domenica 18 luglio 2010

Una virgola.

















 [http://www.youtube.com/watch?v=L5TyO-f-a0U&feature=related]


Ero molto veloce in quel punto.
Da sempre.
Difficile una distrazione anche piccola.
Difficile prestare lo sguardo a qualche curiosità.
Eppure non ho potuto fare a meno di vederlo.

Seduto sotto il grande albero, all’ombra delle sue fronde.
Al solito, con il solito sguardo.
Con il solito abito ben stirato, la camicia pulita, la cravatta ben fatta.
Con quel solito modo di inclinare un pò la testa e cercare quel pensiero appena mancante …
Quella stupida virgola ….

L’ho scampata per un pelo, ma ne è valsa la pena.
La distrazione di vederti .
È valso il rischio di una lunga degenza.
Cogliere quel tuo capo chino appena da un lato a cercare quella virgola …..
Da cinquant’anni che la cercavi …

E io è da cinquant’anni che ti conosco.
E non ti vedo invecchiare.
Tu sei l’unico che conosco che è rimasto uguale.
Il tuo corpo e il tuo aspetto sono gli stessi di quando eri fanciullo.
E cercavi già allora quella stupida , misera virgola ……

Forse sei rimasto giovane per quel motivo.
Ma così giovane che potresti tornare nella “terza c” e nessuno si accorgerebbe di nulla.
E hai cinquant’anni.
E sei buono come quando ne avevi dieci.
Sempre perso a cercare quella fastidiosa, piccolissima virgola …..

Forse rimani giovane perché quando la trovi allora cambia tutto.
Resti giovane per aspettare di trovarla e cominciare invecchiare da dopo.
E resti lì a piegare un poco il capo come se ti potesse scivolare il pensiero giusto per trovarla.
Come se potesse scivolarti facilmente nel posto dove manca.
Come se quella maledetta virgola potesse essere in gocce oleose.

Era il tuo riposo quel momento sotto il fresco dell’albero.
Vestito di tutto punto, al solito tuo.
Aspettando chissà le cose importanti della vita.
Chissà …….
Dopo tutte le ore di dedizione a quel lavoro cucito addosso su misura.

È difficile servire, per tutti.
Servire per se e per gli altri.
E tu forse sei la persona che è in grado di servire di più.
Per gli altri di sicuro.
Il tuo buono, il tuo premuroso serve davvero.

Così da sempre.
Io mi ricordo bene.
Mentre a volte la testa la stringevi forte tra le mani.
Per la virgola che mancava ……
Una cosa infinitesima, una virgola in minuscolo.

Così vederti lì, seduto sulla panchina del parco con le mani intrecciate sulle ginocchia mi strugge.
Vederti così giovane e ben vestito.
Vederti senza neppure un segno del tempo.
Senza nessun tormento comune.
Solo, in una parola.

Da sempre.
Veniva a scuola da solo.
Tornavi solo.
Nessuno ti odiava, nessuno ti amava.
E tu eri buono con tutti.

E nessuno voleva evitarti.
Ma nessuno ha mai richiesto la tua compagnia.
Anche se eri buono, e saresti servito.
Nessuno si è mai accorto di quanto eri buono e solo.
E testardo mentre cercavi e cerchi ancora quella stupida, infinitesima, insensata piccola virgola …….

Altri tempi.

Franz.K

martedì 25 maggio 2010

Da fuori.




















 [http://www.youtube.com/watch?v=xLpM83yM_kQ]



Perché sai com’è ….
Vista da fuori …..
Non è come essere dentro.
Nella cosa dico.
Che sia bella o brutta.
È diverso, vista da fuori.
È come vedere un trapezista.
Dondolare prima del salto mortale.
Pendolare avanti e indietro.
Dalla sua paura.
Dalla sua sicurezza.
Applauso o morte.
È proprio diverso vista da fuori.
Perché tu dopo te ne vai.
E difficilmente rimarrà anche solo un perenne ricordo.
Difficile davvero.
Restare anche per lui.
Per un perenne applauso.
O per la morte.

È proprio differente.
Vista da fuori.
Chi è dentro non potrà mai capire.
Il difficile del vederla da fuori.
Il differente.
Come vedere una corrida di provincia.
Con toreador di provincia.
Che non riescono a finire il toro.
Né il tragico spettacolo.
Non riescono a dire basta.
Non sono semplicemente in grado.
Scusate, vado via.
E il toro sanguina …
Ma non crolla …..
E tu sei lì che guardi.
Sei quello nella peggiore condizione.
Per prendere una decisione.
Per fare un fischio o un applauso.
O per decidere la morte.

È proprio così.
È davvero troppo difficile.
Troppo differente .
Vista da fuori.
Che sia bella o brutta.
È davvero differente.
Come vedere la vita.
Che nasce.
Vista da fuori.
Che spinge verso l’aria.
Che si affanna e dilata.
Per uscire fuori.
Che spera e urla e piange e ride.
La vita.
Che stringe le mani, i denti, le forze …..
Per uscire fuori.
È davvero difficile.
Vedere nascere la vita.
Vista da fuori.

È davvero difficile decidere una vita.
Senza sentimenti dico, senza l’Amore.
Decidere così …..

Vista da fuori senza l'Amore dico.

Franz.K

sabato 15 maggio 2010

Giocattoli di carne.
















 [http://www.youtube.com/watch?v=cNBggiKph74&feature=related]



Bellissima.
Giovanissima.
Perfetta.
Se no  non va.
Deve essere perfetta.
E vale anche per il Ken.
Parità giustamente acquisite.
Lottate e avute.
Vinte.
Ma io devo pensarla femmina.
Altrimenti non vado avanti.
Lo impone la mia natura.
Quindi bellissima.
Giovanissima.
Nuova praticamente.
Se no non va.

