mercoledì 31 marzo 2010

Case di fieno.




 [http://www.youtube.com/watch?v=jbdPUiih020]


Era quasi venuto il giorno della partenza.
Un novembre dai colori tristi.
Grigi e freddi.
Tanto come il suo cuore.
La città lo aspettava.
Con il cemento della famosa canzone.
Con l’abbandono dell’erba smeraldo della famosa canzone.
Era quasi ora di partire.
Il giorno dopo o poco dopo ancora.

Che tristezza.
A quella giovane età poi era ancora più forte.
A tinte più forti.
I suoi sette anni dipingevano con i colori di  Vermeer.
Tutte quelle struggenti emozioni.
Tutto quello che non avrebbe mai più potuto vivere.
I profumi.
Gli amici.
La libertà più di ogni altra cosa.

Saltò via sul ferro arrugginito della sua piccola bicicletta.
In cerca d’aria.
In cerca di ricordi a cui aggrapparsi.
Di acqua ristoratrice da portarsi nelle borracce della nostalgia.
Saltò e scappò via verso le strade di terra battuta.
Verso gli alberi che le cingevano.
Come in un abbraccio.
E le lacrime del rivo a lato.
Dentro cui depositare le sue.

Sfinito, tornò verso l’antico borgo.
Rallentando quasi per fissare ancora meglio i ricordi.
Prima di affrontare le prime abitazioni e la coscienza ancora più viva del distacco.
Lei sbucò fuori quasi all’improvviso.
Su una bici arrugginita anche lei.
Dal portone della sua casa.
Era la più bella coetanea del paese.
Con i colori di pel di carota.
E una certa timidezza nei suoi confronti.

Incrociando i loro ferri vecchi si fermarono a parlare.
Strano.
Non era mai accaduto, appunto perché c’era qualcosa di magico e preoccupante da sempre tra loro.
Ma era lei che aveva vinto la reticenza, fatto ancora più incredibile.
Forse aveva saputo della sua partenza.
E non poteva lasciarlo andare via così.
Senza dimostrargli almeno una buona intenzione.
Una palese dimostrazione di quei suoi giovani innocenti sentimenti.
A lato della scena , nei campi, una casupola di fieno, tipico ricovero di attrezzi contadini.

Lei la guardò girando un poco lo sguardo.
E propose di andare là dentro insieme.
A fare il gioco delle coccole e delle carezze.
Sulla pelle.
Nuda.
Lui le sorrise e annuì.
Corsero tenendosi per mano verso il fieno fumante di quella costruzione.
Si guardarono bene intorno per assicurarsi di non essere visti.
Nascosero i rottami delle bici e si infilarono dentro al tepore di quell’alcova.

I vestiti si sfilarono via veloci.
Tuffando i loro corpi nel caldo umido delle busche di paglia.
Nel loro intenso profumo.
E caldo abbraccio.
La pelle di lei era candida e morbida come la panna del latte.
Al passaggio delicato e armonico dei suoi polpastrelli.
Dalle spalle .... giù per i polsi ....... fino al ventre  ……
Mentre i respiri diventavano profondi.
E i battiti del cuore forti.

Le scostò leggermente le gambe.
Scivolando con la mano destra tra esse.
Dove tutto era ancora più morbido.
Più caldo.
Dove le delicate carezze le favorivano ancora di più sorrisi e respiri profondi.
Scatenando in lei secrezioni di profumi sensoriali inebrianti.
Mentre anche le sue mani giocavano con elementi nuovi di lui.
In trasformazione.
Dentro in quel morbido, duro del fieno.

Voci di contadini in avvicinamento li fecero scattare veloci verso i vestiti.
E in un momento erano già in sella ai loro rottami rotolanti verso le rispettive case.
Verso un indimenticabile sorriso di vero addio per sempre.

Era il mese dedicato ai desideri questo.
Ne avrei uno impossibile.
Da esprimere.

Tornare solo un momento indietro in quel tempo.

Franz.K

martedì 30 marzo 2010

Entropia.














 [http://www.youtube.com/watch?v=B_lJ2qN6Z-8&feature=related]


Che concetto difficile.
Non se ne parla quasi più.
Concetto che identifica stati di ordine e disordine.
Di possibilità di scambio di energia.
Di necessità di energia per ripristinare vecchie situazioni.
L’entropia.
Credo valga anche per gli umani.
Per i loro rapporti.
Per la loro vita sociale.
Per la loro morte sociale.

Ho un solo piccolo veloce pensiero.
L’entropia minima equivale al massimo ordine.
Quanto il contrario.
Due situazioni di non scambio di energia.
Di passività.
Di non vita.
Forse il senso della vita è proprio solo transizione.
Mentre le cose ordinate divengono disordinate.
Proprio in quel Tempo c’è la vita.
Quel Tempo credo sia la vita.
Il passaggio di stato.

