domenica 28 febbraio 2010

Lettera di rabbia.




 [http://www.youtube.com/watch?v=8mvjHfYLqPw&feature=related]


La pelle dei tuoi polpastrelli sotto le tue dita.
Quella  appena sotto le tue unghie.
Era stata costruita per il bianco e il nero delle pene e delle gioie di una fisarmonica.
Non per spalmarti le guance con il rosso del sangue.
E neppure per scavarci solchi con disegni tribali.
Senza alcun tema preciso.
Le fedi perdute non valevano quella maschera di squame di pelle sovrapposte.
Nulla mai ne varrebbe davvero la pena.
Ma tu sei tu.
Differente.
Troppo per una comprensione.
E lo hai fatto.
In modo irrimediabile.

Difficile comprenderti, capire un perché.
Senza imparare a volerti bene.
Anche se  volerti bene diventa una trappola.
Una tagliola.
Dove rimanere intrappolati a tuo piacimento.
A tua discrezione.
Volerti bene pretende dimenticarsi di potersi volere bene.
Dedicarsi completamente, aspettando di diventare inutili.
Per essere scartati definitivamente.
Buttati giù dal balcone senza aspettare l’ultimo dell’anno.
Come la buccia di un limone spremuto, nel bidone dell’umido della raccolta differenziata.

A quel punto, non basterebbe sapere.
A quel punto nulla può bastare per placare il male che senti dentro.
Uguale alla maschera delle tue cicatrici.
Disordinato come loro.
Senza alcun tema preciso.
Un malessere tribale.
Che non dipende dall’abbandono.
Ma dal bene perduto.
Ancora peggio quindi.
Forse troppo uguale al tuo, di male, quello con cui hai affilato le tue unghie.
O forse peggio.

Dove le hai ritirate, a proposito, quelle lame?
Cioè, le hai ritirate?
Una curiosità dici, per sapere?
Non serve sapere, non consola, lo ripeto.
Non pensare al perché della domanda.
Potresti non capire.
Voglio solo sapere se hai ritirato le lame.
Se hai smesso di affilarle.
Se non brillano più almeno.
E non scavano più.
Nella carne e nella terra.

È per rabbia che è necessario regalarti della musica.
La rabbia di tutti gli scheletri dentro il tuo armadio.
Di tutte le tele di ragnatele colorate per metà.
Dell’iride piena di virtù delle tue pupille.
Per la rabbia degli iridologi che l’hanno letta.
Senza sbagliare neppure un dettaglio.
Anche se non potevano sapere tutta la verità.
Perché non ti hanno voluto bene, ovviamente.
Quindi senza sbagliare ma anche senza capire.
È per rabbia che è indispensabile regalarti della musica.
La tua solita preferita.

Il silenzio.

E, nel caso fosse possibile, senza smettere di volerti bene, ovviamente.

Franz.K

sabato 27 febbraio 2010

Pesca della rana.




 [http://www.youtube.com/watch?v=tYj9cmVjyfk&feature=related]


La pesca della rana è un tipo di pesca assolutamente scientifico.

La pesca della rana non potrebbe mai essere un tipo di pesca sportivo.
Perché?
Perché, volendo, è possibile uccidere solo l’esca.
Una rana molto piccola.

Se alla sera non pensi di poter avere una gran fame, ad esempio.
Almeno se lo credi possibile quando sei ancora in tempo.
Per una decisione dico.
Sarebbe possibile uccidere solo l’esca.
Una rana davvero molto piccola.

Un altro caso è se non hai amici.
Amici a cui mostrare e dimostrare la tua abilità, intendo.
Amici con i quali sentissi mai la necessità di farlo.
Si potrebbe pensare di uccidere solo l’esca.
Una, al massimo due rane molto, molto piccole.

Si potrebbe proseguire a lungo con gli esempi ma non voglio dilungarmi.
Anche se la questione dei morsi delle zanzare va ricordata.
Ecco, se non ne hai subiti troppi e quindi per rabbia non hai ucciso le ranocchie già pescate, saresti ancora in tempo.
Sarebbe possibile uccidere solo l’esca.
Non ho ricordi proprio precisi ma giurerei mai più di tre piccolissime rane.

Spero sia evidente il perché la pesca della rana non è un tipo di pesca sportivo.
Ho riletto attentamente e mi sembra di essere stato sufficientemente chiaro.
Speriamo.
Dimenticavo un ultima cosa.
Molto importante.

Nel caso si vada a pesca della rana, nel caso si decida di farlo, ovviamente.
Un piccolo consiglio.
Che anche gli anziani pescatori raccomandano sempre.

Per non sbagliarsi meglio uccidere qualche esca in più quando si parte per la pesca della rana.

Tanto sono davvero piccole.

Franz.K

venerdì 26 febbraio 2010

Occhiali da notte.




 [http://www.youtube.com/watch?v=MTQfNj9xYXE&feature=related]

Era tempo che avevamo programmato quel viaggio.
Un viaggio che non volevo sapere di fare.
Saremmo finiti in terre sconsolate, almeno per me.
Almeno secondo me.

Poi però tutto era  cambiato.
Anche per il pilota della navicella.
Un uomo davvero particolare.
Con lo strano vizio di guidare veicoli spazio-temporali.
Senza mai farsi male.
Tanto da riuscire ad andare piano, e tornare sempre presto.
Uno dei pochi, se non l’unico a riuscirci.
Era cambiato tutto da un po' di tempo.
Avevamo contratto tutte e due una tremenda malattia.
Tanto che tempo prima, in una parabolica verso sinistra, vicino alle stelle di sopra, mi aveva fatto venire le vertigini.
Offrendomi un semplice cucchiaino per la salvezza.
Solo il pensarmi completamente contenuto in esso mi fece trasalire.
Ma non mi guarì.
Sfortunatamente.

Anche lui però non se la passava un granché bene con tutti quegli acciacchi addosso.
Era messo solo un po' meglio di me.
Anche se però gli toccava guidare di continuo quella macchina infernale.
Un dispendio energetico che compensava ampiamente i peggiori sintomi della mia più profonda infezione.

Una notte mi portò addirittura sul dirupo di una vecchia cattedrale di monaci tibetani.
Mentre le particelle magnetiche non facevano che rimbalzare anche dove non c’erano sponde elastiche.
Una salita a piedi davvero faticosa.
Su per quella strada senza sponde né elastiche ne rigide.

Anche in quel modo, attraverso quel disperato tentativo non siamo riusciti a guarire.
Non ci restava che quel perfido, pericolosissimo viaggio.
Avremmo potuto farci male davvero.
Peggiorare le cose e chissà cos’altro ancora.

Così il pilota di astronavi a levitazione sonica  mi consigliò una strategia particolare.
Tentare con i numeri dispari.
E tentare senza tentennare soprattutto.
Giuro che ci provai, così deciso da tintinnare quasi, ma il destino, ancora una volta, non fu dalla mia parte.

