella notte.
Dormono le anime.
C’è pace.
Nella mia notte.
Non sento nulla.
Se non me stesso.
Nessun rumore.
Di vita.
Sono libero.
Dalle vibrazioni della vita.
Dormono i cuori.
Liberando la mente.
Dalla stanchezza del giorno.
E c’è pace.
E silenzio.
Di vite.
Di vita.

Dormono le anime.
Dormono la notte.
Sono libero.
Nella sua pace.
Nel suo silenzio.
Come in una preghiera.
Penso.
Senza perturbazioni.
Senza il sentire.
Mentre dormono.
Le anime.
Nella notte.
Il cuore della mia.
Può pulsare.
Libero.
Dal rumore della disperazione.

È il mio destino.
Verrà una notte.
Una di queste.
Non lontano.
A prendere il mio cuore.
Lasciandomi libero.
Di trovare la Verità.


FranzK.

lunedì 12 marzo 2012

L'Uomo nel Mantello.





Sembri un dipinto.
Del ‘600.
Fiammingo.
Vali di più.
Molto di più.
Di un dipinto.
Perché sei vero.

Dentro il mantello.
Non c’è una figura .
Ma un uomo.
Non una posa.
Un modello.
Ma un modello di uomo.
Raro.
Di rara sensibilità.
Intelligenza.
Curiosità.
Conoscenza.

L’uomo nel mantello.
Si pone domande.
Tutti i giorni.
Il mantello ha una sua ragione.
Una risposta.
A tante domande.
È come una melodia.
Venuta bene.
E si pone domande.
Sempre.
Non pretende saggezza.
E potrebbe.
Ma solo domande.
Dentro quel mantello.
Di sorridente tepore.
E sincera curiosità.
Vuole conoscere.
Senza pretendere saggezza.

Dentro quel mantello.
C’è un vero.
Non una copia.
Di uomo.
Che si pone domande.
Senza invecchiare mai.
Senza il saggio dei vecchi saputi.
Senza la loro presunzione.
È un originale.
Fiammingo.
Del ‘600.
Non una copia.
Falsa o falsificata.
Da mercatino delle pulci.
Difficile trovare un vero.
Un originale.
Senza possibilità di copie.

Il mantello nel quale si avvolge.
È la conoscenza di una domanda.
Non presuntuoso sapere.
O contraffatta saggezza.
Non presuntuosa esperienza.
Rivenduta.
Ma solo tepore.
Regalato.
Di una domanda.
Fatta con il cuore tiepido.
Avvolto nel mantello.
Della perpetua giovinezza.
Del sapere.
Dello stupirsi.
Di una risposta.
Solo per un’altra domanda.
E un’altra ancora.
Senza fine.

Un originale.
Fiammingo.
Del ‘600.
Si va da lui per lui.
Per il tepore del suo cuore.
Avvolto nel mantello.
E gli vogliono bene tutti.
A quell’originale.
Senza contraffazione.
Di una semplice.
Perpetua domanda.
Sempre giovane.
Più di un giovane.
Senza la vecchia presunzione di un giovane.
Senza la loro giovane arroganza.
Solo antica giovinezza.
Avvolta nel mantello.
Di una semplice, perpetua domanda.

Con tutto l’onore della tua stima.
Di un vero.
Fiammingo.
Del ‘600.
Giovane.
Come vino novello.
Ma vero.
Come l'essenza d’uva sapientemente maturata.

Con tutto l’impagabile onore della tua stima.
E della tua sincera amicizia.


FranzK.

domenica 11 marzo 2012

Sentire.





Vibrazioni.
Solo vibrazioni.
Di glottidi.
Ugole.
Lingue.
Labbra.
Elementi molli.
Perturbate da segnali.
Neurali.
Da flussi di ossigeno.
Respirato.
Ingoiato.
Emesso.
Respirato bene.
O male.
Vibrazioni differenti.