Forse anche l’energia è tutta lì.
E dovremmo trovarne da trasformare un bel po'.
Un atto di intelligenza superiore.
Quindi buona.
Quindi nuova.
Come dovremo imparare a voler bene.
Davvero.
In un piccolo infinitesimo transitorio che è la nostra vita.
Essere felici quando il tappo del profumo salta via dalla bottiglietta.
Felici di goderne tutto il profumo fino alla completa evaporazione.
Perché alla fine finisce.

Forse anche per un sentimento è lo stesso.
Come quando ti innamori.
E scoppia il tappo del profumo.
Accendendo una miccia al disordine più totale.
Che continua e continua spargendo la delicata essenza.
Quasi fino a far scoppiare anche te.
Inducendo tutto intorno caos e precarietà.
E questa è bella.
Data l’inapplicabilità dell’entropia alle varie teorie del caos.
Quel pezzettino lì credo sia la vita.
Il resto non ho voglia di chiamarla morte.
Preferisco entropia elevata.

Nel massimo disordine di nuovo ordinato.

Del nulla.

Franz.K

lunedì 29 marzo 2010

Posture mentali.




 [http://www.youtube.com/watch?v=kFvGm0uxfLk]


Poco da dire.

Se non che mi sento scomodo.
Nel mio modo di pensare.
Ho l’ergonomia fuori posto.
Della sedia quotidiana.
Della mia mente.
Ho a posto il sedile dell’automobile.
Con sei gradi di libertà.
E neppure uno per la mia mente.
Ho motoriduttori epicicloidali di precisione.
Volante regolabile.
Sei airbag.
Che mi proteggono la vita.
E sette pastiglie di antidepressivo.
Che provano a proteggermi dalla follia.
Perché ho strane posture.
Mentali.
Sensi di colpa.
Crisi di panico.
Asma nervosa.
Sdoppiamento della personalità.
E secchezza delle fauci.
Ma ho il tergilunotto in felpa di canguro.
Anche se non vedo chiaro oltre al mio primo neurone.
Cinquecento cavalli modenesi e otto briglie brembane in nano composito.
Per accelerare e frenare in sicurezza.
E nessun sistema di controllo per le mie emozioni.
Ho la mente scomoda.
In una strana postura.
Poco ergonomica.
Della sedia della mia quotidianità.
Postura pericolosa.
Per i muscoli del pensiero.
In tensione ipertonica.
Più  duri del duro di un morto.
Più rigidi della follia.
Saranno i jeans troppo stretti.
Che mi danno alla testa.
Premendo su arterie inguinali.
Che mi danno impotenza.
Di pensiero.
Non conoscete nessuno?
Che tratta poltrone ergonomiche per la mente?

In libera vendita?

Franz.K

domenica 28 marzo 2010

Postalmarket.




 [http://www.youtube.com/watch?v=xxExvV9vpPk&feature=related][ da qui*]


Questa più che una storia è un ricordo.
Condivisibile forse solo tra uomini, senza che le donne possano offendersi.
Uomini di un certo tempo.         
Di una certa età.
Di quelli che hanno vissuto l’adolescenza o giù di lì, ai tempi del Postalmarket.

Lo ricordate di certo.
Quello spesso catalogo di vendite per corrispondenza.
Che capitò in tutte le case da un certo tempo in poi.
Vendeva di tutto.
Dalle sedie ai costumi da bagno.

Che spettacolo quel catalogo.
Per la nostra generazione piena di sogni oggi cinesi.
Quel patinato in quadricromia lucente.
L’ingresso dell’immaginazione del tutto possibile anche nelle porte delle povere case operaie.
Perché il prezzo non contava, era sufficiente il possibile esistere.
*
Figurarsi per noi dell’età delle scuole medie.
Dentro in quelle pagine erano raccolti tutti i sogni possibili, tutto le fatiche giustificate del nostro futuro.
E oltre.
Perché alcune cose fotografate là dentro non si poteva immaginare potessero neppure esistere.
Se mi concentro un po' mi vengono anche in mente con lucida precisione.

Credo lo distribuissero gratuitamente il catalogo di vendita per corrispondenza.
Anno per anno.
Con un crescendo di novità.
Mentre stava crescendo tutto.
Traffico, autostrade, Pil, consumi e  morti a causa di tutto questo.

E crescevamo anche noi.
Passando per le prime trasgressioni.
Le prime boccate di tabacco.
Le prime divise ufficiali del calcio o giù di lì.
I primi timidi innamoramenti.

Aspettando con fretta che tutto divenisse vero e possibile.
Che diventassimo uomini liberi da comandi.
Liberi di decidere i nostri certi ricchi futuri.
Liberi un giorno di comprare tutto quello che era fotografia nel catalogo del postal-market.
Almeno quello.

Ma ben altro è il ricordo.
Per quell’età di cui ho accennato prima.
Ben altro.
È il ricordo di quando sfogliando le pagine di quel catalogo arrivavi al capitolo: intimo femminile.
Appena dopo: moda mare.

Dopo l’antipasto un piatto unico da indigestione.
Perché non si sa bene come ma quando arrivavi lì, cominciavano strane cose.
Stranissimi effetti.
E scoprivi altre forme di crescita.
Altri fenomeni da Pil.