Così l’imbarco sulla navicella fu tra i più febbricitanti, tremuli e solitari.
Per tutti e due.
Per lui che doveva guidare, in tutti i sensi, i flussi energetici disordinati.
Per me che intravedevo ore e ore di paura e di tensione.

Ecco, a volte bisognerebbe imparare ad avere più fiducia degli altri.
Almeno di qualcuno di loro.
Di quelli di cui non aver fiducia, si fa peccato.
Di quelli che sanno andare piano, e tornare presto.

Avevo il migliore se non l’unico al mio fianco.
A pilotare le contrazioni neurali e le danze arcaiche.
E io a tentare di guarirmi e di guarirlo.
Riuscendo forse solo a ferirlo con le lacrime.

La notte prima del ritorno era talmente affranto che il pilota decise di dormire sulla porta del bagno.
Sradicandola ovviamente dai suoi cardini.
Meglio il duro di un piano in equilibrio che la nausea di quel materasso privo di direzione.
Ma le lacrime ammorbidirono il legno e almeno  riposò serenamente.

Eravamo ormai prossimi ai piani inclinati delle terre d’ocra, verso il ritorno quando fece la sua parte.
Difficile credere che si possa trovare birra nell’iperspazio vero?
Eppure non ci crederete ma è più semplice di quanto possiate immaginare.
Così provò ad incastrarmi con un semplice boccale di quel liquido.

Cominciai a parlare una lingua sconosciuta.
Mentre lui si trasformava in una guardia del corpo.
Voleva anche lui provare a guarirmi.
Anche se nonostante la sua bravura, e lo stupore dei testimoni, non ci riuscì.

Le lacrime erano solo mie ormai.
Lacrime che sembrava non volessero finire mai.
E che in realtà non finirono mai.
Anche se il pilota, che era un grand’uomo, ebbe un idea geniale.

Con un codice segreto fece scattare la serratura di un particolare ripostiglio segreto della navicella.
Da dove tolse delicatamente un paio di occhiali scuri.
Metti questi,  mi disse,  e vedrai che riuscirai almeno a sopravvivere se non a guarire.
Come se a lui poi non servissero per la stessa ragione.

Ritornammo a bere un altro boccale di birra.
Con gli occhiali addosso, tutto mi sembrò molto differente.
Anche se lui continuò, per sicurezza, a fingersi una guardia del corpo.
E a rischiare, senza quelle lenti, la sua incolumità.

Da allora li uso molte volte.
Quando sono avvolto da troppo buio.
Mi rischiarano le idee.
E diventa tutto molto chiaro e luminoso.

Con su gli occhiali da notte.

Franz.K

giovedì 25 febbraio 2010

Macchina inutile.




 [http://www.youtube.com/watch?v=IJUu-xiJPx8&feature=related]


Un giorno che non sapevo cosa fare, ho costruito una macchina.
Una macchina molto particolare.
A vederla, un mezzo accrocchio.
Ma era in grado di fare cose mai fatte, credo.

Ti poteva far volare.

Lentamente.
È ovvio.
Non proprio senza sudare.
Evidentemente.
A mezzo metro da terra.
Non di più.

Ma ti poteva far volare.

Con davvero poco.
Un sorso d’acqua e un tozzo di pane.
Il minimo che serviva.
Non di più, in tal modo tutti avrebbero potuto volare, ho pensato.
E al posto di faticare diventavi allegro e gentile.
Tanto che potevi volare quanto volevi, anche tutti i giorni.

Volare con davvero quasi niente.

Così dopo averla costruita, ho deciso di provarla personalmente.
Tanto non avevo nulla da fare.
Sono  volato sulle cime di tutte le montagne delle mie terre.
E più volavo e più diventavo allegro e gentile.
E più diventavo allegro e gentile e più mi venivano in mente delle belle idee.
Anche se non tutti quelli che ho incontrato mi hanno creduto.

O forse anche solo capito.

Ho incontrato un falco.
Mi ha chiesto cosa serviva quella cosa.
Gli ho risposto che serviva per volare.
Si è buttato in picchiata in una risata fragorosa.

Ho incontrato un aeroplano.
Non ha nemmeno fatto in tempo a vedermi.
Non siamo riusciti a scambiarci un impressione.
Ero troppo vicino alla terra e troppo lento, perché potesse vedermi.
  
Poi ho incontrato un vecchio amico.
Che si arrampicava tutto sudato su per quella montagna.
Mi ha chiesto ansimando di quello strano accrocchio.
Ha fatto uno sguardo scettico ma soprattutto incredulo quando gli ho detto che l’avevo costruito io.

Più avanti ho incontrato una persona con un cagnolino.
Ho creduto che mi avesse sorriso.
Mi sono fermato per presentarmi.
Ma forse si è spaventata così tanto che non l’ho più vista.

Poi si è fatto avanti un'altra persona, una persona della televisione.
Che voleva sapere di quella complicata tecnologia.
Gli ho spiegato che era una cosa molto semplice, una buona idea non può essere complicata.
Allora mi ha risposto che, in tal caso, quella cosa non sarebbe interessata proprio a nessuno.

Alla fine ho capito che quella macchina era inutile.
Anche se faceva cose mai fatte.
Agli umani non interessava.
Ho deciso di smontarla e al massimo di usarla per me.
Per farmi venire idee migliori.

Anche se tempo dopo però è accaduto un fatto strano.

Ho incontrato una stupenda creatura.
Un piccolo miracolo della vita.
Sicuramente un essere non di qui.
Perché non poteva neppure camminare.
Allora ho rimontato il mio accrocchio.
Per fargliene dono.

È saltata sopra.
Ed è volata via.
A mezzo metro da terra.
Non di più.

Si è voltata per salutarmi con un vero sorriso.
Dicendomi solo due parole.

"Sono felice".

Franz.K

mercoledì 24 febbraio 2010

Ego-logia.




 [http://www.youtube.com/watch?v=lUaeC6mFHRQ&feature=related]


Io .
Perché io.
Perché tu non sai che io.
Non puoi immaginare, tu.
Cosa è stato per me.
Tu.

Sai quanti problemi ho?
Io.
Cosa puoi saperne tu.
Come puoi immaginarli tu.
Tu stai bene tu.
Altro che me.

Io ho fatto.
Io.
Ho fatto quasi tutto.
È completamente fuori dalla tua possibilità di comprendere.
E neppure immaginare.
Quello che ho fatto io.

Devo pensare di più a me.
Devo decidermi a farlo.
Così comincerai a capire.
Cosa conto io.
Tu che non riesci proprio a capire.
Come potresti?

Tutto quello che faccio.
Tutto il bello che sono.
Se solo avessi un po' più di tempo.
E fortuna.
Non so perché te lo dico.
Quello che potrei io.

Io posso capire.
Io.
Non tu.
Non è perché non ti credo.
È solo che non puoi.
È un limite non una colpa.

È la stessa cosa, ma per me è diverso.
Perché sapessi cosa ho passato io.
Cosa è stato per me.
Tu non puoi immaginare.
È differente da quello che è accaduto a te.
Non puoi capire.