E a noi uomini a cui piacciono le donne.
Farebbe anche bene alla salute.
Ci manterrebbe giovani dicono.
A noi maschi.
Con al fianco splendide giovani femmine.
Adesso forse comprendo il trend …
Di un certo livello.
Non è per sesso quindi.
Ma per salute.
Non è dell’andrologo la ricetta.
Ma del medico di base.
Sfortunatamente non mutuabile.
Roba per pochi.
Poter guadagnare qualche anno in più.
Roba per ricchi.
Si direbbe, la longevità.

Ma è delle donne quindi che non comprendo.
assolutamente il perchè.
Dato che a loro.
Un giovane pupo al fianco.
Non giova alla salute, anzi.
Accorcia la vita.
E non capisco quindi.
Ma non sono donna.
E non posso capire quindi.
E non mi permetto d immaginare.
Anche se alla fine, anche per loro, non è per tutte.
È anche per loro una esclusiva di poche.
Niente servizi sociali.
Roba per ricche.
Con strani desideri di vite accorciate.
Anche di molto.

Giocattoli.
Di carne.
Nessun sentimento.
Almeno spero.
Almeno spero che non se parli.
Dei sentimenti dico.
Che non hanno età.
Non hanno numeri..
Non hanno prezzo.
Diversamente da bambole e bambocci di carne.
Che si comprano.
Si usano.
Poi invecchiano.
E si buttano.
Si rompono.
E  si cambiano.

Giocattoli.
Di carne viva.
Che fanno della carne morta.
Un poco prima.
O un poco dopo.
Dipende se sei maschio o femmina.
Almeno si direbbe.
La scienza che sa lo direbbe.
Così leggi e fai i conti.
Perché se leggi numeri restano numeri.
Nella tua mente.
E tendenze.
E voglia di giochi.
E giocattoli.
Di carne viva.

Chissà.
Forse è un bene.
Che la scienza non sappia.

Cosa è un sentimento.

Franz.K

da un pensiero suggerito da ))

venerdì 14 maggio 2010

Frutta secca.



 [http://www.youtube.com/watch?v=6Aue-nQtHOI&feature=related]


Era davvero giovane.
Quando ha cominciato a maneggiare bombe.
Giovane.
Minorenne.
Con in mente solo un a cosa.
La lotta.
La sua giustizia.
Il suo credo.
Tanto da andarsene da casa.
Da abbandonare proprio tutto.
Per maneggiare bombe.
Di giustizia.
E di morte.

Terrore.
E bombe.
Bombe di terrore.
E di morte.
Confusa con la giustizia.
Al di là del confine.
Al di fuori della propria terra.
Con in mente la giustizia della morte.
Della morte confusa con la giustizia.
Dell’assoluto del  proprio credo.
Che non può che credere nella morte.
E nelle bombe.
Per la sua giustizia assoluta.

Ma poi cosa?
Cosa in quel tramonto ti ha colpito?
Di quel profilo.
Di quegli occhi.
Di quel sorriso?
Come in baleno è cambiato tutto?
Non le tue convinzioni.
Non il tuo credo.
Ma la consistenza del tuo cuore.
Come?
Cosa hai scoperto nel profumo di lei?
Come mai è possibile capire adesso?
Sentire tutto diverso, tutto più morbido, per un amore?

Come è successo?
Che appena dopo.
La giustizia della morte ha smesso di cantare?
In che modo?
Per un semplice amore?
Per una donna?
Ha smesso di cantare la canzone delle bombe.
La musica della morte.
Come è possibile?
Che il vecchio, deteriorabile, semplice amore possa aver rapito la tua giustizia?
In cambio della sua.
Non diversa dalla tua.
Con note e sinfonie di vita però.

Così hai sognato una casa.
Hai sentito la casa.
Dentro a lei.
E lei dentro a te.
La pace di una casa.
Verso casa.
Al di la del confine.
Dentro la propria terra.
Difficile tornare a casa.
Una prova vera e difficile
Attraverso montagne  e foreste.
Con in bocca solo un po' di frutta secca.
Ma con la forza dentro di un vero amore.

Che vince alla fine.
Che si prova vero nel freddo e nella fame.
Che supera le montagne con un sorriso.
Che non fa sentire freddo e male.
E sonno.
E troppo caldo.
E non ne vuole sapere più di bombe.
Di morte.
Della giustizia della morte delle bombe.
Ma conosce solo respiri di vita.
Conosce la vita.
L’intelligenza della vita.
La giustizia della vita.

Il vero amore.

domenica 9 maggio 2010

Rolling Metafisica.



 [http://www.youtube.com/watch?v=catP2BDxnAY]



La perfezione.
Quasi la bellezza.
O il massimo della bellezza.
Quasi un dio.
Da non riuscire a farne a meno.
Di quel tondo, rotondo, del cerchio di una ruota.
Che rotola.
Leggera.
Veloce.
Veloce.
Veloce.
Che fascino il veloce di lei che rotola veloce.
E nessuno sa.
Bene il perché.