Le donne fotomodelle del capitolo intimo femminile del catalogo postal-market hanno avuto grandi responsabilità.
Quanti di noi hanno avuto in loro la prima amante virtuale?
Dai, non scherziamo, quasi tutti.
Ricordate per noi che vivevamo ancora nella completa censura, l’invincibile tentazione erotica di certe pose?
Di certe mutandine semitrasparenti, di certi reggi seni minimalisti, di certi ammiccanti sorrisi di innocente malizia?

Scommetterei e sono contro le scommesse.
Che quella porzione di pagine di quel catalogo in casa di adolescenti maschi erano tutte completamente lise.
Arricciate.
Un po' secche anche.
A scapito della normale usura di tutte le altre.

Scommetterei e proprio non mi piace scommettere.
Di quanto tempo tutte le nostre  madri ci hanno sollecitato a lasciare libero il bagno.
Di smetterla di chiuderci dentro.
Che non era possibile che tutti i giorni soffrissimo di tali coliche.
Che, sbraitando, maledivano i cibi dei tempi moderni che le procuravano.

E tutti noi siamo convinti che le nostre mamme non sapevano.
Penso che solo noi abbiamo creduto di essere ben nascosti.
Che nessuno potesse percepire il ripetuto ansimare dei nostri plurimi e rapidissimi solitari orgasmi.
Che pretendevano, per riaversi, un immediato cambio di pagina.
Cambio di fantasia.

Poi il tempo dello zabaione obbligato è passato.
E abbiamo cominciato ad avere la necessità di sentimenti per certe crescite.
Almeno qualcuno di noi.
Gli altri sono ancora lì.
Chiusi in bagno.

A voltare pagine.

Franz.K

venerdì 26 marzo 2010

Appuntamenti aborigeni.




 [http://www.youtube.com/watch?v=viNUf7pe2VM&feature=related]


Ricordate le credenze aborigene?
Quelle del Web 10.0?
Quelle per cui gli aborigeni australiani comunicano con il pensiero?
Senza alcun cavo o connessione cablata?

Ricordate anche la lei e il lui dei numeri percentuali?
Il loro drammatico amore?
Il loro incontro?
I loro baci appassionati?

Quale relazione chiederete?
Tra queste due storie.
Beh vi garantisco che ne esiste una incredibile.
Che vi racconterò.

La lei e il lui della storia non si videro più per un pezzo di tempo.
Niente telefoni, niente incontri.
Il “50-80” aveva spezzato le ossa ad entrambe.
Anche se lui era davvero un tipo ostinato, quanto lei molto indecisa.

Così ad un tratto decise di raggiungere il luogo dove l’aveva conosciuta.
Portandole in dono un pezzo delle sue mani.
Un dono sciocco e inutile.
Per il suo compleanno appena passato.

Era certo che lei avrebbe accettato l’invito a raggiungerlo.
Tanto certo quanto preoccupato per un ormai abituale rifiuto.
Ma la certezza superava la preoccupazione.
E una volta raggiunto il luogo la chiamò.

Lei non voleva davvero saperne più nulla.
Così tanto da implorarne la ragionevole scomparsa.
Basta.
Era il tempo di un addio definitivo.

Lui si inquietò davvero.
Capì che era finita.
Anche se attese fino a tarda notte sperando di vederla comparire.
E poi, disfatto, ripartì insieme al suo dono.

Non passarono che tre lunghi giorni e notti.
Tremendi per tutti e due.
Di certezze che rincorrevano dubbi per ritornare certezze.
Di draghi che combattevano altri draghi, di fiamme e d’inferno.

Tre giorni dopo lui decise di tornare in quel luogo.
Per seppellire almeno i resti di quella carneficina.
Per ritrovarlo sereno almeno quel luogo.
Se mai un giorno fosse passato ancora di lì.

Era tiepido l’alito dell’aria della primavera.
E lui era triste ma sereno.
Svoltò nell’anfratto di verde cieco della biforcazione.
E cosa vide?

Lei.
Lei che stupendamente vestita e raggiante lo aspettava.
Mentre una musica aveva provveduto a trattenerla un attimo ancora lì, nella sua attesa, la solita musica.
Un segno del destino.

Ditemi se non è vero che è una storia incredibile.
Ditemi quando mai da numeri e agende non vi è capitato almeno un piccolo ritardo, un inconveniente.
In un appuntamento.
Quando mai anche un telefono non è bastato a renderlo perfetto.

Certo che questi miei due cari amici sono due persone davvero fortunate.
Ma ancora prima due persone speciali.
Perché è stato affidato loro un peso speciale.
Che poi è un dono speciale.

Un sentimento vero.

Un’altra cosa da aborigeni.

Franz.K

Mary è felice.




 [http://www.youtube.com/watch?v=LPb8LhNB2hQ&feature=related]


Il vecchio non aveva considerato alcune cose.
Aveva al solito messo in primo piano i propri egoismi.
Con il solito cinismo.
Senza alcuna considerazione per lei.
Per quello che poteva esserci dietro a lei.