Adesso vado.
Spero di non averti annoiato.
Dai non fare così.
Cerca di capire.
Con chi altro avrei potuto confidarmi?

Se non con te?

Franz.K

martedì 23 febbraio 2010

Aracnofollia.




 [http://www.youtube.com/watch?v=yqvYsbN1yEQ&feature=related

Ancora non molto tempo fa, nelle terre di mezzo comprese tra le alte vette e le paludose pianure,  resistevano leggende e credenze popolari davvero incredibili.

Sentite che storia.

Si era tra il cinquanta e il sessanta di un imprecisato secolo.
Due vecchi duraturi zitelloni si sposarono.
E lei andò ad abitare nella casa e nel paese del suo lui.
Sufficientemente distante dalla sua, almeno per i mezzi di allora, da sentirsi in terra straniera.
D'altronde l’uomo che aveva sposato aveva una bella azienda agricola e la disponibilità di una casa di proprietà.

Un uomo che aveva rappresentato da sempre un modello di rettitudine per tutti.
Un uomo oltremodo molto attraente.
E con un ottima posizione sociale.
Provate a pensare alle femmine del paese.
Quando dopo essere state rifiutate una ad una,  lo videro accasato con una straniera.

Ma questo è nulla.
Quell’uomo era anche particolarmente amato dai suoi familiari.
In particolare dalla sorella che affetta da una grave malattia congenita, non era donna da marito.
Ma anche dalla madre.
Non dal padre, per motivi molto particolari.

Perché il padre era stato per lungo tempo un vero donnaiolo.
Uno di quelli senza scrupoli né limiti.
Tanto che una delle sue innumerevoli innamorate decise di sposare il fratello per vivergli addosso tutta la vita.
Nella porta a fianco.
E quel figlio tanto più amato di lui dalle donne, quanto impedito dalla propria rettitudine a trarne gli scontati vantaggi, che si sposava a quarant’anni per amore, con una straniera, lo mandava su tutte le furie.

L’intrepida quanto folle amante del padre, aveva generato, attraverso l’unione con il fratello una stirpe maledetta.
Un figlio maschio anche da quella parte, maschio e unico.
Figlio non certo di buoni sentimenti.
Della vendetta di sicuro.
Una situazione che aveva fatto di quegli stretti cortili e appiccicose corte distanze, luoghi di tensioni elettriche oltre il milione di volt.

Ma torniamo alla nuova coppia di giovani vecchi sposi.
L’età avanzata di entrambe non lasciava molto spazio alla decisione della procreazione .
Era necessario sbrigarsi.
E non passò che qualche mese che nel ventre della donna sgambettava una vita.
Mentre nella triste casa del cugino, figlio della vendetta, la vita non voleva saperne di entrare.

Si racconta che ormai certa della gravidanza la lei straniera decise una sera di confidarlo al suo lui.
Poco prima di coricarsi, sprofondando nel morbido materasso di piuma d’oca.
Era raggiante e particolarmente bella di quella bellezza che solo la maternità è in grado di regalare ad una donna.
Lo prese per mano e conducendolo verso il talamo gli sussurrò la novella.
Poi,  seguendo il suo stupore con un sorriso, scostò con grazia le coperte e le linde lenzuola per coricarsi.

Lo sguardo di lui virò velocemente dal celeste della felicità al giallo cadmio del terrore.
Lei che era ormai affondata dentro il materasso si accorse del cambiamento e di un preciso punto del letto che gli occhi di lui fissavano sbigottiti e terrorizzati.
Un ragno di dimensioni mai viste stava iniettando il suo veleno nel braccio disteso della donna.
Un essere enorme, appiccicoso e ricoperto di vesciche purulente.

L’urlo della donna scosse i muri dell’intero villaggio.
Mentre il suo lui cercava di colpire con la cinghia dei pantaloni quel mostro per ucciderlo.
Ma quell’assurdo aracnoide schivate le frustate si infilò furtivo sotto le coperte ancora tese sul letto.
L’uomo le prese per il lato libero e le strappò con furia cieca, scoprendo il peggio di quella verità.
Da una grossa massa scura pullulante di movimenti schizofrenici si staccarono a raggiera una infinità di piccoli ragni.

La loro grande madre era ormai sfuggita mentre loro cercando di seguirne la sorte compivano il loro compito.
Lasciare il messaggio.
La spiegazione.
Di quell’assurdo accadimento.
Di quello spaventoso sortilegio.

Rincorrendosi in fila indiana sul candido bianco del lenzuolo e della vestaglia macchiata di rosso sul ventre, della donna svenuta, tracciarono con la loro corsa le trame di una parola.

Invidia.

Dicono sia accaduto veramente.
Anche se ogni volta che lo racconto stento a crederci.
Voi cosa ne dite?
Non ci credete vero?
Proprio come me.

Ma ditemi solo una cosa:

Cos’e quell’ombra scura che intravedete con la coda dell’occhio sulla vostra spalla sinistra?

Franz.K

lunedì 22 febbraio 2010

Veri esaurimenti.




 [http://www.youtube.com/watch?v=oyhxr0fmeUs]


Brutta notizia qualche giorno fa.
Viaggiavo verso le terre del tortellino quando il telefono ha squillato.
Ma la voce amica, pur consolatoria per la noia del viaggiare, portava cattive novelle.

Siamo tutti preoccupati per le carenze di risorse energetiche.
Per la fine del petrolio.
Per la complessità dell’uso di altre.

Tanto che alcuni collegano crisi e stagnazione economiche solo a questi fatti.
E non si può dire che siano nel torto completo.
Anche se non  nella completa ragione.

Risorse.

Non riesco a convincermi che esista una chiarezza sul concetto di risorsa.
Come trovo difficile essere compresi sulle leggi che governano la natura.
Non parliamo di temi come l’efficienza e la felicità.

La nostra vita su questo pianeta ha una fine, ma non solo essa.
Dopo una trasformazione, nulla è in grado di tornare all’origine di essa, se non con un apporto energetico superiore a quello che l’ha realizzata.
Nulla è “pulito”, nulla nell’assoluto,  “sostenibile”.

È come avere a disposizione un grosso congelatore.
Pieno zeppo di ogni ben di dio.
E sapere che le esigenze della nostra esistenza non finiranno che per vuotarlo.

E non c’è nulla di sbagliato.
Credo sia dimostrato come logiche troppo lineari siano in grado di produrre solo danni esponenziali.
Basta sapere che è così però, e rifletterci.

Magari usando un po' più di allegria per vivere.
E quindi molta più efficienza.
Che non è bieco risparmio, ma fruttuoso consumo.

Non avete l’impressione che manchi uno scopo?
Diciamo che quello che ci ha spinto fino a qui si è esaurito?
Senza discuterne la transitoria necessità.