Quel tondo rotondo.
Non si può calcolare.
È senza numero.
Senza misura.
Vite sprecate in Francia, per aggiungere numeri infiniti dietro il pi dei greci.
Quel rotondo è un pugno alla logica.
Senza scienza  perfetta senza matematica finita.
Infatti se non si deforma non ruota.
Se non viene schiacciato contro qualcosa rimane immobile.
L’attrito è semplicemente deformazione elastica.
Che rende tutto così imperfetto.
Che alla fine sembra che funziona tutto.
Sembra sia necessaria un imperfezione perché le cose possano funzionare.
Anche per la tonda divinità della ruota.
Che ha necessità di uscire fuori dalla sua perfezione per girare.

O forse fuori dalla sua imperfezione?
Dato che non si può sapere esattamente quanto misura la sua circonferenza?
È perfetta prima che non gira e non si misura o dopo nel contrario?
La nostra sacra divinità.
I poeti ne hanno fatto poesia.
Gli artisti tela o scultura.
Proprio come conviene ad un dio.
Ad una luogo di culto.
Forse perché non l’abbiamo mai capita fino in fondo.
Nel suo rotolare.
Veloce.
Veloce.
Veloce.
Che fascino il veloce di lei che rotola veloce.
E nessuno sa.
Bene il perché.

E non rotola sempre uguale.
Dipende.
Da come la giri.
Se in orizzontale o in verticale.
Se su se stessa o su un centro.
Cioè su una’altra se stessa.
Se contro a se stessa o contro il mondo.
Se è fatta di carne come i nostri piedi o di acciaio.
E dipende anche da cosa è fatta la strada.
O lo spazio intorno.
Se è alimentata dalla gravità o se si oppone ad essa.
O se è in posizione indifferente.
Pronta per il suo meglio e il suo peggio.
Indecisa.
Il peggio da controllare.

E tutto intorno vedo ruote.
Un mondo fatto di ruote.
Che rotolano.
Perdendo la circolarità.
E quindi il loro perfetto poetico.
E l’imperfetto reale.
E girando, girano il mondo.
Lo costruiscono.
Distruggono.
Cambiano.
E siamo tutti attaccati lì.
Al suo veloce rotolare.
Con mille divinità differenti.
Ed una sola alla quale crediamo tutti.
Lei.

L’unica che tutti non abbiamo forse ancora capito fino in fondo.

Franz.K

sabato 8 maggio 2010

Misura e Natura.


 [http://www.youtube.com/watch?v=MGnan8nyZXI&feature=related]



Basta guardarsi indietro un momento.
Verso il 700.
L’inizio dell’umanesimo.
Del risorgimento del pensiero.
Della necessità di capire.
Ne ho parlato con la sacerdotessa oggi.
L’unica di cui potevo fidarmi.
Ed è nato un piccolo pensiero.
Che provo a schiudere.
Dai suoi racconti chiari e lucidi.
Che hanno aperto varchi nella mia mente confusa.
Schiarendola mentre le sue parole fluivano leggere.
Calme.
Mentre mi portava in palmo di mano nella storia.
Nel suo fluire.
Nel perché e per come delle sue formule sintetiche.
Delle sue trasformazioni preparate.
Delle sue spiegate consecuzioni e conseguenze.

E così siamo arrivati al metodo scientifico.
Alla magica alchimia trasformata in logica chimica.
Alla matematica francese.
Dal solo riscaldamento fossile al movimento fossile.
Dal dogma alla conoscenza.
Fino alla scienza.
Alle sue certezze.
Accoccolate nelle braccia della logica.
Della lucidità della logica.
Un modello davvero nuovo.
La scienza delle prove provate.
E del ripetibile, sempre comunque e dovunque.

Cosa è cambiato davvero?
Ecco il pensiero ispirato dalla sacerdotessa.
La possibilità della misura.
La contemplazione della sua possibilità.
Lo stupore di una misura.
Certa.
Ripetibile.
Logica.
La scienza è questa credo nell’essenza fino a qui.
Nessun esperimento scientifico senza strumenti di misura.
Forse niente altro che essa.
Un numero certo e forse non molto di più.

A desso forse qualcosa sta cambiando.
È necessario che accada e accade.
Forse ora è necessario dedicarsi ad altro.
Riavviare la mente o chissà cosa.
Da capo un’altra volta.
Cambiare occhi, cambiare respiro.
Non basta più la misura.
Forse è la natura delle cose che adesso è necessario comprendere.
L’essenza.
Dobbiamo cambiare pensiero.
Non basta più sapere quanto vale la gravità ma cosa è.
Quale la sua Natura.

Per non rimanerne schiacciati.

Franz.K


giovedì 29 aprile 2010

Eclissi.

















 [http://www.youtube.com/watch?v=wulsFpH1J2E&feature=related]



Eclissi.

Testo celebre.
Ma mai trito.
Almeno per me.


Eclipse - Pink Floyd
da The Dark Side Of The Moon - 1973



Testo della canzone (lingua originale)

Eclipse

All that you touch and all that you see
all that you taste, all you feel
and all that you love and all that you hate
all you distruct, all you save
and all that you give and all that you deal
and all that you buy, beg, borrow or steal
and all you create and all you destroy
and all that you do and all that you say
and all that you eat and everyone you meet
and all that you slight and everyone you fight
and all that is now and all that is gone
and all that's to come
and everything under the sun is in tune
but the sun is eclipsed by the moon.

Testo della canzone (traduzione italiana)

Eclisse

Tutto quello che tocchi e tutto quello che vedi
tutto quello che assapori, quello che senti
e tutto quello che ami e tutto quello che odi
tutto quello di cui diffidi, tutto quello che difendi
e tutto quello che dai e tutto quello che tratti
e tutto quello che compri, chiedi, prendi a prestito o rubi,
e tutto quello che crei, tutto quello che distruggi
e tutto quello che fai e tutto quello che dici
tutto quello che mangi e tutti quelli che incontri
e tutto quello che disprezzi e tutti quelli che combatti
e tutto quello che è presente, tutto quello che è passato
e tutto quello che dovrà venire
tutto quanto sotto il sole è in sintonia
ma il sole è eclissato dalla luna.



