lunedì 2 gennaio 2012

Rifiorirà l'orchidea?





L’avevano acquistata insieme.
L’aveva scelta lei.
Voluta.
Del colore che amava di più.
Di colore bianco.
Bianco candido e puro.
Sarebbe stata perfetta nella loro nuova casa.
Bianca e candida come lei.
Quella splendida orchidea bianco luminescente.
Aveva dovuto sopportare un brutto viaggio.
Proprio come loro due.
Un viaggio difficile.
Spazi ridotti.
In mezzo a un sacco di cianfrusaglie.
Proprio come loro due.
In spazi ridotti.
Quasi senza ossigeno.
Tra un sacco di cose vecchie.
Tra pregiudizi e cambiamenti.
Addii e battaglie.
Incastrati tra le cose delle loro vite.
Incastrati nel loro passato.
Né bianco né candido.
E l’orchidea uguale.
Che li aspettava, su uno squallido bancone di merce all’ingrosso.
Incastrata anche lei nel suo giovane passato.
Ad aspettare quattro mani e due cuori che potessero coglierla.
Accoglierla.
Prendersene cura.
Darle luce e acqua.
Affetto e unicità.

In poco tempo fiorì.
Ancor di più di quanto lo avesse mai fatto.
Diciassette stupendi fiori.
Pieni di vita.
Di luce.
Di felicità.
In mezzo alle loro paure.
Alle loro incomprensioni.
Quella speranza che non voleva morire.
Che voleva lottare per vivere.
Che voleva scrollarsi rovi e spine.
Paure e sfiducie.
E lei fiorì.
Per diciassette volte.
Nel posto giusto.
Nella luce più bella che avesse mai visto.
Di cui mai si fosse nutrita.
Una luce diffusa.
Dappertutto.
Per diciassette volte.
Tante quante le loro paure.
Le loro incomprensioni.
Le loro passioni.
Per ben diciassette volte.
Tante quanto gli addii di lei.
Tante quanto i suoi motivi per andarsene.
Per tornare indietro.
Tante quanto gli scongiuri e le esplosioni di lui.
Per farla restare.
Per stare insieme.

Si sa che i fiori delle orchidee non durano in eterno.
E un giorno caddero uno ad uno.
Era tempo di morire.
O rinnovarsi.
Ricominciare.
E sotto le sue verdissime foglie comparve un altro gambo.
Piano, piano.
Crebbe ancora e rifiorì.
Per sei volte.
Di bianco candido, puro.
In mezzo ad un andirivieni di tormenti, ancora di paure, di dubbi.
Ancora in mezzo ai pregiudizi e alle sfiducie.
In mezzo al loro passato.
All’iracondia di lui, alle incertezze di lei.
Ma rifiorì ancora.
Di speranze.
Di passioni.
Di brillante e candido bianco puro.
Per sei volte.
E le foglie presero a brillare.
Di un verde ancora più sfavillante.
Non voleva saperne di morire.
Voleva vivere.
Tutta avvolta dalla luce.
Dei loro sentimenti veri.
Tanto veri quanto disperati.
Tanto disperati quanto felici.

Si sa che le cose belle non durano in eterno.
E un giorno, lei se ne andò.
Ritornò indietro.
Per sempre.
Quel “per sempre” mai pronunciato per andare avanti.
Insieme.
Srotolandosi definitivamente dai rovi e dalle spine.
Dai tormenti e dalle insicurezze.
Dai difetti e dalle malattie.
Dalle incomprensioni e dagli errori.
Dal passato e da tutti i suoi tormenti.
Dal tempo necessario per cambiare.
Per essere migliori.
Degni di un dono raro.
Unico.
Per “sempre”.
Per sempre se ne andò.
E l’orchidea lo sentì.
Giorno dopo giorno.
Non le bastavano più solo acqua e luce.
E giorno per giorno, uno ad uno, i suoi fiori appassirono.
Uno ad uno.
Giorno per giorno.
Fino a cadere ammucchiati l’uno sull’altro su quella superficie bianco splendente.
Appassiti per sempre.
Senza più nessun desiderio di splendore.
Né di acqua né di luce.
La Natura “sente”, non ne sappiamo proprio nulla di Lei.
“Sente” e comprende, molto più di noi.

Lui non ne ebbe pace.
Di quell’addio definitivo.
Andava su e giù per quella casa vuota.
Deserta.
Piena di fantasmi e ricordi.
Di guerre e speranze.
Di litigi e di passioni.
Su e giù per la loro casa.
Costruita sulle macerie di rovi e pregiudizi.
Di incomprensioni e insicurezze.
Ma soprattutto costruita su un sentimento raro.
Unico.
Su un vero dono.
Su e giù per quei ricordi.
Quelle presenze.
Quelle speranze.
Quelle battaglie.
Quelle passioni.
Ogni tanto dava acqua a quell’orchidea, annacquandosi gli occhi, ancor prima di annacquare lei.
Ma lei era solo foglie verdi brillante.
Null’altro.
Che foglie verde smeraldo con ai loro piedi fiori secchi.
Liofilizzati per sempre.

Un giorno li prese e li buttò.
Nella spazzatura.
Basta.
Basta ricordi, basta rimpianti.
Basta orchidee.
Sogni, speranze, sentimenti.
Bagnava la pianta solo quando se ne ricordava.
Al pari delle altre.
Divenne solo un abitudine.
Un’azione di quotidianità.
Come lavarsi i panni o rifare il letto.
La logica e il raziocinio.
Basta emozioni.
Fino ad un giorno.
Solo fino a quel giorno.
Che nella consuetudine di dargli ancora un po' d’acqua notò qualcosa di strano.
Sotto il verde smagliante delle foglie.
Di quell’orchidea.
Un minuscolo nuovo gambo.
Con una base robusta.
Corto ma pieno di vita.
Sbucato da chissà dove e chissà perché.
La “Natura” è strana, sente e comprende più di noi.
Non ne sappiamo proprio nulla di Lei.
Chissà ………
Che quell’orchidea possa rifiorire.


FranzK.

Da una storia vera.

"Noi siamo Orchidee - dicono da sole-, nulla ci può essere contrapposto capace di occultarci; nè occorre che spendiate molte delle vostre fatiche, o signori floricoltori, perchè noi si mostri le nostre virtù, non ci occorre terra, non ci necessita superficie, inutili le vostre premure, lasciateci quassù a cavallo di questo ospitale pezzo di legno morto, lasciate che le nostre radici penzolino nell'aria, lasciateci in gran pace, non desideriamo altro che acqua dalle vostre mani, visto che ci avete tolte dalle nostre patrie dove il cielo ci assisteva come ci conveniva; limitatevi a gustarci se avete occhi per vedere, narici per percepire, animo per sentire"

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