Fruttuoso consumo per uno scopo chiaro e intelligente.
Altrimenti sarebbe di nuovo spreco per bieche speculazioni.
Senza alcun scopo chiaro ed intelligente.

Risorse.

La notizia cattiva è questa.
Siamo all’allarme rosso per la disponibilità di fosforo.
Che serve per fare medicine ma viene usato per infiniti altri scopi.

Lo stiamo per finire.
Altro che petrolio.
Uno dei 103 elementi- ingredienti del congelatore.

Forse è per questo che si cercano esodi su altre stelle?
Sarà sufficiente?
Trovare fosforo da altre parti?

Senza provare neppure ad usarne un po' qui in modo differente?

Avete capito sicuramente come …..

Franz.K

domenica 21 febbraio 2010

Natura morta.




 [http://www.youtube.com/watch?v=7m3MXeI7nUU&feature=related]

I due gatti erano in lotta per giocarsi la poltrona.
Come tutte le sere.
Senza tregua.
Quello nero, la femmina, soffriva da tempo di una grave forma di depressione.
Da quando gli era morto l’ultimo figlio, era crollata.
E insisteva, negli incubi che animavano  il suo sonno, a strapparsi a morsi il pelo dal ventre.
Alternando quell’assurdo gesto con miagolii e contorsioni.
Il primo figlio era nato deforme anche se morbido come la seta.
L’acciaio veloce di una carrozzeria di ultimo disegno non aveva notato il suo evidente strabismo.
La seconda, femmina, era finita nel morso senza pietà di un pitbull.
Fine lancinante e neppure troppo sbrigativa.
Ma la morte del terzo non aveva lasciato spazio per le conseguenze dei traumi alle sinapsi.
Che l’avevano condannata a quella poca vita spelacchiata e isterica.
Di madre troppo profondamente deturpata.

Sarebbe stato comunque troppo tardi per fare qualcosa.

E i quadri e i vasi da fiori si sarebbero ben guardati nel dare una mano.
I soliti immobili egoisti.
Buoni solo per sguardi compiaciuti anche se non sempre sinceri.
Cose da cui guardarsi.
Più che cose da guardare.

Anche le ombre appena staccate dalle pareti erano strane.
Diversamente dalla loro disponibilità ai cambiamenti, erano fisse e opache.
E pigre.
In modo dichiarato.
Anche provando a deformare il cono di luce, nessun segnale di collaborazione.
Sonnacchiose e stirate con nessuna apparente volontà di risveglio.

Davvero troppo tardi forse per fare qualcosa.

Il tubo catodico di 100 pollici di diagonale poteva essere l’ultima spiaggia.
Era costato una fortuna.
Alta risoluzione, immagini olografiche, effetti sonori della quinta dimensione e linee futuristiche.
Il grosso del mercato lo aveva premiato proprio per il design.
D'altronde all’interno i burattini e i mezzi busti parlanti erano sempre gli stessi.
Ma anche lui non sembrava avere intenzione di accendersi, di dare una mano.

Era veramente troppo tardi per tentare qualcosa.
Definitivamente troppo tardi.

Per non finire  ingoiati dalla solitudine.

Franz.K

sabato 20 febbraio 2010

Tempo senza Tempo.





 [http://www.youtube.com/watch?v=X1NRsojxmCo&feature=related]


È da tempo che penso al Tempo.
Alla sua intangibilità.
Al ridicolo che affrontandone la ricerca della sua natura, si rischia si correre.
E il tempo non da Tempo.
Ho la sensazione che ne esista davvero uno in minuscolo e un altro in maiuscolo.
Non so se è solo una sensazione.
Provo a parlarne.

Ad esempio, con il tempo riesco a misurare una distanza, sotto forma di velocità.
È un processo mentale complesso ma possibile.
E la velocità interviene secondo Albert, a definire l’energia.
Che dipende dal suo quadrato.
Quindi dal quadrato del tempo.

L’energia dipende quindi, oltre che dalle masse e dalle distanze, dal quadrato del tempo.

Forse è vero.
Perché in mezzora si può produrre, dall’immondizia, un litro di petrolio.
Spendendone parecchi litri in più.
Non è impossibile.
È svantaggioso.
Permettetemi, “poco efficiente”.
Proprio perché si pretende di produrlo in poco Tempo.
Se vendessi petrolio cercherei sicuramente di promuovere questo processo ovviamente.
Se vendessi petrolio e fossi certo che esso è inesauribile rispetto almeno alla durata della mia vita.
Così è certo che i pozzi petroliferi non è petrolio che estraggono ma Tempo sotto forma di denso, nero liquido.
Perché per formarsi ha impiegato milioni di Tempo.
Quindi è esso che soprattutto contiene.
E che durante l’ossidazione degli idrocarburi, noi liberiamo.
Usando per le nostre necessità, parte delle conseguenze della sua liberazione.
Come un po' di calore intrappolato insieme ad altre piccole cose che lui aveva faticosamente unito.
In secoli di Tempo di compressione.

Proviamo a pensare quanto ci si impiega, senza stancarsi troppo, a gonfiare la gomma di una bicicletta.
Poi, attraverso un piccolo foro, a sgonfiarla.
E più mi concedo del tempo per gonfiarla e più introdurrò in essa una quantità di elasticità-Tempo davvero grande.
Che se volessi averla restituita nello stesso tempo, risulterebbe piccola, uguale a quella che lentamente ho introdotto.
Quanto grande se trovassi il modo, ad esempio attraverso una piccolo foro, di liberarla senza controllo.
Un evento di grandissima intensità, quanto rapido esaurimento.

E il tempo misura le distanze.
È in grado di misurarle.
Così come le distanze sono in grado di condizionarlo.
Esso, e ciò che esso è in grado di trasportare.
L’esempio è semplice.
Più mi allontano da una fonte di calore e meno calore riuscirò ad avvertire.
Di nuovo una questione di Tempo.
Nell’allontanarmi aumento il valore della distanza e del tempo di arrivo della fonte, e con esso diminuisce la quantità di calore puntuale arrivata.
Come, al contrario, se volessi scaldare velocemente un oggetto, dovrei avvicinare la fonte di riscaldamento il più possibile ad esso.
Diminuire le distanze e con esso il Tempo di trasferimento.

Chissà .....
Forse vale anche il contrario.

È simpatico ma forse un pò pesante parlare del Tempo.
Ci vuole un po’di tempo per abituarsi.
Piano,piano.
In fretta, in fretta.

Quindi, tra un po di tempo, ne parleremo ancora.
Per capire quel “forse anche il contario”.
Lo faremo presto.

Perché il tempo non da Tempo.

Franz.K

venerdì 19 febbraio 2010

Esaurimenti passeggeri.




Ciao biro!

Che bella sei,

vuoi scrivere?

Vuoi correre veloce, veloce?

Con la tua morbida punta sulla carta?

Sono vuoto, vuoto, e, anche tu, a vedere il tratto che lasci,
mi sembri un po’ vuota, vuota ……!

Salutiamoci, dai.

