venerdì 2 aprile 2010

Ocarone sturlato.




 [http://www.youtube.com/watch?v=snUezh9yAuY&feature=related]


Avete presente l’anatra muta?
Quella simpatica papera nerastra?
Che è chiamata muta perché compie sforzi immani.
Per scarsi risultati sonori.
Che poi, in realtà, non è proprio muta.
È più strozzata direi.
Rantolante a basso volume.

E dire che lei vorrebbe parlare.
Vorrebbe emettere dei suoni.
Ne avrebbe necessità più di qualsiasi altro.
Ed è propio lì il suo difetto.
La sua necessità.
Che le crea una sorta d’ansia.
Un abituale drammatico impulso.

Più che un semplice ragionamento.
Più che una serena consapevolezza.
Desiderio, necessità, sforzo.
Il tragico loop.
E così viene travolta dall’emozione.
E con essa da un vortice di ragionamenti insensati.
Che le impediscono il verso.

Quel verso che vorrebbe essere parola.
Comunicazione.
Canto.
Gioia.
Dolore.
Gridato o sussurrato.
Non flebile e sgraziato rantolo quantomeno.

Rantolo che emette puntuale preda di un emozione incontrollata.
Un raptus.
Tanto che si dibatte dentro le piume come un oca.
Imprigionata in eccessi muscolari contrattivi.
Con emissione di rumori gracchianti.
Strozzati in gola.
Perpetuamente.

La incontrarono in un eccesso di strangolamento.
Quei due ragazzi di rara gentilezza.
La incontrarono sul dirupo della verde collina.
Tutta tirata nel collo e nello sbattere delle ali mentre tentava l’ennesima vibrazione sensata.
Il collo più di ogni altra cosa era indurito e proteso verso il cielo.
Per sparare fuori almeno un poco d’aria.
Una parvenza di suono.
Una visione davvero raccapricciante e piena di compassione.

Erano davvero bravi ragazzi, quei due baldi giovani.
E molto sensibili per le cose del mondo.
Così la seguirono in quelle penose evoluzioni per un po'.
Prima di prendere quella decisione.
Di liberarla.
Da quell’impossibile orgasmo.
Da quella scontata illusione.

Uno impugnò la scure.
L’altro il collo indurito, appoggiandolo sul ceppo di legno.
E la scure crollò violenta.
Con la lama affilata.
Sul collo.
Indurito e contratto della povera oca.
Staccandolo nettamente dal resto del corpo.

Finalmente libero!
Quel povero corpo pennuto.
Cominciò a correre verso il dirupo finalmente senza tensioni.
Sbattendo le ali felice.
Di quella libertà dalla parola.
Da quella sofferenza per pronunciarla.
Da quella  rigida incomunicabilità del collo malandrino.

E corse e corse giù dalla collina, allegra.
Ruzzolando ogni tanto prima di rimettersi a correre.
Finalmente libera e felice.
Almeno per qualche istante.
Prima del suo destino.
Di finire la sua corsa sturlata  contro un albero.

Prima di morire.

Franz.K

2 commenti:

  1. mi sembra di percepire la gioia dell'ocarone muto ma libero, ma mi rattrista la visione del violento sturlamento...
    quando si dice : la felicità è data dagli attimi...
    gran bel racconto

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  2. Grazie per l'apprezzamento.
    Si, temo la felicità possa passare da pochi attimi, forse non diversamente dalla vita.
    Come la trasformazione dell'energia.
    La stessa sfuggente entropia.
    E vorrei che davvero nessuno per un poco di felicità dovesse mai passare per una decapitazione e uno "sturlamento".....
    Proprio al tempo o nel tempo della trasformazione gìà quasi compiuta.

    Francesco

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