giovedì 5 gennaio 2012

Tempo percepito.





Il Tempo.
Un altro sconosciuto.

Se non nella nostra percezione.
Se non relativo ad una misura, non alla sua intima essenza.
C’è il tempo delle Fisica.
Una semplice misura, che relaziona un evento allo spazio, al cronotopo.
Il tempo di una reazione chimica.
Il tempo stazionario.
Il tempo geologico.
Un essenza intangibile.

Se non per noi.
Per la percezione che ne abbiamo.
Il tempo che definisce presente passato e futuro.
Almeno per noi.
Solo per la necessità , per noi, della loro esistenza.
Per percepirci, nel meglio o nel peggio che siamo divenuti.
Per quello che siamo riusciti a cambiare, a cambiarci.
Forse il tempo non esiste.

Non esiste la dimostrazione della sua natura.

Forse esiste solo per noi.
È una nostra necessità, la sua esistenza.
Ma in fondo è solo un inganno.
Come lo sono i ricordi.
E come lo sono i sogni, che lo mescolano, lo tradiscono.
Abbiamo necessità del tempo.
Forse perché ne abbiamo uno finito che è la nostra vita.
Ma fuori da questa necessaria percezione lui forse non esiste.

Il tempo delle nostre cellule, del loro degrado.
Non quello del paradosso dei due gemelli della relatività.
Eppure se siamo in grado di misurarlo deve esistere.
Forse è solo energia non compresa.
Anche se lo misuriamo in differenti modi.
A secondo la nostra percezione.
Il nostro stato d’animo.
Energia non compresa.

Il tempo per raggiungere una persona alla quale vuoi bene è breve.
Rispetto a quello che, nella sua attesa, si dilata in modo insopportabile.
E lo spazio da percorrere è uguale.
Uguale la velocità.
Eppure si contrae e di dilata in modo spropositato.
Senza apparente ragione.
Senza legge fisica, e forse neppure psicologica.
Il tempo come distanza, che si allunga o si accorcia.

Così possiamo solo percepirlo.
Nella sua durata infinita di una sofferenza.
Nel suo fuggevole incanto di un momento felice.
Chissà quali i sensi imputati.
Per la sua percezione.
Che in noi diventa poi, ricordo, memoria.
Che impasta come acqua, farina e sale il presente il passato e il futuro.
Per fare il pane della  nostra storia, della nostra vita.

E per noi esiste.
Ne esiste uno per agire.
Uno per pensare.
Per poi agire.
Uno per ricordare.
Uno per vivere.
Uno per comprendere.
Un altro per crescere.

Quanti tempi ha il tempo?
Almeno per la nostra percezione, sensazione.
Chissà quanto tempo occorre per comprenderlo.
E pensare che la gravità è in grado di curvarlo.
Di toglierli linearità.
Proprio come noi.
Con le nostre emozioni, sentimenti.
Il disagio di un’attesa, la felicità di un ritorno.

Quanti tempi ha il tempo quindi?
Quante misure?
Quanti orologi differenti servono, per contarlo?
Quante tecnologie?
Meccaniche, alfanumeriche digitali.
Achille paradossalmente non raggiungerà mai la tartaruga.
Un semplice paradosso?
Forse non per la nostra percezione.

Che non possiede orologio.
Se non quello più attendibile.
Quello insito nel suo significato del “sentire”.
Che fa del tempo la nostra vita.
E della nostra vita, in fondo solo un po' di tempo.
Per cercare noi.
Per trovarci.
Nella nostra unicità.

Che deve darsi tempo, senza fretta.
Per capire.
Bene.
Di sé.
Per convincersi.
Del vero e del falso.
Fino a trovare la certezza libera dal passato, presente, futuro.
Finalmente libera dalle sue gabbie.
Per decidere.
Una felicità senza tempo,dentro la sua percezione.


FranzK.

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