Ti ripongo nel taschino della giacca.

Ti provo come gomma la prossima volta.
Come proverò anche me.

Completamente esauriti, almeno per stasera.

Franz.K

giovedì 18 febbraio 2010

Catenaccio all'Italiana.




 [http://www.youtube.com/watch?v=H2A3uqoI_iw]


Non capisco perché della famosa frase di Pierre de Coubertin, fondatore dei moderni giochi olimpici, non si riporta mai la versione ufficiale.

L’importante non è vincere ma partecipare”.
Credo che questa sia la versione popolare e più diffusa ma non rispondente perfettamente a quella originale.
L’importante non è vincere ma partecipare per vincere”.

Non so cosa ne pensate voi, ma secondo il mio parere  hanno significati addirittura opposti.
Perché nella prima riconosco o confondo, un non so ché di poetico e davvero “giocoso”.
Nel senso del divertimento del gioco come motivo sufficiente se non unico di partecipazione.
Io lo sempre capita così, fin da piccolo.
L’altra, quella originale, a mio avviso,  pone invece l’accento della massima virtù sull’opportunità di una partecipazione per il fine della vittoria.
La leggo come uno grande e grosso che permette a uno piccolo e brutto di sfidarlo, almeno una volta ogni tanto ad armi pari.
Concedendogli la possibilità di vincere addirittura.
Nulla di differente dall’intendimento degli antichi Greci, purtroppo.
Una guerra senza sangue e basta.
Riconoscendo oltremodo nell’attività fisica estrema lo strumento per un ottima salute e una necessaria educazione mentale alle regole.
Può darsi che io abbia mal compreso il senso della frase decubertiana ma è difficile che non mi ricordi di essere cresciuto in modo differente.
E ricordando anche voi, tutti vicini al mio modello educativo, credo.
La riscoperta dei giochi olimpici servì a colmare la necessità di una società che stava andando un po’ in malora tra ozi e vizi.
E non da ultimo la riscoperta avvenne nel nascente impero anglosassone.
Ogni impero, si sà,  ha necessità della sua arena.
Tanto che nella successiva trasformazione del gioco in sport sono tornate ad essercene di “romane” un pò dappertutto.
Trasformazione da divertimento in business.

Non è affatto una critica, mi sarà riconosciuto, ma una semplice constatazione.

Ora, l’attività fisica estrema non è vero che fa bene, anzi.
Nel distruggere miofibrille muscolari per un confuso e folle concetto di prestazione,  non fa che sostenere, dal basso, una cultura che si basa solamente sugli sprechi energetici.
È proprio la distruzione cellulare, non il lavoro compiuto, la causa di dimagrimento e insaziabile fame degli sportivi, nonché la necessità di integrazione artificiale del loro sostentamento.
figuriamoci quando applichiamo questo "culto" al resto.
Non sono neppure molto certo dell’effetto educativo,non del gioco, ma dello sport intendo.
Non credo sia necessario far esempi o ricordare particolari abitudini sociali per avere almeno dei dubbi.

Ma c’è di peggio secondo me.
Sono gli sport estremi senza olimpiadi, e senza regole.
Sono le imprese.
Perché anch’essi sono sport.
Non hanno alcun senso se non fornire stimoli altrimenti introvabili si direbbe, per nuove frontiere.
Ecco quello che intendo.
È quel maledetto “altrimenti introvabili”, che perturba oltre il disturbo.
Perché io credo invece “assolutamente trovabili “ senza grandi sforzi.
E senza alcuna necessità di imprese se usiamo l'intelligenza.

Essa non si confonderà mai in una gara.
Non troverà mai stimoli nella sfida a un invenzione o all'orgoglio.
E saprà premiarsi da sola.
Se riuscirà nel suo intento avremo vinto tutti.
Un po' di verità e un po' di ragione.
Cose davvero divertenti.

Che spero non abbiano mai necessità di una medaglia.

Franz.K

mercoledì 17 febbraio 2010

Gioco d'attacco.




 [http://www.youtube.com/watch?v=jbdPUiih020&feature=related]

Il “risultato”, quello che alla fine conta,  è inteso molte  volte, come successo, prestazione, affermazione.
Mi pare esista una stretta correlazione, nella storia degli umani, che unisce, in modo quasi imprescindibile, il “risultato, al “sacrificio”.

Personalmente devo ancora comprendere se il meglio di un uomo dipende da un atto di  “volontà” o da un altro, di “sofferenza”.
Sono nature che riesco chiaramente a qualificare come opposte nella mia mente.
Per poi fare un sacco di fatica a discernerle e separarle negli schemi del comune vivere, il mio per primo.
Forse è solo un mio dilemma , ma voglio provare ad approfondire.

Io personalmente affido il significato di un atto di “volontà” ad uno di origine essenzialmente intellettuale.
Cioè che sapendo usare molto bene l’intelletto, ci permette di raggiungere il massimo senza soffrire appunto.
Né di corpo né di mente.
Mentre quando, per taluni , non c’è che il soffrire, rimango inquieto sia dal risultato da raggiungere che dal suo scopo.
Come se solo in mancanza di altra dotazione si potesse usare solo quella.
Perché ho il convincimento che gli umani siano attratti univocamente dai benefici di nuove conquiste proprio per evitare la sofferenza ed i suoi stati.
Ed il meglio di essi  si può raggiungerlo solamente cominciando ad evitarli.

Magari sbaglio.
Magari ilo meglio è sempre  il limite, e il limite non può che essere sofferenza.
Oppure il meglio, a prescindere dal limite, richiede comunque sofferenza.
O forse non sbaglio e allora è vero che sono pochi ad aver goduto a dispetto di molti che hanno sofferto.
Anche per fatti solo speculativi e non di comune vataggio.

Sono molto combattuto anche da un altro interrogativo.
Che riguarda oltremodo i recenti sviluppi storici.
Se, almeno da qui in poi, conterà più il “come” del “cosa”.
Dato che il “cosa” lo possiamo raggiungere ormai in ogni modo e il fatto non risolve i problemi di aspettative e felicità.

Il “come” mi appare davvero come un nuovo sconfinato orizzonte.
Forse già in atto, forse naturalmente conseguente a quel “cosa” che ormai esaurita la sua funzione, muore.
Tutto troppo facile oggi quello che fino a ieri sembrava impossibile.
Tutto così facile da richiedere pochissime risorse dove ieri ne impegnava necessariamente di insostenibili.
Tutto più intelligente, in una parola.
E se adesso ci mettiamo a pensare al “come” cioè al meglio del “cosa” credo abbiamo davanti un infinito.
Non riesco a vedere crisi.

Poi dovremmo aggiungere anche nuovi “perché” , ma forse verranno spontanei nella virtù del nuovo percorso.
Spero i “perché sì” di nuovi necessari "come", e i “perché basta” di quelle "cose" che da oggi in poi non servono davvero più a nulla.
Nell’augurio di non trasformare il nuovo “gioco” ancora una volta in uno sport, cioè in una guerra senza sangue.