Lo sento dentro stasera.
Solo questo.


Franz.K

Grazie a http://www.riflessioni.it/testi_canzoni/pink_floyd.htm

mercoledì 28 aprile 2010

Mulino bianco.



















 [http://www.youtube.com/watch?v=Y1SK6WF0EU8&feature=related]


Anche io.
Come tutti.
Ho  creduto
Che potesse esistere.
Il mulino bianco.
La felicità del suo risveglio.
Preparato almeno in 10 ore di lavoro.
Quindi senza sonno.
Paradisiaco.
La serenità di una colazione.
Dolce.
Soprattutto di cuore.
Di buone intenzioni.
Di discorsi allegri.
Già di prima mattina.
Di giorni senza pioggia.
Solo di sole.
Mai da soli.
Avrebbero dovuto andare avanti.
Fare un film.
Anche sul dopo colazione.
Ma forse si sono stancati troppo anche loro.
Ad immaginare anche solo una colazione.
Anche se sarebbe stato bello.
Sapere il dopo.
Vederlo.
Tutto uguale.
Tutti i giorni uguale.
Ridente.
Leggero.
Giulivo.
Avrebbe fatto bene.
Al morale.

Mi immagino.

Auto gelatinose, con piloti sorridenti.
A far riverenze a chi passa per primo.
Inchini.
Sorrisi.
E poi saluti.
E auguri di buona giornata.
Mai neppure un graffio per le polveri sottili nella gelatina delle loro carrozzerie.
E poi il lavoro.
Che bello.
Colleghi comprensivi.
E premurosi.
Antistress.
Morbidi.
Gommosi.
A svolgere compiti sensati.
Intelligenti.
Sorridenti.
Da non servire neppure le ferie.
La mobilità.
La cassa integrazione.
Poi i ritorni a casa.
Per strade sempre differenti.
Mai noiose.
Sempre piene di buone sorprese.
Di opportunità.
Di nuovi sorridenti amichevoli incontri.
E la famiglia.
Che ti aspetta.
Forse le mogli non lavorano.
E crescono i figli e basta.
Dato che ti aspettano a braccia aperte.
Oppure non lavorano gli uomini.
E aspettano a braccia aperte le mogli.
Che lavorano.
Insomma, si può scegliere.
Anche il colore degli occhi dei figli.
Il loro carattere.
Attitudine.
Per non restare delusi e deluderli della tua delusione.
Da rianimare in un litro scarso d’acqua.
Senza passaggi adolescenziali.
Senza problemi.
Prima di un bel programma.
Televisivo.
Liofilizzato.
Ma insolubile.
E di un riposo sereno.
Prodotto da una bevanda speciale.
Di cui non si dovrà mai sapere la natura.

Anche io.
Come tutti.
Ho  creduto
Che potesse esistere.
Il mulino bianco.
E forse non mi sono sbagliato.
Nel crederlo possibile.

Franz.K

martedì 27 aprile 2010

Passo.

















Come l’uvetta.
Dentro il Legendario.
Rum speciale.
Che ne prende il gusto.
Dell’uvetta passa.
Come credo di farlo prendere io.
In questi tempi.
Alle cose che mi circondano.
Che mi proteggono, anche se mi sciolgono.

Mi sento passo .
Come un ananasso.
Disidratato.
Come un dattero.
Come una prugna.
Lassativa.
Come una mela.
Lasciata troppo al sole.
Passata nel caramello.
Di una notte felice.

Mi sento proprio passo.
Mi accade di rado.
Spero passi presto.
Che passi il passo.
Per fare un altro passo.
Meno passo.
Più caramellato.
Più dolce.
Molto più lungo di una notte.
E meno lassativo, soprattutto.

Forse è stata la Dordogna.
Chissà.
Abbiamo preteso troppo.
Da un viaggio troppo lungo.
Preteso di tornare ancora freschi.
Non passi.
O forse è stato il viaggio successivo.
Già da passo.
Secco.
Il ritorno è stato peggio.
Ancora meno idratato.

Vedrai che passa.
Mi sono detto stamattina.
Anche se aumenta.
Ogni giorno di più.
Quella bella sensazione.
Di crema idratante.
Protettiva.
Acquea.
Fragrante.
Delicata.
Come una moneta fresca su una ferita.

Come una spremuta.
Di agrumi freschi.
Con ghiaccio.
Mango.
Ribes.
Con ghiaccio.
Come il mio bene.
La mia sorgente.
Che non passa.

Franz.K

lunedì 26 aprile 2010

Bic da combattimento.




L’incontro si può dire.
Sia stato casuale.
Non voluto.
Assolutamente.
Stesso reparto.
Differente follia.
E sesso anche.
Quindi nulla in comune.
Per la guarigione.
Nulla da condividere.
Che non fosse un semplice dettaglio.
La voglia di combattere.

Disperatamente.
Non cedere.
Alla tentazione della normalità.
Del quotidiano molle.
Molliccio.
Afoso.
Appiccicoso.
Non cedere.
Non darsi per vinti.
Meglio il reparto con lo svolazzo del cuculo.
Che le stesse parole.
Sempre gli stessi significati.