Era irritato e basta.
Da una quasi certa insufficienza.
Davanti al proprio importante ardire.
Irritato e rabbuiato.
Tanto che da tempo anche gli sguardi evitavano di incrociarsi.

Ma quella sera era anche triste quel povero vecchio.
Triste per amori perduti.
Amori ....
Illusioni.
Come mai gli era accaduto.
Nonostante la sua capacità di preveggenza.

Ogni Achille ha il suo tallone.
Tanto splendore nasconde sempre qualche buio.
Sempre.
Così ogni Achille ha il proprio Paride.
La propria freccia conficcata nell’astragalo.
Ogni Achille ha la sua morte.

E si sentiva morente quella sera.
E Mary non le offriva più bevande ristoratrici e occhi luminosi.
Da troppo tempo.
Così la seguì nel suo minuto di aria fumosa.
La seguì a discapito degli amici che aveva intorno.
La seguì per parlarle.

E le parlò.
E lei era contenta di parlare.
E lui le chiese.
E lei rispose.
Di una splendida bimba che la aspettava a casa.
Tutte le notti e tutti i giorni.

Facile giudicare Mary la bella.
Troppo facile anche per un vegliardo come lui.
Che rimase sbigottito di quanto male portasse dentro quella splendida creatura.
Di quanta tristezza.
Di quanta fatica.
Di lavoro e lavoro senza fine per quella bimba a casa che l’aspettava.

Le chiese perdono e Mary gli strinse le mani.
Amici.
Tanto che il vecchio si spinse avanti ancor di più con una promessa.
Tanto che Mary fu felice di accettarla.
Senza paure.
Senza timori.

Chissà.
È poi la vita che decide.
Ma adesso è cambiato tutto.
Adesso Mary ha molti riguardi per lui.
Portandogli le migliori bevande ed un sincero sorriso.
Senza necessità di sortilegi e formule magiche come di paure o chissà che.

Chissà.

Che tra un poco possano cambiare molte cose.

E che Mary e la sua piccola possano essere felici.

Franz.K

giovedì 25 marzo 2010

Perchè tu?




 [http://www.youtube.com/watch#!v=oi9oNeEdZNg&feature=related]


Già.
Perché tu?
E tutto un giorno e una notte e ancora un giorno, che ci penso.
Perché proprio tu?
Perché dover essere migliore proprio per te?
Perché uscire allo scoperto?
Della mia calda e comoda tana d’orso?

Era un giorno come tanti.
Uno strano giorno di caldo autunno.
Il sei di novembre.
Un  amico giorni prima, mi aveva parlato della montagna sacra.
Come durissima prova per la mia giovane macchina volante.
In grado di volare solo a pochi centimetri da terra allora.

Consultai le mappe, frenetico.
Possibile che non conoscessi quelle piste del cielo?
Possibile che mi fosse sfuggito un luogo di tale importanza?
Credevo davvero di conoscere proprio tutto.
Di avere sotto stretto controllo tutta la troposfera.
E invece l’amico aveva ragione, c’era un piccolo, immenso, anello mancante nella mia saputa arroganza.

Era necessario riparare immediatamente.
Il tempo per prepararsi.
Il tempo per decidere da quale parte.
Volare verso quella vetta.
Presi la più difficile.
Poi una volta lassù, avrei scelto per il ritorno.

E scelsi, una volta contemplata la cima.
Scegliendo  l’irreparabile.
Di planare verso valle dall’altro versante.
Bellissimo, planare insieme ai falchi, da quel lato.
Guardandoci negli occhi, io e loro.
Fino al tempo di dover atterrare.

Perché la tua figura saliva spedita.
Serena.
Sorridente.
Mentre io picchiavo verso valle.
Un incrocio?
Temo un crocevia.

Dovevo atterrare e atterrai.
Non potevi vedermi volare insieme ai falchi.
E' un segreto il mio, ancora oggi.
Molto ben travestito da favola.
E non devo nulla a nessuno e nessuno deve sapere nulla.
Nessun padre e nessuna madre.

Quello che devo lo devo solo al futuro e al bene che ho conosciuto, che ho con me.
E tu ti saresti inquietata se mi avessi visto volare.
E invece mi hai sorriso.
E io altrettanto.
Tanto da risalire e riscendere senza volare.
Quasi da farmi male, per rivedere quel sorriso.

Quindi perché tu?
Dopo tutto un giorno e una notte e ancora un giorno, che ci penso.
Perché proprio tu?
Perché dover essere migliore proprio per te?
Perché dover volare ancora più in alto?
Perché portarti con me?

Ho volato con i falchi.
Insieme a loro, con i loro occhi.

Mai avevo visto con gli occhi di un cerbiatto.

Il meglio di me.

Franz.K

mercoledì 24 marzo 2010

Macchine letali.




 [http://www.youtube.com/watch#!v=OdSsmEo4ndo&feature=related]


Che vita.
Che stress.
Corse, orari, scadenze, priorità.
Insoddisfazioni.