Secondo Latitudini.
Longitudini.
Differenti.
Da imparare.
Abituare.
Abituare sinapsi.
Duremadri.
Sistemi periferici.

"Sentire" o parlare?

Le parole.
Suoni.
Pronunce.
Significati.
Dizionari.
Glossari.
Sinonimi.
E contrari.
Pennelli forse.
Con setole differenti.
Per dipingere.
Solo pensieri.

O solo per capirsi?
Trasmettere.
Non glossari.
Impossibili.
Ma semplici sensazioni.

Le parole.
Possono musica.
O rumore.
Dipende.
Non dal dire, pronunciare.
Ma dal comprendere, trasmettere.

Parole.
Un misero strumento.
Per un contatto.
Interiore.
Semplice.
Necessario.
Inteso.
Frainteso.
Le parole, i vocaboli non bastano.
Per essere certi.
Che arrivi.
Il messaggio.
Il contatto.

"Sentire" o parlare?

Con le sole parole.
Significati.
Sono solo codici.
Insufficienti.
Per capire.
Per toccare.
Il dentro.
Che le genera.
Per trasmettere.
Nel modo giusto.
Al dentro.
Che deve ricevere.
Un segnale pulito.
Univoco.
Chiaro.

Per un semplice contatto.
Di ……
Segreto.
Ancora un segreto.
Solo parole ancora.
Parole.
Suoni.
O rumori.
Senza glossari.
Univoci.
Solo codici.
Incerti.
Per poter capire.
Capirsi.
“Sentire”.

Il dentro.
Di noi.


FranzK.

sabato 10 marzo 2012

A una Madre.





Ne volevi una squadra.
Di pallacanestro almeno.
Di figli.
Come un desiderio senza fine.
Incolmabile.
E non per riempire vuoti.
Ma per colmare sentimenti già pieni.
Per dar vita a loro.
Attraverso la vita.
Un uomo non potrà mai capire.
Né scrivere giuste parole.
Perché non può, e non conosce.
Ma può saper distinguere.
L’antropologia.
Da una vocazione.
Da un sentimento.
Un’emozione.
Non una necessità.
Molto di più.
Perché dar vita alla vita è anche pericoloso.
Perché può finire prima della tua.
È un rischio.
Come ogni vero sentimento.
Un “per sempre” che ti può abbandonare prima.
Lasciandoti un “per sempre” di solo dolore.
Oltre il dolore di dar vita a una vita.
A una nuova speranza.
A un nuovo amore.
Perché quello che nasce, cresce ed esce è solo un sentimento.
Per sempre.
Un rischio tanto meraviglioso quanto drammatico.
Per sempre.
Non per colmare vuoti.
Ma far straboccare pieni.
Di desideri.
Di “irresponsabili” pulsioni.
Il cuore della vita.
Ancor di più per la tua vita.
Nata madre.
Come un musico nato per la musica
Un poeta per scrivere.
Un pittore per dipingere.
Non si impara.
Si nasce.
Oltre qualsiasi antropologia.
Necessità di stirpi da continuare.
Solo un semplice sentimento.
Che esplodeva dentro.
Almeno a te e per te, ne sono certo.
Ricordo i funerali per i figli perduti.
I tuoi lutti.
Inconsolabili.
Quelli che neppure il tempo ha mai potuto cancellare.
Quelli  che ti sono rimasti dentro.
Per sempre.
Almeno a te.
Ricordo ricerche di compensazione.
Alla tua arte.
Inespressa.
Adozioni.
Accoglienze.
Una madre nata per essere madre.

Ricordo.
Ma voglio tenermi dentro il meglio.
Il tuo pianto.
Di infinita gioia.
Con quella tenera creatura finalmente sul tuo ventre.
Non più dentro, ancora legata a te da quella corda.
Le tenere carezze delle tue mani sul suo corpo.
Quell’esplosione di gioia in pianto.
Che ha fatto piangere tutti.
Anche quelli che non avrebbero dovuto.
Per professione.
Esperienza.
Tengo dentro quel ricordo.
Della tua emozione che ha straboccato quella stanza.
Che ha dimenticato il dolore.
Per quella gioia senza confini.
Le tue mani su quel morbido di tua figlia.
Di tuo figlio.
Il tuo pianto di disperata felicità.
Che non ha lasciato nessuno senza le stesse lacrime di gioia.
La tua.
La gioia di una madre.
Nata madre.