In una parola semplice:

senza soffrire.

Franz.K

martedì 16 febbraio 2010

Sogni mai sognati.




 [http://www.youtube.com/watch?v=Dp2GhLrJix4&feature=related]


I sogni mai sognati non possono produrre desideri.
Non sono veri.
Sono risposte senza domande.

Era un giorno di sole.
Era pieno giorno quando ne ho incontrato uno.

Come potevo crederci?
Era così differente da un sogno normale.
Così mai sognato.
E soprattutto non volevo crederci.
Non volevo sentirmi troppo differente, cambiarmi troppo.

Così ho provato ad inventarmi domande.
Ho provato a risvegliarmi.

Ma era un giorno di sole.
Era pieno giorno.
Ed era semplicemente vero.

Sono stato obbligato a cambiare.
A divenire differente.

A provare, per comprenderlo, a imparare a sognare.

Franz.K

lunedì 15 febbraio 2010

Anelli rigidi.




 [http://www.youtube.com/watch?v=hhhhfqiJ7nU&feature=related]

Universo anelastico.
Atto secondo.
Credo che senza elasticità non potrebbe funzionare nulla.
Dalle contrazioni muscolari di un uomo fino al rotolamento di una ruota.
Sembra incredibile.
Ma neppure una ruota sarebbe in grado di ruotare.
Né intorno a se stessa e neppure intorno ad un asse.
Non ci sarebbe movimento.
Di nessun tipo.
Forse neppure differenze di temperatura.
Né caldo né freddo.
È difficile da immaginare.
Ma credo sia necessario provarci.
Con calma ovviamente.
Un passo alla volta.
Ma credo sia necessario formarsi una chiara idea intorno all’argomento.
A prescindere dal tipo di vettore, non sarebbe possibile credo nessuno scambio energetico.
Di nessun tipo.
Di nessuna natura.
Temo non potrebbe esistere neppure la materia.
Di nessuna natura.
Di nessun tipo.
Deve esserci un segreto in fondo all’elasticità.
Come un’altro, in fondo al suo contrario.
E c’è una cosa che mi inquieta più di ogni altra.
Se senza elasticità può esistere il Tempo.
Una delle energie vere.
Uno dei miei più profondi crucci.
Una delle “cose” da sempre credute indeformabili e anelastiche.
Quindi imperturbabile.

Ho come degli anelli rigidi che mi stringono le tempie.

Sono sicuro che riuscirò a spiegarmi tutto, tra poco.

Appena mi sarà passata l’emicrania.

Franz.K

domenica 14 febbraio 2010

Messaggi criptati.




 [http://www.youtube.com/watch?v=E-af-k2P0g4&feature=related]

Tutto sembrava perduto  per sempre.
Era quasi certo ormai.
Morti in vita, l’uno per l’altra.
Nell’assoluto silenzio, alle massime distanze geofisiche:
praticamente a un tiro di schioppo.
Il bene sembrava essere stato definitivamente sconfitto.
Dentro il flusso invisibile di fitte onde elettromagnetiche filoguidate.
Il bene che per loro non poteva esistere.
Il loro bene.
Il più grande che mai forse si fosse affacciato ad un alba terrestre.
Una sinfonica sintonia senza uguali.
Quel bene che aveva permesso loro di conoscere il “Grande segreto”.
Tutto il suo tormento e tutto il suo stupore.
Fino a far splendere, nel bianco e nel nero, tutto il suo caleidoscopio.
Tutta la sua difformità.
Tutta la sua luce.
Quanto fastidio aveva rappresentato per gli schemi acquisiti.
Quanta rabbia generata ai bigotti e ai perbenisti.

Più che uno immenso e sconosciuto amore era stato processato come uno scandalo.
Uno scandalo eccessivamente scandaloso.
Anche dai progressisti intellettualoidi.
Figuriamoci dagli anziani bugiardi e dai finti senza peccato.
Figuriamoci se qualcuno di loro avrebbe rinunciato a un processo.
Fino al verdetto finale.
Fino alla condanna alla necessaria abiura.
E, nel non poter bastare, alla successiva, definitiva eutanasia.

Morti in vita dunque, l’uno per l’altra.
Alle giuste distanze.

Ma il bene, quell’immenso sconosciuto bene non voleva saperne di morire.
Neppure svenato da quella silenziosa iniezione di veleno moralistico.
Neppure nella morte della volontà degli interpreti prescelti.
Nulla da fare.
Aveva necessità di vivere, quel bene.
Proprio dove nessuno lo voleva e sopportava.
Così dimostrò di che pasta era fatto.
Ed escogitò un trucco.
Fingendosi morto senza morire.

Incise nelle targhe delle automobili di passaggio messaggi criptati.
Usando le loro lettere e i loro numeri.
Sconvolgendoli  nelle più belle parole d’amore.
Nelle più struggenti poesie.
Nella più estatica provata dolcezza.
Nella più reale e vera presenza e presentimento.
Lettere e numeri non piegati alla morte.
E neppure alla loro convenzione.
Incredibili simboli viventi e parlanti.

Se ne accorse lui per primo, poco prima che anche lei si convincesse.
Colpito da quella poesia impossibile, nel bel mezzo di una autostrada trafficata.
Mentre le targhe mutanti rimbalzavano, appese alle fumose veloci, nel loro andirivieni, da lei a lui e da lui a lei, i messaggi criptati.
Tenendoli vivi entrambe e in essi, vivo anche il bene.

BW ……”se tu mi ami , io non ti amo ……
468…… ma se io ti amo, …..attento a te!FC

So che non riuscite a credermi.
Ma la Carmen per prima, scappò un istante fuori da un vecchio long playing a 33 giri.
E per prima volle incidere una targa personalizzata, per quel progetto di bene.
Molti altri, più tardi, seguirono il suo esempio, così tanti, da formare lunghissime code.
Adesso forse mi credete di più, soprattutto se siete in viaggio.
Per smaltire tutto quel traffico esisteva  solo una possibilità:
liberare quel bene e lasciarlo vivere.

Dicono sia accaduto.

Il 14 febbraio del 2023.

Franz.K

sabato 13 febbraio 2010

Il cappello nero.




 [http://www.youtube.com/watch?v=MSZbNLZOE-Y&feature=related]

Era ormai vicino al mezzo secolo di età, mentre gli eventi storici incominciavano rapidamente a degradare.
Il canto dei Nibelunghi si apprestava a produrre echi potenti e incontenibili.
E, come adesso, anche allora, era  difficile non stare con il più forte.
Anche sapendo che non era un giusto.
E, al contrario, ancora più difficile credere in qualcosa che è tanto vero, quanto lo è per pochi.
Anche se è vero nell’assoluto.
È la tipica situazione dove un uomo prova a giocarsi a dadi.
Vincendo o perdendo sempre e solo con se stesso.