In quel quartiere, non differente dagli altri abitava un inventore.
Un pazzo.
Almeno quello che si pensava di lui.
Del suo strano modo di vivere.
Meno stressato di altri.

Meno paranoico.

E si decise quel gesto.
Quel fetido gesto.
Di parlargli.
Di porgli il quesito.
Per vedere se almeno lui mai potesse.

Togliere paranoie.

E il tizio era proprio pazzo.
Perché dopo tutto quel silenzio e quel distacco accettò che gli si parlasse.
E proponesse.
Ascoltando serio.
Di cose che prese seriamente.

Paranoie.

Di lì a non troppo tempo chiamò tutti sulla piazza.
E tirò fuori dal sottoterra in cui viveva la soluzione.
Una cosa semplice.
Una sedia con qualche appoggio speciale.
E non serviva neppure un granchè di tempo.

Per guarire dalle paranoie.

Ovvio che lui era un inventore.
Non un industriale.
E ne aveva solo una di quelle macchine.
Ma la gente cominciò a stressarlo.
A chiederne in gran quantità.

Per guarire dalle paranoie.

E lui dopo tutto quel tempo da sconsiderato sbagliò per la seconda volta.
E prese tutto sul serio.
E cominciò a costruire macchine e macchine di gran fretta.
Con corse, scadenze, priorità.
Fino all’insoddisfazione di poter soddisfare tutti.

Togliendo loro la psicosi delle paranoie.

Fino ad un giorno.
Quando si accorse di essere gonfio come un palloncino.
Di stress, corse, orari, consegne, priorità.
Che bastò proprio poco.

Un piccolo, pesante pensiero di insoddisfazione.

Che lo schiacciò quel poco, come serve poco ad un palloncino troppo gonfio.

Per farlo esplodere.

Franz.K

martedì 23 marzo 2010

Uovo di Colombo.




 [http://www.youtube.com/watch?v=a_vwxSZzVQs&feature=related]


Ho deciso.
Ieri.
Un po' all’improvviso.
Senza alcun sensato motivo.
E sono entrato come ultimo clandestino in un social network.

Persone che si cercano.
È affascinante.
Persone che non si conoscono proprio.
E si cercano.
Ci deve essere un motivo.

E continuo a pensare che l’energia sia Tempo.
Continuo a studiare e progredire modelli.
A dimostrarli.
In significati che divengono ogni giorno meno astratti.
Il Tempo come contenuto e non come contenitore.

E nei social network c’è tempo.
Tanto tempo.
Quindi anche tanta energia.
L’energia degli uomini.
Della loro intelligenza.

Ne sono convinto.
Al di là di qualsiasi speculazione.
Secondo il mio particolare punto di vista.
Dentro a quella necessità di comunicazione, di contatto, di scambio c’è la ricerca di un necessario nuovo.
La tecnologia del pensiero forse.

È da tempo che ne ho le prove.
E la tecnologia non è complicazione.
Non è valore aggiunto di spreco.
Non è conservazione della passata infelicità.
La tecnologia è il risultato semplice di intelligenze non semplicistiche, intelligenze multitasking.

La tecnologia non studia fenomeni ma soluzioni.
I fenomeni sono relativi alla Fisica.
Agli alfabeti matematici.
Alle certezze scientifiche.
Anche se fornendo soluzioni cambia i fenomeni.

Ho una strana sensazione.
Una buona sensazione.
Anche se è un processo agli inizi, quindi ancora un po' confuso.
Ancora all’affannosa ricerca dei meccanismi più efficaci ed efficienti per divenire chiaro.
La sensazione che le future necessità degli uomini passeranno sempre meno da oggetti.

Da cose.
Da complicazioni.
Da meccanismi.
Da imponenti trasformazioni energetiche.
Da colossal e mistificazioni.

E passeranno sempre di più da intelligenza capace di semplicità.
Capace di comprendere “per cosa”  prima che “quanto”.
E l’impresa è davvero storica.
Forse è per questo che ci stiamo cercando.
Per unire le forze del nostro tempo e del nostro pensiero.

Motori neurali.

Per vere tecnologie avanzate.

Quelle dell’indispensabile  semplicità e stupore “dell’uovo di Colombo”.

Franz.K

lunedì 22 marzo 2010

Miracoli di energia.




 [http://www.youtube.com/watch?v=Ig4gziKQfaA]

Una lampadina che fa luce senza calore.
Una locomotiva leggera e non troppo veloce.
Un motore che rimane acceso anche se deceleri in salita.
Una ruota perfetta perché abbiamo capito come funziona.

Nutrire con le erbacce cuccioli domestici.
Acqua pulita.
Vestiti comodi.

Non ammalarsi.
Sapere come non ammalarsi.
L’amore per la conoscenza.
Soprattutto conoscenza poco fumosa.

Non sudare d’inverno.
Tenere fresco l’universo.
Capire come posso arrivare da te.
Con il pensiero libero.

Nutrirsi bene.
Sporcare poco.
Riposare bene.
Vivere bene a lungo.

La nostra utilità.
Senza tempo.
Senza età.
Quindi felice.