FranzK.

venerdì 9 marzo 2012

Il mio Raggio di Luce.





Candida.
Come un tenue raggio di luce.
Nel buio del mio cuore.
Deviata dal destino.
Direzionata.
Ti stavo aspettando.
Mi stavi aspettando.
Come un bagliore diffuso.
Che potesse scaldare.
I nostri cuori.
Il loro buio.
Candida e dolce.
Come il tepore della primavera.
Calda  e passionale.
Come il luglio più caldo.
Chiara e tersa.
Come la luce dopo un temporale.
Dopo una giornata di vento.
Un raggio di luce.
Naturale.
Il per sempre delle sue frequenze.
Che non possono morire.
Anche dopo la morte.
Il mio raggio di luce.
Il tuo.
Appena curvato.
Per farci incontrare.
Da quale destino?
Quello dell’amore.
Della luce.
Vera.
Non un’illusione ottica.
Non una disonesta lampadina.
Ma un sincero impossibile.
Possibile.
Chiara.
Delicata.
Piena di passione.
Candida.
Oltre le distanze.
Oltre qualsiasi tempo.
Senza parole.
Che possano spiegare.
Quel candido, splendido, incredibile tepore.
O il caldo sincero di un amore vero.


FranzK.

giovedì 8 marzo 2012

Solo un pezzo di Cielo.





Solo un piccolo pezzo di cielo.
Ci divide.
Null’altro.
Un cielo terso o pieno di tempeste.
Il cielo della vita.
Delle sue meraviglie.
Dei suoi dolori.
Divide solo sensi.
Non sensazioni.
Sensi sviluppati.
I minimi per sopravvivere.
Poco più che scimmie.
Forse.
O solo paradisi perduti.
Condanne arcane.
Coercizioni  per essere migliori.
Per attraversare.
Quella minuscola porzione di cielo.
Che ci divide.

Una griglia.
Fitta.
Quella infinitesima molecola di cielo.
Che divide sensi sviluppati.
Periferiche povere.
Da silicon valley.
Che ci costringono ad essere meglio.
A usare la mente.
Le sue plurime intelligenze.
Le sue infinite possibilità.
Una condanna?
O una benedizione?
Che diviene condanna per i suoi fallimenti.
La felicità per i suoi successi.
Per le sue infinite possibilità.
Oltre qualsiasi cielo.
Oltre qualsiasi primordiale senso sviluppato.
Oltre ogni miseria.
Povertà.

Che divide solo sensi.
Arcani.
Non sensazioni.
Sentimenti.
Loro non hanno confini.
Gabbie.
Griglie.
Setacci.
Confinamenti.
Impossibilità.
Possibili come l’infinito possibile del pensiero.
Che deve lavorare.
Al loro servizio.
Per dar loro possibilità.
Ancora più possibili.
Nella sua infinita possibilità.
Di comprendere.
Perché quel piccolo tratto di cielo che ancora ci divide.
Non possa mai più farci paura.

FranzK.

mercoledì 7 marzo 2012

Eminenze Censorie.