Meglio lo psyco-fish.
Cibo da matti.
Fatto di nutella spalmata sul salame crudo.
Con finale a sorpresa.
Altro che bistecca alla milanese.
Altro che.
Discussioni a non finire.
Su raccoglimenti infantili.
Di persone sbadate.
Che non riescono assolutamente a capire.
La differenza fondamentale.
Tra neonati e bottiglie di champagne.

Non parliamo di questioni personali.
Come l’eucalipto sottomarino.
Mai riconosciuto.
Come alterazione genetica di una cernia.
Da combattimento.
Si intende.
O come certa bellezza malcelata.
Vergognosa.
La fusioni di suoni linguistici.
Le spurie.
Gli accenti.
E le regine musicali.

Tutto per non cedere al consueto.
Al molle.
All’amorfo.
Così adesso giochiamo ai lati estremi del reparto.
Con delle cerbottane.
Fatte con delle bic.
Ci spariamo pallottole di pensiero.
Con le cerbottane.
Fatte con delle bic.
Che ho reso pieghevoli.
Per non farci scoprire.

Franz.K

domenica 25 aprile 2010

Perle ai porci.




 [http://www.youtube.com/watch?v=3HaoTyRb2fM&feature=PlayList&p=C99D0715BFA51964&playnext_from=PL&playnext=1&index=1]


Dai vangeli:

In Matteo 7,6:
Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.

Non posso confondere.
Quello che sono io.
Non posso.
Non dare perle.
Al mondo.
Che balla assatanato.
Sulla piattaforma di argilla umida.
Non posso.
Evitare il mio dono.
Le mie perle.

Cosa ne sarebbe?
Se non divenissero del mondo?
Cosa avrei guarito?
Per cosa avrei vissuto?
Io.
Che sono nato con perle nelle tasche.
E sfere d’acciaio tra le gambe?
Di cosa potrei temere?
Le perle non uccideranno i porci.
E gli acidi dei porci non trasformeranno le perle in escrementi.
E  la verità è troppo forte per potere essere sbranata.

Date le vostre perle al mondo.
I porci diverranno nobili pensieri.
Convinti dalle perle.
Non calpestati.
Solo convinti.
Dall’evidenza del loro splendore.
Tanto che anche i porci terranno alla loro igiene personale.
Che non saranno più gli stessi.
Davanti allo splendore delle perle.
Alla loro verità.
  
Cosa c’è mai da temere?
Se non di noi stessi?
La nostra porca natura.
Che cede alle tentazioni dell’assoluto.
Della superiorità.
E mai cede.
Alla virtù di un confronto.
All’umano di un confronto.
Perché è una perla il confronto.
Quanto è porca la sua negazione.
Il suo tradimento.

Non potrò mai confondere quello che sono io.
E non posso.
A costo della vita.
Non dare le perle che ho in tasca.
Non dispensare chi mi ha dispensato.
Di un dono così grande.
Così tondo e luminescente.
Da riflettere luce sul buio.
Troppo duro e forte per  essere morsicato.
Dalle fauce voraci dei porci.
Né da essi finire sbranato.

Diamo le nostre perle.
Ai cani.
Ai porci.
Senza timore.
Senza paura.
Senza che possano sbranarci.
Perché è a loro che servono.
Le perle.

Non  al gioielliere.

Franz.K

Le nostre convinzioni più giustificate non riposano su altra salvaguardia che un invito permanente a tutto il mondo a dimostrarle infondate. (John Stuart Mill)

sabato 24 aprile 2010

Comete lagunari.




 [http://www.youtube.com/watch?v=jP7U-RWUN1c&feature=related]
 [Slideshow]



Abbiamo camminato fianco a fianco giù per gli stretti viottoli dell'antico borgo.
Uno di fianco all'altra.
Volevo fosse così, senza ombra alcuna di possibili fraintesi.
Volevo solo il tuo bene, io volevo che potessi vedere il tuo bene.
E volevo farti un dono.

Tanti anni prima, conciato da buttar via, a volte, andavo sulle acque di quel lago perché il loro calmo e caldo abbraccio restituisse un po’ di colore al mio viso.
Ho fatto un patto con le acque di quel lago per l’aiuto che mi hanno reso nel ricucire le mie profonde, sanguinanti ferite.
Ferite  che mi avevano inciso gli uomini e la vita.
Ferite che comprendo adesso in gran parte mi ero procurato da solo.
Così ho chiesto al lago di custodire la mia anima laggiù, nel profondo, incontaminato, dei suoi abissi.
Di custodirla e conservarla.
E il lago ha accettato.
Da quel tempo è il luogo della mia anima.
Un giorno, quando sarà il mio giorno, tornerò a prenderla, per riportarla nella sua casa, nello strano, meraviglioso mondo da dove è venuta.

Così siamo arrivati nella piazza dell’antico borgo.
Ti ho chiesto di andare fino alla transenna, di andare a guardare, da quel posto, l’isola splendente e illuminata.
Guardandola, avresti finalmente visto la tua bellezza, ti saresti specchiata in lei.
Non ho mai visto cosa più bella che potesse rendere giustizia, almeno un poco, alla tua bellezza.
“Guardati , io ti aspetto qui sulla panchina”.
“Guarda come sei bella”.
Eri tornata tu, non eri più piegata in due dal peso della tristezza, qualunque essa fosse, per qualsiasi cosa fosse.
Ti guardavo vederti finalmente, e guardavo il cielo e lo splendore della luna.
“Dalle un segno, dalle un segno, ne ha bisogno” danzavano i neuroni propiziatori, dentro alla mia nuca con una cicatrice sotto un ciuffo di capelli rossi.
“Dalle un segno”.