Ma lui non era nato giocatore.
Avrebbe sempre vinto in quel caso, data la dotazione naturale della massa grigia conservata nel suo cranio.
Un uomo di doti intellettuali davvero rare.
Viveva in collina e mondava la vite.
Uno strano quanto semplice  ragazzo sempre sorridente con tutti.
Con in testa una irremovibile convinzione: la Libertà.

Gli eventi rotolarono giù dalla china in davvero poco tempo, da lì a un po'.
Gli obblighi divennero sempre più pressanti.
I controlli più fitti.
Mai più risate, solo sorrisi di spaventata convenienza.
Le porte sempre più chiuse.
La necessità di particolari “carte” e particolari “metalli” nelle tasche  sempre più pressante.
Si intravedeva la guerra poco più avanti.

Ma lui amava la vigna e la Libertà.
Il respiro profondo.
Le risate e i canti all'unisono.
Aveva un sogno conficcato nella mente.
Il sogno della pacata giustizia.
Della gioia e della Libertà per tutti.
Aveva un sogno così forte che sembrava bastare contro gli incubi globalizzati di quel tempo.

Ma su per le vigne le cose erano cambiate.
Tutti lavoravano a testa bassa.
Nessuna allegria.
Nessun canto.
Quasi neppure più una parola.
La guerra aveva quasi la forma di un acino, tanto era nell’aria.

Tornò verso casa con la scusa di un malore e legati insieme pochi stracci partì.
Nessuno seppe mai per quei vent’anni che passarono di sua assenza, che fine avesse mai fatto.
Lo davano disperso in qualche sperduto alpeggio appena oltre il confine occidentale.
Non sbagliavano di molto, anche se era del suo mito che si parlava, non di lui.
Per lui erano passati secoli, non anni.
Tanto che il cuore, negli ultimi tempi, aveva cominciato a mostrare i segni di una sofferenza portata troppo a lungo.
Come tutto il resto del suo corpo.
Forse era giunto il momento per un’altra decisione.

Sentiva che le forze erano arrivate all’esaurimento.
Aveva sperato, tutti quegli anni lui, non combattuto.
Come avrebbe potuto combattere uno come lui.
Non aveva l’animo per sopprimere una formica.
Come avrebbe potuto sparare per uccidere un uomo?
La Libertà …..
La sua Libertà …… la sua dea.
Che nella sua illusione di poterla essere per tutti, non poteva né accettare né contemplare la morte di qualcuno.

Si racconta ancora adesso, nelle sere d’estate quando gli anziani si ritrovano sotto gli archi di mattoni degli ingressi dei vecchi cortili a prendere un po' di fresco, di quel lungo, infinito, incredibile giorno.
Erano tutti fuori, chi nei campi chi nelle vigne, uomini e donne.
Un giorno di inizio primavera, anche se il bel sole non impediva il pizzicare di un freddo ancora molto pungente.
Due ragazzine aiutavano la nonna nei lavori dell’orto, nei campi che aprivano l’orizzonte verso la valle del fiume.
Erano allegre e scanzonate.
Una donna di mezza età, poco lontano da lì, sbrigava, appollaiata su un covone di fieno, faccende meno faticose.
Sulla collina, in mezzo ai filari due uomini vangavano la terra ancora indurita dalla gelata notturna.
Se avessero girato lo sguardo verso sud avrebbero potuto scorgere, in lontananza, le compagne indaffarate nella semina stagionale.
Appena dentro al paese, nel cortile, una altra anziana e ricurva figura femminile badava ai bimbi più piccoli, sbrigando anche qualche faccenda nella stalla.

Si ritrovarono intorno al tavolo per la cena e tutti quella sera avevano una cosa speciale da raccontare.
Tutti erano inquieti per un particolare accadimento che mai avrebbero potuto immaginare comune.
E nessuno di loro fino quasi alla fine del desinare ebbe il coraggio, per primo, di schiudere il proprio groppo.
Alla fine fu la donna più vecchia che parlò:
”oggi, mentre ero in cortile si è affacciato un tipo strano al portone, tutto infagottato dentro un pastrano lungo e sporco;
si è fermato senza alzare lo sguardo da sotto il cappello e dopo averci osservato per un poco è scomparso ……. per un momento ho pensato fosse lui …… il mio ……..”
Le storie di tutti esplosero in una ressa di voci sempre più preoccupate.
Era passato da tutti l’uomo nero e sconosciuto e da tutti si era fatto notare e tutti si era soffermato a guardare.
Chi poteva essere?
C’era la guerra e quella figura, non era contenuta dentro quella guerra.
Era di una altra forse, una differente, cosa era venuta a fare lì?

Quando si arriva a questo punto, il racconto degli anziani seduti sotto gli archi di mattoni, si fa molto sottovoce.
E si stringono vicini con le sedie.
Perché potrebbe accadere di sentire ancora l’urlo del treno in corsa ……..
Poco prima  di sentire l’urlo della vecchia madre che invoca il suo nome, un istante prima, con le mani strette sul ventre.
Poco dopo che alla fine si potesse comprendere tutto.
Quando bussò all’uscio un messo del comune.

Con in mano i brandelli raccolti da sotto un treno, di un cappello nero.
I brandelli della Libertà.

Davvero poche settimane prima della fine della guerra.

Franz.K

venerdì 12 febbraio 2010

Sensazionale pubblicità.




 [http://www.youtube.com/watch?v=dC_odQqqWhs]

Stava attraversando l’ingresso dell’ospedale.
Era cupo e pensoso.
Chissà cosa avrebbe letto sull’esito degli esami.
La tachicardia sinusale lo prese tra sotto e sopra.
Ma lo sguardo di quegli occhi azzurri  e il sussurrato
buongiorno, come va?”
superavano qualsiasi soglia del cardiopalmo.

E sarebbe sopravvissuto se solo fosse riuscito ad immergersi rapido nella ressa della folla densa come il mercurio.
Se tutto almeno si fosse fermato a quel punto.
Ma appena tentato il tuffo, appena sopra, ben altre due coppie di rètine luminose lo inquadrarono sorridenti.
come mai tutta questa fretta?”
va tutto bene?”

Povero uomo.
Che triste destino.
Era stanco e vecchio e malandato.
Non meritava quella sorte.
E forse era anche malato di cuore.
Chissà se avesse rifatto l’esame ora.
Chissà che esiti!

Possiamo esserle di aiuto?”
sembra un tipo simpatico”.
sa che sarebbe anche non male se solo si riguardasse un po' di più?”
almeno nel vestire dico!

Quanto tempo era che nessuno gli aveva detto una cosa così carina?
E poi piatta o non piatta ma quel viso era di una splendida figliola.
Provò a guardare dietro, decidendo per una sosta almeno.

Mentre la folla nella frenesia del suo fluire, lo incocciava come un birillo vagante.

Beh dietro ……
Dietro  sembrava tutto normale.
Mediamente quello che ti saresti aspettato di trovare.
Un po' di ruggine.
Un po' di niente.

Ma davanti “loro” imperversavano.
perché ci cerchi dove non siamo?
guardaci negli occhi, sei così interessante .. ..