Leggo.
La tristezza.
Più profonda.
La peggiore.
La censura.
Vescovile.
Bocconiana.
Quasi massonica.
Anche lei.
Di un semplice pentagramma.
Teologi.
Sapienti.
O forse solo saputelli.
Che professano una “fede”.
Di un uomo.
Di un Dio.
Che accudiva prostitute.
Piccoli.
Poveri.
Incontrandoli, radunandoli.
In chiese all’aperto.
E non sono d’accordo.
Del “almeno per Dalla”.
Perché io ho suonato.
Per tutti.
Ai funerali dei ricchi.
Dei poveri.
De Andrè.
Guccini.
Blues afroamericano.
Bach.
Beethoven.
Brahms.
O un semplice sconosciuto.
Ho suonato ai funerali.
Ai matrimoni.
Alle feste dei “saputi”.
A quelle dei drogati terminali.
Senza fosse mai un problema di “fede”.
Ma di emozione.
e di "comunione" vera.
D’Amore?
Si.
Di lacrime.
O di sorrisi.
Dell’inizio.
Del mezzo.
Della fine.
Di questa meravigliosa follia.
Che è la vita.
Senza censure.
“Lasciate che vengano a me”.
La regola del “capo”.
Del loro capo.
Quello vero, senza anelli miliardari al dito.
Senza il bianco della presuntuosa purezza.
Ma un semplice straccio addosso.
Che ha fatto solo una cosa violenta nella sua breve vita.
Ha messo a soqquadro una chiesa.
Trasformata in mercato.
Da mercanteggianti.
Non è cambiato nulla.
Tutto come allora.
Gli stessi sepolcri imbiancati.
Gli stessi mercanti.
Il “capo” è morto.
Solo.
Non di freddo.
Ma su una croce.
Perché non ci fossero più censure.
Tristezze.
Incomprensioni.

Ma solo gioia.
E libertà.
Nessun vescovo ai sui piedi.
Nessuna musica neppure per lui.
Solo una madre.
Un amico.
Una prostituta.
Al suo funerale.
Su una croce.
Per lasciare un semplice messaggio.
Amore. 
E questo è Amore.
Che è tolleranza.
Comprensione.
Libertà.
Il contrario della censura.
Ma è successo anche al “capo”, quello vero.
Quel rivoluzionario insopportabile.
Neppure quella sua tremenda morte.
È bastata.
Per essere capito davvero.
Carissime Eminenze.

Eminenze della censura e dell’intolleranza.
Il contrario dell’Amore.
Ma verrei a suonare per voi, ai vostri funerali, la vostra musica preferita, o il vostro silenzio.
Non solo per voi, ma anche per voi.


FranzK.

martedì 6 marzo 2012

La Femminilità.





Ho chiesto.
A molte donne.
Un esempio.
Una definizione.
Definita.
Di cosa potesse essere per loro.
L a femminilità.
Spiegata a un uomo.
Forse impossibile.
In poche.
O molte parole.

Ho un database.
In Access.
Con query.
E tutto il resto.
Ho provato ad interpolare.
Con un foglio di excel.
I dati a mia disposizione.
Parole.
Dilatazioni delle pupille.
Variazioni  feromoniche.
Deviazioni delle correnti superficiali della corteccia.

Non ne sono uscito.
Non ho soluzione.
Risposta.
Perché non è bellezza.
Troppo mutevole con le mode.
Non è maternità.
Necessità antropologica.
Non è corpo.
Carne.
Forma.
Semplice profumo o reggicalze in seta.

Forse in parte so cosa non è.
Per matematica statistica.
Matematica dei poveri.
Forse ho compreso.
La negazione.
Statistica.
Parziale.
Di cosa non è.
O parte di cosa non potrà mai essere.
Ma nonostante il metodo scientifico.
Non ho compreso cos’è.

E le discussioni al bar.
Di stanotte.
Ascoltate .
Mi hanno confuso ancor di più.
Riguardo la masturbazione.
Secondo quale antipode.
Se prima femmina o maschio.
Quale analogica o digitale.
Solo mentale ovviamente.
Narrata da una femmina molto femminile.
A maschi maschili.

Io lì nel mio angolo di ascoltatore.
Al solito.
A cercare di captare segnali.
Finalmente esaustivi.
Nulla.
Resta un segreto.
E sono arrivato ad una conclusione.
Meglio così.
Meglio “sentirla”.
Che cercarne le regole.
Le leggi.