Il cielo è stato tagliato in due dalla luminescenza di una stella che sembrava non volesse mai finire la sua corsa.
Era immensa e mai vista quella cometa che all’improvviso ha illuminato il lago a giorno prima di tuffarsi dentro.
Un caso, sicuramente, quasi sicuramente un caso …….

Ti sei girata e io ti sono venuto incontro.
Con un sorriso.
Incontrando il tuo.
Adesso il tuo viso era di nuovo il tuo bel viso ….
Adesso potevamo tornare.
Spero tu non abbia dimenticato.
Spero resti, dentro te, per sempre.
Di avere visto e conosciuto tutta la tua bellezza.
Perchè è stato il mio dono per sempre.

Il dono di un bimbo con una cicatrice sotto un ciuffo di capelli rossi.

Franz.K

Dedicato ad un ricordo vero e indelebile.

venerdì 23 aprile 2010

Quattro stagioni.




 [http://www.youtube.com/watch?v=7qNIyLe57vM&feature=related]


I figli delle quattro stagioni.
I loro frutti.
Del sole e della terra.
Dell’acqua e del sudore.
Degli uomini.
Del loro disperato tentativo di capire.
Del loro necessario capire.
Delle loro necessità.
Per sopravvivere.
Alla fame e al freddo.

I figli delle variazioni delle quattro stagioni.
Del bello o cattivo tempo.
Delle pestilenze e della fortuna.
Della malattia o della salute.
Degli uomini.
Nella loro rincorsa disperata.
Per  capire.
Per avere meno necessità.
Più tempo.
Per la felicità.

I frutti delle differenze delle quattro stagioni.
Della loro singolarità.
Dei meridiani e dei paralleli.
Differenti.
Di uomini di razze differenti.
Nella loro differente necessità.
Per cercare di capire.
Le compensazioni.
Le differenti capacità.
I singolari impossibili.

Così abbiamo inventato il denaro.
Per dare valore alle cose.
Misura.
La misura del valore.
Per capire.
Le possibilità delle quattro stagioni.
Di quelle appena passate.
Per sopravvivere alle successive.
Una cosa buona.
Il valore delle cose.
Secondo la misura del denaro.

Ha funzionato e funziona.
Forse è l’unico modo per avere meno problemi.
Meno caos.
Per capire quando è bel tempo o tempesta.
Quando far “costare” poco perché c’è “troppo”.
Ma soprattutto non dimenticarsi del cattivo tempo.
Quindi non far costare troppo poco perché c'è un possibile cattivo destino delle stagioni del futuro.
Intanto che si cerca di capire perché siamo qui.
Intanto che si cerca di sopravvivere a qui.
Non sarebbe poi tanto complicato.
Anzi sarebbe una cosa buona.
Protettiva.

Il valore delle cose secondo la misura del denaro.

Almeno per le cose e i frutti delle quattro stagioni.
Cioè per quelle che possono essere troppo o troppo poco ma esserci “per sempre”.

Poi abbiamo inventato il denaro un’altra volta.
Per i figli e i frutti della pressione e del tempo.
Cose che non appartengono al ciclo delle quattro stagioni.
E che finiscono.
Abbiamo usato la stessa misura per due condizioni differenti.
Opposte.
Sarà una cosa buona?
Misurare il valore dei figli della pressione e del tempo.
Quelle che finiscono.
Attraverso il denaro?

Franz.K

giovedì 22 aprile 2010

Linguaggio e Pensiero.




 [http://www.youtube.com/watch?v=tZrBRQn6K0A&feature=PlayList&p=6B838C416CD0C2DB&playnext_from=PL&index=0&playnext=1]
Differenti.
Per dire le stesse cose.
Dire.
Per far sapere.
Agli altri.
Le nostre percezioni.
Differenti.
Basta spostarsi appena un poco.
Qualche centinaio di metri a volta.
Per  non comprendere più nulla.
Suoni.
Modulati.
Onde.
Percezioni.
Del cosa e non del come.

Pensieri.
Non è possibile.
Che siamo meno di un chip.
Meno di una discretizzazione.
Fine.
Multipoint.
E che crediamo nel bluetooth.
E non crediamo nelle nostre percezioni.
Evolute.
Ancestrali.
Ma sicure.
Se solo provassimo a sentirci.
Se solo avessimo la fiducia.
Che sia vero.
Sentirci.
Attraverso sensi ancora non decodificati.
Quindi medioevali.

Empirici.
Magici.
Non certi.
Per la procedura logica.
Di una codifica.
Certificata.
Iso.
Sincert.
Visio.
Pensieri.
Senza periferiche.
Senza captazione.
Senza prove provate.
Per prove logiche.
Sensate.
Meglio un linguaggio.
Di suoni certi.
Frequenze campionate.

Certe.
Rassicuranti.
Altro che pensieri.
E sensazioni.
Meglio linguaggi senza senso.
Per uomini trogloditi.
Senza senso.
Che fanno andare avanti il mondo.
Senza senso.
Verso un baratro.
Senza senso.
Eppure sono io l’anomalo.
Il difforme.
Il detestato.
Io che cerco verità.
Non bugie.
Non linguaggi ma pensieri.

Bugie.
Verità.
La bugia è un’invenzione di linguaggio.
Usa verità certe e le confonde con i suoni di parole conosciute.
Vecchie verità acquisiste.
La verità è il nuovo.
Vero.
Ma nuovo.
E quindi estraneo.
Differente.
Difforme.
Inaccettabile
Per le nostre sicurezze.
Più facile accettare una bugia.
Che placa e rassicura.
Che una verità
Che inquieta.