Si ricordò di un tizio che un giorno vedendo una sua geniale invenzione sbottò:
che razza di scienza è questa?

Pensò che forse non era tanto differente.
Quello che gli stava capitando.
allora vuoi scambiare quattro chiacchiere con noi?
dai, non fare il timido .....!

Gli urti del torrente di folla erano sempre più intensi.
Non poteva crederci.
Perché gli altri non sentivano?
Non era il suo cuore allora il problema.
Ma la mente.

Era pazzo.

smettila di pesarti pazzo.. !"
sei un privilegiato, null’altro!
un prescelto”.
raccontaci di te, avanti, hai delle preoccupazioni?
confidati!”.

E cominciò a parlare.
A voce alta.

Mentre la folla indifferente lo urtava senza riguardo.
Come se non esistesse.

E allora vuotò il sacco.
A quelle meravigliose facce piatte del piatto cartellone pubblicitario.
Che prometteva occhiali da vista con effetti speciali.
E senza paragoni.
E parlò.
E parlò.
E alla fine tornò verso casa.

Senza alcuna necessità di esiti di stupidi esami elettrocinetici.
Il suo cuore stava bene.
Perché mai il dubbio di un suo malore?
Si stupì solo di una cosa.
Durante il viaggio di ritorno.

Molte persone erano ferme davanti a immensi cartelloni pubblicitari.
Sospesi tra due robuste travi in nano composito.
Di fianco un piccolo tassametro a pochi centesimi l’ora.
Qualcuno doveva aver compreso.
Che la Felicità stava per finire.

Figurarsi l’Amicizia.

Franz.K

giovedì 11 febbraio 2010

L'aria di quella sera.




 [http://www.youtube.com/watch?v=CXfqE3TICdQ]

Il venerdì santo era appena passato.
E l’aria, quella sera, aveva un profumo indimenticabile.
Avevamo cominciato a giocare a nascondino.
E il campo si estendeva a tutta la città.

In quanti eravamo quella sera.
Verso le ombre lunghe dell’imbrunire.

Avevamo deciso di trovarci tutti alla base nord, una volta che il gioco fosse terminato.
Davanti al grosso palcoscenico della musica.
Dove i musicisti scaldavano corde vibranti e pelli di animali selvaggi.
E innaffiavano ugole secche con abbondante birra.

Forse eravamo più di cento quella sera.
E avevamo contorni sfocati nella fioca luce dell’imbrunire.

Le ragazze erano splendenti.
E colorate.
Avvolte in pelli di jeans.
O disinvolte, con le cosce appena perlate di leggero sudore, in minute minigonne.

Eravamo tutta la città quella sera.
E avremmo potuto essere chiunque , ognuno di noi.

Il palo al centro della piazza che portava le luminarie era zeppo di zanzare inferocite.
Ma non potevamo sentire il succhia-sangue delle loro punture.
Ci sentivamo come guerrieri in attesa della giusta guerra.
Quella santa, quella contro tutte le guerre.

Eravamo molti più di cento quella sera, sono sicuro.
E il tempo dell’imbrunire non sarebbe mai finito.

Avevamo corso tutte le strade della città, senza alcun affanno.
Non sembrava potesse essere vero.
Tutta la città era divenuta più piccola di un solo isolato.
Ed eravamo luminescenti come lucciole e vellutati come falene.

Il tempo delle ombre lunghe non voleva finire.
Mentre le nostre figure sfocate divenivano leggendarie.

Le ragazze si avvicinarono ai ragazzi.
Con i loro incantevoli profumi spruzzati fuori dalle ghiandole inguinali.
Fino a farli ubriacare di emozioni olfattive.
E di pulsioni cavernose.

Si sono baciati e stretti e arrotolati tutta la sera, i ragazzi e le ragazze della piazza.
Mentre cominciava a diventare buio.

E l’aria a diventare fresca.
in quell'aria piena di futuro.

Di quella sera.

Franz.K

mercoledì 10 febbraio 2010

Ricchezza.




 [http://www.youtube.com/watch?v=91R6O8Fx0FY&feature=related]


Chi non ha conosciuto un ricco?
Un presunto ricco.
Un vero ricco.
Un ricco di possedimenti e di danaro.
C’è ne un mucchio di ricchi e di presunti ricchi, da queste parti.

Tutti si “sono fatti da soli”.
Senza truffe e senza inganni.
È per questo motivo che hanno inventato “Fracchia” per i poveri.

Per consolarli un poco.
Rendendo loro, il peggio di loro.
In modo da costringerli all’autoironia, senza che se ne accorgessero.
In modo che non si sentissero troppo scemi, nell’essere rimasti poveri.

Eppure io di ricchi non ne ho conosciuti così tanti.
A dire il vero forse neppure uno.
È per questo motivo forse che sono rimasto triste .
E verso la mia veneranda età ha cominciato ad affliggermi l’ipertensione sistodiastolica.

Ditemi cos’è la ricchezza?
Secondo voi dico.
È possedimento?
Opulenza di risorse, dominio, gestione, potere?

Ho un parere controverso.
Forse perché tempo fa , non molto tempo fa, mi sono ritrovato ricco, io per me.
Quindi parlo a ragion veduta.
Almeno dal mio punto di vista.

Mi sono fatto tutto da solo.
Onestamente.
E mi è dispiaciuto non essere in buona compagnia.
Ma sono divenuto ricco e posso dire la mia.

E allora la dico.
La ricchezza è una cosa splendida.
Ma non è esercizio di potere.
E neppure possedimento o esclusiva.

La ricchezza non è disparità.
Non è ricatto.
Non è dominio.
E neppure superiore capacità.

La ricchezza che ho avuto in dono io, è una cosa differente.
È comprensione.
È accettazione della verità.
È possibilità talmente libera e infinita che non può che essere condivisa.

Non  ha tempo.
Non finisce mai.
Non dipende dalla fortuna.
E neppure dal rischio.

È talmente infinita la vera ricchezza che ti viene voglia di spartirla.
Non di risparmiarla.
Che senso avrebbe risparmiarla,  dato che è infinita?
Che senso avrebbe non condividerla?

La vera ricchezza  ha necessità di essere consumata proprio perchè è infinita.
Con tutti possibilmente.
È talmente una cosa bella e sconfinata che toglie il fiato.
Tanto da farti respirare.

Il bisognoso non ha necessità di chiedere.
Il ricco non ha bisogno di concedere.
L’uno non è mendicante.
Quanto l’altro non è santo.

Ma la sua virtù più grande è un'altra forse.
La più difficile da immaginare.
E se non mi capite lo capisco.
Perché forse per comprenderla è necessario averla vissuta.

La vera ricchezza concede una cosa di incommensurabile valore.
Troppo semplice e troppo impossibile.
Forse anche poco compresa quanto inimmaginabile.
Perché troppo sconosciuta.

La vera possibilità della scelta migliore.

Franz.K