Le migliori raccolte?
“un nido”
“una cosa tonda”.
“il meglio della sensibilità”
Le peggiori?
Meglio ometterle.
Le ho cancellate anche dal database.
E dai fogli di excel.
Meglio percepirla.
Quella rarità.
Che è l’unica cosa che completa.

L’altra metà dell’universo.
Alla quale appartengo.
In grado di “sentirla”.

Di gustarne la parte mancante.
Nella rarità del raro di quando, raramente, ci inciampiamo sopra.


FranzK.

lunedì 5 marzo 2012

Vorrei, ma Domani.






Vorrei essere lucido.
Dopo tanti viaggi.
Passati.
E futuri.
Vorrei poter pensare che domani arriverà in ritardo.
Un giorno.
Un‘altro.
Una vita .
Non due.
Ho dentro un mondo.
Che vorrebbe esplodere.
Ma è tanto tardi.
E la stanchezza prevale.
Sul desiderio.
Di esplodere il mio mondo.
Sarebbe presunzione.
Non  cedere.
Perché vorrei.
Ma domani è vicino.
Un giorno.
Un altro dopo.
Forse.
Mi abbandono tra le braccia di Morfeo.
Felice.
Di sentirmi stanco.
Umano.
Mentre vecchi fiori rinascono.
Nel silenzio.
E nuovi.
Appassiscono.
Nel fragore di un altro silenzio.
Un giorno.
Solo uno.
Dopo un altro forse.
Una vita.
Non due.
Cedo alle sinapsi.
Sono solo un uomo.
E voglio compiacermi.
Di un meritato riposo.
Un giorno.
Vorrei.
Ma domani.
Un altro giorno.
Una vita.
Solo una.
Non due.
Un istante.
Fuggente.
Da non farsi fuggire.
Dal quale non fuggire.
Mai.
Cedo.
Felice di sentirmi solo un uomo.
Umano.
Perché domani.
Vorrei.
Ma è solo un altro giorno.
Dal quale non fuggire.
Ma da vivere.


FranzK.

domenica 4 marzo 2012

La Lunghezza del Muso.





Tra tante sfortune non posso lamentarmi.
Perché ho avuto anche tante fortune.
Tante guide spirituali.
Grandi insegnanti di vita.
Tecnici eccelsi con il pallino della filosofia.
Dello show alcune volte.
Di uno di loro ho un ricordo.
Uno che ha scritto saggi sull’automobile.
A ragion veduta.
Dato che era davvero un esperto.
L’automobile.
Uno dei desideri più “maschili”.
Da necessità a status symbol.
Maschile.
Di identificazione.
Di potenza.
Di potere.
Di collocazione sociale.
Ma ancor di più.
Di pubblica propaggine di se.

Oggi il mercato stagna.
Che anche i maschi non conoscano più bene i propri desideri?
Oggi deve essere “ecologica”, sicura e parca nei consumi.
Anche il senso della potenza si piega davanti a certi “prezzi”.
Non per tutti.
Ma sicuramente per molti.
Ma ricordo un tempo.
Di impotenza.
Dove la potenza di un’automobile era tutto.
Quanti racconti su quelle avute.
Ricordo questa.
Ricordo quella.
Si narra più di automobili che di donne.
Tra maschi.
Berlina, per famiglie non eccessive in numero.
Due volumi per single sfigati
Familiare per famiglie numerose.
Coupè per single.
Spider per single da club.
Spider decapottabile per single da club particolarmente “attivi”.
Quattro per quattro, spero solo per contadini e terreni impervi.
Monovolume, per famiglie numerose e necessità particolari.


Quanti cavalli?
Cilindrata?
Diesel o benzina?
Motore compresso o aspirato.
A iniezione?
E da 0 a 100?
Interni in pelle?
Impianto hi-fi da quanti watt?
Pneumatici ribassati?
Velocità massima?
Ripresa?
Coppia?
In quanto da Milano a Rimini?
Scarichi modificati?
Che colore?
E poi …..
Beh la carrozzeria …….
Pininfarina  o Giugiaro?
Non sono mai riuscito a capire se si parla di se o di una donna.
Di se credo.