La bugia è sempre vera, perché è un’invenzione degli uomini.
Che usa verità vecchie e acquisite.
Come il linguaggio.
La verità è quasi sempre falsa.
Distruttiva.
Disturbante.
Perché è nuova.
E usa cose nuove, sentimenti.
Non consueti.
Ma veri.
Forme evolute.
Nuove e vere.
Altrimenti non sarebbe necessario cercarla.
La verità.
Che usa cose nuove, come le scoperte.
Come il pensiero.
Insieme al sentimento.

Linguaggi e pensieri.
Bugie e verità.
Confusione e futuro.
Vecchia babele e nuove felicità.

Stasera sono lontano.
E c’è brezza di mare.
Non protetta da montagne.
Fino a qui nell’entroterra.

Ma stasera sono felice.
Di amare.

Franz.K

mercoledì 21 aprile 2010

Movimenti immobili.




 [http://www.youtube.com/watch?v=02DURB-aw2Y&feature=related]


Piacere di muoversi.
Di far fatica.
Di sudare.
Con tutta questa santa fatica.
Che non comprendo.
Come non comprendo molte altre cose.
La conquista.
Lo sfogo.
L’impresa.
La potenza.
L’impotenza.
La vittoria.
Il dolore.
La resistenza al dolore.

È intelligenza?
È virtù tutto questo?
Evoluzione?
Utilità?
Valore aggiunto?
Augurio?
Dono?
Scoperta?
Conoscenza?
Illuminazione?
Ingegno?
Santità?

Un giorno mi sono svegliato.
E ho deciso di provare a provarmi una cosa.
E ho costruito una macchina.
Sì, un’altra ancora.
D'altronde è quello che so fare.
Senza troppa fatica.
E così ho costruito la macchina dei movimenti immobili.
Con la quale è possibile fare movimento da fermi.
Senza alcuna fatica.
Anzi.
Come se ti facessero delle coccole.
Delle carezze.
Perché sembra logico.
Che se vuoi stare bene.
Non puoi prenderti a botte.

Prendersi a botte.
Credo abbia un motivo, solo per un motivo.
Doversi per forza abituare al dolore.
Alla sua sopportazione.
Alla sua convivenza.
Perpetua.
Perenne.
Allora lo capisco.
Allora ti devi allenare.
Per alzare la soglia percettiva.
Non per divenire più forte.
Ma meno debole.
Cioè più abituato, non più convinto.
Più duro, non più tenace.
Dentro e fuori.

Mi sono guardato attorno.
Non troppo.
E ho preso una decisione.
Per quella bizzarra macchina.
Del movimento immobile.
La solita decisione.
Quella che ho preso anche per le altre.
Mie folli macchine del bene.
Di ritirarla.
Almeno ancora per un po'.
O forse per sempre.
Chissà.
La verità sembra meno credibile della bugia.
Forse per sempre.
O forse solo ancora per un pò.

Chissà.

Franz.K

martedì 20 aprile 2010

Profumo di Libertà.




 [http://www.youtube.com/watch?v=Vv0LoCvd9PA]


La Libertà.
Il suo profumo.
Il buono spesso del suo profumo.
La Libertà ….
Per essa prego.
Perché ne ho bisogno ogni giorno.
Del suo profumo.
Spesso.
Delle sue buone intenzioni.
Dei suoi sensati motivi.
Delle verità a cui conduce.
Dei suoi meravigliosi capelli castani con sfumature rosso cupo.

La Libertà.
Ha un profumo.
Un profumo buono.
Di cose buone.
E io prego.
Perché ogni minuto tutti ne hanno bisogno.
Di quel suo profumo.
Di quel respiro.
Di aria venuta da fuori.
Che scambia ansie di afa e gelo con fresco.
Con calma.
Con tutto il bene della sua sussurrata tiepida voce.

La Libertà.
È molto di più di un profumo.
È un essenziale non un’essenza, cioè basta il suo profumo.
E così non vorrei, ma prego.
Perché ogni secondo l’universo ne ha bisogno.
Di quel sorriso.
Essenziale.
Per il corso del fiume.
Per il suo disegno.
Che possa dipingere certezze.
Senza macchie, senza ombre.
Come attraverso lo sguardo sereno dei suoi splendidi occhi scuri.

Almeno il profumo della Libertà.
Io prego.
Per noi.
Per tutti.

Franz.K

lunedì 19 aprile 2010

100'S.




 [http://www.youtube.com/watch?v=l7fiQ7l8LvY]


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Bionde.
A tutte tinte
Slanciate.
E filanti.
Profumate.
In modo inebriante.
Morbide.
E sode.
Vestite.
Dentro l’oro.

Spogliate.
In un attimo.
Incorruttibili.
Praticamente.
Ma pronte a incendiarsi.
Con nulla.
Di fuoco lento.
Ma succulento.
Caldo il giusto.
Con classe.

Calmante.
Con stile.
Eccitante.
Se serve.
Ad una ad una.
Oppure una dietro l’altra.
Lentamente.
Voracemente.
Con gusto.
O per gusto.

Troppo evidente.
Ne sono consapevole.
Eppure me ne sono fatte molte.
Troppe.
Da vero gigolò.
Da amante passionale.
Incallito.
Inguaribile.
Ossessivo.
Ossessionato.


Da tutte.
Di più.
Formato da re.
O da “100”.
Slim.
Magnum.
Leggere.
Forti.
Nazionali.
Straniere.