Giochi non d’azzardo.
Giochi non di tempo.
Di futuro che non sappiamo.
Nessun gioco poco divertente.

La pulizia di un pensiero.
Di una azione.
Di un sentimento.
Di una passione.

Desideri sensoriali.
Per sentire voci.
Portate dentro.
Neurali.

Figli felici.
Con più strumenti di felicità.
Tutti felici.
Migliori in quanto felici.

Raccontarsi la vita.
Insieme, alla sera.
Senza illuminarsi d’altro.
Che di una buona compagnia.

Giocare con le emozioni.
Con una nuova matematica delle emozioni.
Comunicare con le emozioni.
Vivere le emozioni.

Volare a mezzo metro di altezza.
Senza affanni respiratori.
Rigenerando  cellule.
Sane.

Il bello della saggezza.
Dell’eleganza.
Di occhi bellissimi.
Di amori bellissimi.

Credo ancora qualche milionata o giù di lì di miracoli.
Che dobbiamo assolutamente capire, scrivere e in parte costruire, risolvere, io per primo.
Spinti dal desiderio della felicità.
Dalla comprensione di una necessaria felicità figlia di un’energia infinita.

Che sta per cominciare.

Che dobbiamo far cominciare.

Per noi e per i figli del mondo.

Con un vero miracolo di intelligenza.

Franz.K

domenica 21 marzo 2010

Energia dei miracoli.




 [http://www.youtube.com/watch?v=M-E3hU2pg5c&feature=related]


Una lampadina che si accende.
Una locomotiva che si muove.
Un  motore che “gira”.
Una ruota perfetta.

Un liquido contro le erbacce.
Il ghiaccio in casa.
L’acqua in casa.
Vestiti differenti.

Una medicina.
un medico.
Una scuola.
Un autobus che porta i bambini a scuola.

Il caldo d’inverno.
Senza il fumo del camino.
Un’automobile.
Senza l’importanza del suo fumo.

Un fornello.
Una lavastoviglie.
Le vacanze.
La pensione.

La sicurezza di un lavoro.
Per sole otto ore.
Per soli undici mesi.
La mutua.

Una villa a rate.
La ristrutturazione della villa a rate.
Che pagherai in cent’anni ma puoi comprarti anche una barca.
A rate.

Un detersivo per il bianco più bianco.
I biscotti del mulino bianco.
La famiglia della pubblicità del mulino bianco.
Che più bianco non si può.

Un profumo.
Il telefono.
Il telefono portatile.
Il telefono portatile con il touchsreen.

Figli all’università.
La migliore università.
Per figli migliori dei figli degli altri.
Treni avanti e indietro carichi dei migliori figli.

La televisione.
La radio.
la radioterapia.
La televendita.

La playstation.
Il pc.
Il web.
Il cinema.

L’aeroplano.
Il fitness.
Trovare il tempo per il fitness.
Trovare le medicine per il fitness.

Crema antirughe.
Il profumo per le ascelle.
Le tette finte.
Il viagra.

Credo ancora almeno un  altro migliaio o giù di lì di miracoli.
Che non ho tempo, voglia e prontezza per ricordare.
Costruiti con il desiderio e l’antica necessità dei miracoli.
Con l’antica e necessaria energia dei miracoli.

Quella che sta per finire.

Ma un amico mi ha detto che ne è valsa la pena finirla.
Che lui è felice.

Perché con tutto questo è riuscito ad avere fino a tre amanti tutte insieme.

Un miracolo ancora più incredibile, secondo me.

Franz.K

sabato 20 marzo 2010

Titanio magnetico.




 [http://www.youtube.com/watch?v=VWTrOW5QIek]


Era uno strano ufficio.
Largo ma soprattutto lunghissimo.
Occupato oltremodo da poche persone.
Per lo più sistemate sulle scrivanie vicine all’ingresso.
Dove incastrarono in qualche modo anche me.

Di lui mi accorsi dopo qualche tempo.
Perché arrivava prima e andava via dopo di me da quel luogo.
Stava là in fondo in fondo.
Tutto il giorno, nel massimo silenzio e solitudine.
In fondo a quel deserto di sensazioni, da solo con il suo terminale.

Ecco era venerdì quando mi accorsi di lui.
Perché ne vidi l'ombra passarmi a fianco camminando malamente.
Con uno splendido quanto disinteressato e forse un poco ironico, sorriso sul volto.
E una esclamazione ad accompagnare quel suo particolare disarmonico pendolo camminante.
Buona domenica e …… divertitevi!

Ci ritrovammo tempo dopo, fianco a fianco.
Schiacciati quasi l’uno contro l’altro.
Lavori di ristrutturazione della cattedrale imponevano il temporaneo trasferimento nella stanza delle scope e dei detersivi.
Che strano tipo.
Non spacciava una parola.

Ma quel silenzio non durò poi molto.
Chissà, le emozioni di naturali empatie scattano veloci in certe situazioni.
Così, ad un tratto, girandosi appena, mi fece notare come la mia postura interferisse sgradevolmente con la sua gamba sinistra.
Come la infastidisse protrudendola sgarbatamente.