In fondo “possedere” un automobile è come essere certi di “possedere” se stessi.
Una proiezione di perfezione impossibile.
Esterna forse per carenze interne.
Un maschio su un automobile.
Cambia aspetto.
Diviene l’automobile stessa.
Più che se stesso.
Parte di tutta quella carrozzeria bellissima.
Di quel potentissimo motore.
Di quegli “interni” in pelle naturale.
Di quelle riprese da cambio gomme.
Più lui è il contrario e più la necessità dell’optional aumenta.
Compensazione probabilmente.
E non solo per “cuccare”.
Pensiamoci bene.
Noi maschi.
È per noi prima che per eventuali femmine in cerca di ricchezze esteriori ……

Però tra tante sfortune non posso lamentarmi.
Perché ho avuto anche tante fortune.
Tante guide spirituali.
Grandi insegnanti di vita.
Tecnici eccelsi con il pallino della filosofia.
Dello show alcune volte.
Di uno di loro ho un ricordo.
Uno che ha scritto saggi sull’automobile.
A ragion veduta.
Dato che era davvero un esperto.
Ha scritto del futuro dell’automobile.
E credo a ragion veduta.
Profetica scrittura.
Raccomandando motori piccolissimi e musi corti ……….
Grandi abitabilità e velocità contenute, inutile andare a 200 all’ora e avere 22 airbag.
Quando la media di tutti è 40 all’ora ……
Consumi ridottissimi, e musi corti ……..
Perché la lunghezza del muso.
Di un’automobile, è freudiana.
Come la potenza del motore.
Inversamente proporzionale, nella scelta e nella compensazione, a lunghezze e potenze di altre cose ……….
Quindi donne.
Non fidatevi delle spider a 12 cilindri.
Di grandi potenze e musi troppo lunghi ………
Nel caso abbia una certa importanza per voi, ovviamente.
Non fidatevi.
Anche se è solo goliardia.
Potreste avere grandi delusioni. J

FranzK.

P.S. voi avete le vostre borse, noi le nostre automobili ......

sabato 3 marzo 2012

"Noli Me Tangere"






Che meraviglia stasera.
Esserne capace ancora.
Meglio di sempre, di amare.
Amare senza pretendere.

Libero.
Di amare.
Un cerbiatto malato.
O anche solo il bello che mi circonda.

Esserne capace come mai.
Quasi fino in fondo.
Perché sarà sempre solo quasi.
Di amare l’amore.

Non è poi la vita?
Saper amare?
Senza chiedere nulla in cambio.
Non è questo amare?

La felicità di un dono.
Che non aspetta ritorni.
La felicità di dare anche solo un sorriso.
E sapere andarsene tranquillo.

Senza aspettarsi nulla.
Senza che ti possa ferire essere dimenticato.
Ma non è la vita?
Il suo meglio?

Amare senza farsi male.
Perché è da noi che possiamo farcelo, pretendendo un ritorno.
Amare senza pretese.
Non può far male.

Senza credere in ciò che non è vero.
Anche se spergiurato.
L’amore è l’opposto della necessità.
Il contrario di un interesse.

Saper amare non è per tutti.
Forse bisogna attraversare la morte.
Senza temerla.
Per esserne capaci.

E io l’ho percorsa.
Attraversata.
Almeno un paio di volte.
Senza morire dentro.

Così ho imparato l’amore.
Che sarà giudicato follia.
Come la vita.
Che è follia lei stessa.

E non ho più dubbi.
Ho imparata ad amare.
Perché ho imparato a dare.
Senza aspettarmi nulla in cambio.

Felice del mio nulla.
Che sa finalmente dare tutto.
A un cerbiatto ferito.
Ma anche ad una pantera incattivita.

“Noli me tangere”.
O toccami.
Non ti temo.
So amare.