In un botto da 10.
O da 20.
Alcune volte da 19.
Ma sempre a 100 per volta.
Per giorno.
Senza poterne fare a meno.
E senza capire il perché.
Quell’insanabile malattia.
Della passione per le bionde.
Irrinunciabile, ossessiva.

Fino ad una notte.
Quando ho fatto un sogno.
Che avevo già anche sognato forse.
Un sogno strano.
Pieno zeppo di  uno strano profumo.
Pieno zeppo di ammoniaca.
Che trapassa la corteccia cerebrale.
La madre dura.
E allora non decidi più tu.
Decide l’ammoniaca.

Perché i vestiti delle bionde sono zeppi.
Di quello strano profumo.
E non mi sono sentito più libero di decidere.
Della mia passione per loro.
Di quella inguaribile ossessione.
Di farmene anche più di cento al giorno.

E dal giorno dopo ho messo la testa a posto.
Con una sola stupenda ragazza dai capelli neri.

Franz.K

domenica 18 aprile 2010

Gemme.




 [http://www.youtube.com/watch?v=PpJjLAaSX5I]


Eravamo in fila indiana.
Uno dietro l’altro.
Ogni dieci quindici una torcia elettrica.
Una semplice candela per quelli più spaventati.
Uno dietro l’altro, in fila indiana.
E la notte era davvero spaventosa.
Nessuna luna.
Nessuna speranza.

Eravamo le gemme dell’albero nuovo.
Cresciuto sul precipizio di un torrente in piena.
Un albero che prometteva radici forti.
E tanti frutti.
Di cui noi eravamo le semplici gemme.
Senza sapere nulla di torrenti e precipizi.
Giù in fila indiana, uno dietro l’altro.

A parte quelli spaventati.
Quelli con la candela in mano.
Ridevamo tutti,  eravamo solo eccitati.
Nel scendere quel buio, non vedendo neppure dove finivano i piedi.
Avevamo fiducia.
Delle nostre guide, persone affidabili.
Con ancora meno paura di noi.

Le acque del lago appena abbandonate erano scure.
Niente luna quella notte.
Solo torce elettriche e candele per i più spaventati.
E le preghiere dette prima di partire.
I riti propiziatori.
La luce morente del falò.
Che si allontanava velocemente, mentre velocemente, al freddo della notte, moriva.

Mi basta questo stanotte.
Non voglio null’altro.
Nessuna parola in più.
Solo il ricordo di tutte quelle gemme mai sbocciate.
Quella verità che adesso appare luminosa.
In una notte troppo buia.
Che sono sceso lungo il precipizio senza candele né torce elettriche.

Da solo, ancora una volta, e senza alcuna paura.

Franz.K

sabato 17 aprile 2010

Oggetti non identificati.




 [http://www.youtube.com/watch?v=tdT933cAfD0&feature=PlayList&p=1440B88DB2ED47E8&playnext_from=PL&playnext=1&index=12]


L’altra sera ho visto una sedia.
Tentare di danzare.
Le ho chiesto il motivo di tutta quella vitalità.
Di quella voglia di muoversi.
Si era stufata di essere un oggetto di riposo.
Basta con quel sedentario da sedia.
Così si è fatta staccare una gamba.
Inutile per la stabilità.
E di troppo per danzare.
Con tre adesso sta molto meglio.
E riesce a svagarsi.
Oltre che servire da seduta di comodità e di riposo.
Non ci voleva poi molto per farla felice.
Anzi ci voleva meno.

Appena di fianco un paio di scarpe brontolavano anche loro.
Ne avevano davvero basta di contenere piedi sempre di fretta.
Sudati.
Scomodi.
Piedi che a volte le storcevano tutte per ficcarsi dentro e le scaraventavano via per liberarsi di loro.
Erano davvero arrabbiate.
Tanto che avevano deciso per una manifestazione.
Pubblica.
Quasi sindacale.
Si erano incollate al pavimento.
Con le stringhe tutte per aria.
Così vicine e ordinate da essere incalzabili.
Allora  ho tolto loro le stringhe e le ho lucidate.
Ma non so proprio come me la caverò domani a piedi nudi.

La caffettiera ha chiesto di sibilare più forte.
Per non rischiare di bruciarsi in continuazione la guarnizione.
Il porta abiti di non essere troppo sovraccarico.
Di inutili indumenti mai ritirati al loro posto.
La scopa di non finire sempre in luoghi bagnati oltre che sporchi.
Da dove ne esce sempre sporca in modo poco rimediabile.
E poi il rubinetto con la goccia al naso.
Stufo di guarnizioni fatte all’estero.
Introvabili quando si rompono.
E non vi dico il cibo nel frigorifero e il frigorifero.
Un disastro.
Un litigio insanabile.
Uno che vuole più fresco dentro.
L’altro che scoppia di caldo fuori.

Insomma oggi non è stata un gran giornata.
Almeno per gli oggetti.
Che non avevano identità.
Come tutto il resto forse.
Cose assurde.
Visioni senza senso.
Forse perché ero io così.
Mi sono sentito oggetto oggi.
Tanto che gli oggetti erano l’unica entità comprensibile.
Di pari natura.
Mi sono sentito uno di loro.
Usato.
Nel modo in cui si usa un oggetto.
Quasi sempre senza troppo riguardo.

Anche io avrei voluto lamentarmi.
Fare un sit-in.
Decidere un cambio di utilizzo.
Ma ho incontrato un problema insormontabile.
Tra tutti quegli oggetti.
E i loro problemi.
Di identificare bene il mio.
Tanto da non riuscire a identificarmi.
Nemmeno tra loro.

Franz.K