Mi scusai prontamente spostando il fastidio dall’altra parte, su un altro collega, anche lui incastrato in quella irrespirabile scatola di sardine.
"Così va meglio, molto meglio" mi disse secco, "grazie".
E cominciò a parlare.
Tanto che anche i colleghi anziani rimasero attenti e stupiti.
Di come si era svolta la visita legale per l’assunzione.

Il tizio, il medico, lo aveva fatto sdraiare.
Chiesto nome, cognome, date, luoghi, mogli, figli e parenti, al solito.
Poi l’interrogazione su eventuali malattie.
Mentre, scostando appena i vestiti, applicava gli elettrodi dell’elettrocardiografo a polsi e caviglie.
“Scusi ma lei ha il cuore che non batte!”
  
No, grandissimo scienziato certificato e poco studiato.
Ho una gamba di titanio.
La cui natura amagnetica impedisce la trasduzione del segnale.
Tutto qui.
Una protesi.

L’asfalto era scivoloso.
E lui aveva voglia di vivere.
L’aria frizzante sparata a gran velocità sulla pelle del viso, come una bibita gasata.
La passione per le due ruote motorizzate.
Scivolare a Milano è cosa da nulla, anche se sei esperto, è cosa da destino.

E a Milano ci sono i tram.
Quelli con i piedi rotondi e rotolanti dentro a profondi binari.
Macchine da taglio secco e preciso.
Dovessi mai finirci sopra mentre passa “the ancient technologies”.
Dovessi mai non accorgerti che tu e il destino siete li sopra insieme.

Ma il dramma non finisce a questo punto.
Perché l’economia del 900 è fatta così.
Sembra non conoscere drammi ma solo beffe.
E parla e indaga in continuazione solo di torti o di ragioni.
Mai un neanche piccolo segno di sentimenti.

Così la colpa è sua e il tram, maledizione, è deragliato mentre gli recideva un pezzo di vita.
E deragliando ha perso anche lui una gamba rotonda e rotolante che è costata un sacco di soldi.
Che lui deve pagare perchè la colpa è sua.
Per la gamba di ferro magnetico guastata di quella stupida macchina primitiva.

Da dove passa la felicità?
Ditemelo voi.

Forse dall’amicizia che è nata da quell’incontro.
Da risate da star male mai più fatte con nessun altra persona.
Ridendo sopra e addosso ai nostri pezzi persi per la strada.
Ai prezzi acquisiti perdendo quei pezzi, per pagare i danni che abbiamo procurato alle macchine.

Meno male che il titanio addosso a lui ha cambiato natura.
È divenuto magnetico adesso.
E se gli attacchi un elettrodo trasduce il segnale.

Un vero segnale di cuore.

Non il fastidioso tintinnio di un tram.

Franz.K  

venerdì 19 marzo 2010

Bianchi e neri.




 [http://www.youtube.com/watch?v=CawWEIr8KDk]


Era davvero una brava persona.
Probabilmente nato così.
Fin da bambino distinto per la sua bontà d’animo.
Per la predisposizione verso gli altri.
Per la naturale tendenza alla disponibilità e all’ascolto.
Doti rare soprattutto se congiunte con un carattere forte e sincero.

La chiamata arriva, abbastanza presto.
Quell’annuncio.
Quell’inspiegabile, assurdo sentimento.
Che pretende all’improvviso di lasciare tutto, tutti.
Di votarsi a promesse senza apparenti sensati motivi.
A vestirsi da donna, in un certo qual modo, scambiando le braghe per una croce.

È una persona davvero intelligente.
E appena esplicate pratiche e praticantato gli si affida una parrocchia di un piccolo centro abitato.
In un luogo incantevole.
Forse il miglior posto per incominciare la sua missione pastorale.
Vocazione.
Dono a servizio degli altri.

Era davvero una splendida persona.
Nata sicuramente già così.
In una splendida famiglia.
Oltremodo bella e luminosa.
E splendidamente femminile.
Quindi morbida, rotonda, dolce.

Suo padre era l’uomo più apprezzato del paese.
Anche il più ricco di ricchezze materiali.
Ma non solo.
Un esempio per tutti di rettitudine e moralità.
Uomo di una volta come si usa dire.
Buono quanto forte.

Il nuovo parroco diventa in breve una persona molto considerata dalla comunità.
Quanto anche dal padre di quella splendida ragazza.
Quanto anche dalla ragazza .....
Ahi ahi ahi ….
La solita storia?
Quella dei polpettoni televisivi da migliaia di puntate?

Mi spiace no.
Vero Amore.
Quello a cui non puoi dire no.
Quello che capita a pochi.
Quello che diversamente dagli squallidi contenuti delle collane editoriali “leggere”, è vero.
Quello a cui nessuno crede perché non l’ha mai avuto, provato.

La più bella e virtuosa e ricca ragazza del paese e il nuovo aitante parroco.
E l’amore vero.
Sacro e profano.
Vergogna e scandalo.
Fino al rimbombare del pettegolezzo dei paesi vicini.
Quasi fino al desiderio della vendetta.