Meglio di sempre.
Le cose giuste.
Quelle sbagliate.
Senza che possano trapassarmi.

L’amore è conoscenza.
Non ragionamento.
Si sa per amore, la conoscenza.
Non per interesse.

E stasera sono felice.
Di essermi accorto.
Di aver imparato ad amare.
Senza farmi più del male.

Parto da qui.
Dal bello di questo luogo interno.
Come avrei potuto altrimenti?
Poter dare qualcosa di vero?


Senza il mio vero amore?


FranzK.

venerdì 2 marzo 2012

Grazie Francesco.





“Grazie Francesco.
Per dare parola.
Ai sentimenti.
Sono commosso”.

Anch’io.
Perché basti tu.
A comprenderli.
Basta un vecchio amico.

Basta la tua vita.
Fatta di tutto.
Tranne che di fronzoli.
Fatta di ripetuta quotidianità.

Mai tradita.
Quanto mai compresa.
L’uomo del silenzio.
E della precisione.

Mi hai insegnato tanto.
Diversamente da troppi più “importanti” di te.
Tu hai “fatto”.
Nel vero, del vero.

Tu sai.
Anche fosse solo per te.
Continuo a scrivere.
Della mia, dell’altrui miseria.

Tu sei un amico.
Vero.
Hai sudato con me.
Per  l’impossibile.

Non hai vissuto di parole.
Ma di fatti.
Di fatica.
Non di lezioni.

Tu, tra i veri pochi.
Sei stato una vera lezione.
Di vita.
Vera.

Caro amico mio.
Tra i pochi che hanno compreso.
Che sanno comprendere.
Senza necessità di lezioni.

Di leziosità.
Di sfortunata solitudine.
Ti sei preso cura di tutti.
Nel tuo silenzio.

Nel tuo essere vero.
Differente dalla moltitudine.
Di falsi.
Di presuntuosi.

Amico mio.
Quasi unico.
Mi hai insegnato davvero tanto.
Cose che il mondo non può capire.

Ma io e te, si.
Noi abbiamo fatto davvero.
Ci siamo combattuti.
Ma anche compresi e stimati.

Eri tu.
Li con me.
A farti il “culo” gratis.
Non altri.

Gli altri cantavano.
Le loro canzoni.
E noi.
Nel silenzio.

Al solito.
Il silenzio dei giusti.
Dei mai ricordati.
Ma dei veri.

Stasera non ho rabbia.
Non ne ho più.
Non mi interessa più la rabbia.
Mi interessa solo il vero.

Che distingue.
Seleziona.
Come mi hai insegnato tu.
Ti sono grato oltre la mia vita.

Il resto?
Me lo hai insegnato tu.
Lascialo al resto.
È solo un resto, in fondo, una tara non un netto.

Qualcuno o qualcosa che verrà dimenticato.
C’eri solo tu.
A sudare con me.
Per aiutare l’impossibile.

Hai dovuto vivere nell’assoluto.
Non serve amico mio.
Tu che non hai mai giocato.
Sappi che la vita è solo un gioco.

E non  ci interessa vero?
Se gli altri non comprendono.
Tu sei stato l’unico uomo onesto che ho incontrato.
L’unico che non ha debiti con nessuno.

Solo vero coraggio.
O vera stima.
Gli altri?
Lasciamoli al loro destino.

Ognuno merita solo il suo.
E solo io e te sappiamo davvero.
E abbiamo imparato insieme.
A sorriderci sopra.

Mi basti solo tu.
Per andare avanti.
L’uomo del silenzio.
E della verità.

“Grazie Francesco.
Per dare parola.
Ai sentimenti.
Sono commosso”.

Anch’io.
Nel ricordo di un amico perduto da troppo poco.
Passato.
È per voi che scrivo, che continuerò a scrivere.

Per gli uomini del silenzio e della vera conoscenza, per gli uomini che non tradiscono mai.
I Veri Amici.


FranzK.