Almeno quella che trasale nel cuore del padre della giovane.
Perché proprio a lui questa sorte?
Perché proprio alla sua diletta figlia questa maledizione di destino?
Non poteva essere tutto normale?
Consueto?
Previsto, prevedibile, ragionevole, sensato?

L’eco non si ferma, rimbomba, dilaga.
Per lo scandalo di una insopportabile difformità.
O forse solo per l’inammissibile fastidio di un divino altrui.
Proprio divino, in quanto non umano nel non consueto degli umani.
Si tenta di tutto, con tutti i mezzi logici e repressivi di fermare quell’ignominia.
Anche se pur stremato, quel vero amore non vuole proprio saperne di perdere.

Se quel prete avesse compiuto nefandezze non avrebbe patito così tanto.
Forse al massimo un  trasferimento.
Quanto la giovane donna.
Che in eventuali abitudini ai facili costumi sarebbe stata almeno compresa, cioè avvolta dai più, al massimo.
Anche il padre avrebbe compreso e perdonato.
Avrebbero compreso e sorriso e accettato tutto di buon grado, anche gli abitanti del paese.

Tutto, in tal modo, più o meno uguale a loro.
Tutto normale.
Quanto è meglio un normale sporco comune  che uno splendore unico e differente.

Ma quel giorno, al suo risveglio, lui non indossò più quel lunghissimo abito da donna nero.

Per andare, vestito da uomo, incontro al suo amore.

Che lo aspettava, raggiante davanti alla chiesa, dentro uno splendido,  lunghissimo, abito da sposa bianco.


Franz.K

giovedì 18 marzo 2010

Numeri da corsa.




 [http://www.youtube.com/watch?v=F3P14qg9ac0]


L’altro giorno ho incontrato un tizio.
Che correva.
Velocissimo e senza respiro.
Per 44 kilometri.

Un’altra volta un altro.
Affannato e concentrato su una splendida bicicletta carbo-titanata.
Che correva.
A perdifiato.
Per 105 kilometri

Poi uno che non avevo mai visto.
Uno sconosciuto.
Che correva.
Sull’autostrada come un assatanato.
Per 2763 kilometri

Una donna, si, una donna.
Che correva.
Per aspettare il proprio bimbo alla scuola.
Correva preoccupatissima su un marciapiede.
Per almeno 352 metri.

Un pensionato.
Che correva.
Quasi al limite dell’infarto miocardico.
Verso l’ufficio postale.
Quasi 45 metri e qualche centimetro.

Un astronauta.
E correva davvero veloce questo.
Tutto avvolto dentro uno strano scafandro.
Non so bene dove fosse diretto e mi ha confidato di non saperlo neppure lui, ma aveva una lunga strada davanti.
Quasi un anno luce.

Potrei andare avanti ma mi fermo qui.
Tutti avevano in comune una cosa.
L’orgoglio.
Erano contenti di correre.
Tanto da essere contenti di raccontarlo.

Non aveva nessuna importanza che potesse essere pericoloso.
Quello che contava era un piccolo passo avanti tutti i giorni.
Qualche centimetro, metro kilometro o anno luce in più
Non contava neppure il motivo di questo incremento.
Contava sempre un po' di più e basta.

E tutti mentre dichiaravano il proprio record sorridevano soddisfatti.
E si sentivano una personalità precisa.
Identificata.
Rassicurante.
Identificabile.

Credo necessità sfortunatamente.
Mi preoccupa di più sotto forma di necessità.
Di necessaria identità numerica.
Che nulla ha a che vedere con le percentuali.

Vorrei saperli felici.
Essere certo della loro felicità nel correre.
Sempre più in fretta.
Della loro convinta necessità del correre.
Sempre più affannosamente.

Ho un un desiderio di notte inoltrata.
Cioè vorrei essere sicuro di sbagliarmi.

Che faccia male correre.

Franz.K

mercoledì 17 marzo 2010

Gnocco fritto.




 [http://www.youtube.com/watch?v=LlvUepMa31o&feature=fvw]


Era un tempo che avevo come miglior amica la tristezza.
E neppure il viaggio era stato tra i migliori.
Qualche discussione.
Qualche malumore.
Non tanto per gli zaini pieni addosso.
Ma per le troppe zavorre.

E quel pensiero fisso.
Impossibile da scacciare.
Che mi svegliava da tempo dopo troppo poco sonno.
Condizionando il ritmo cardiaco per tutto il giorno.
In continuazione.
Con quel rimbombare in tutti i pensieri.

Insomma non proprio il momento giusto.
Per essere il meglio nella socialità.
Nella predisposizione  verso gli altri.
Il mio amico lo sapeva.
E forse mi aveva condotto in quel luogo apposta.
Sperando potessi trovare un poco di pace.

E la trovai.
La trovai nella figura buona di quella stupenda anziana signora.
Magra come l’ombra della sera etrusca.
Un poco curva e piegata sul un lato.
Ma con uno sguardo.
Con degli occhi come vere porte della sua stupenda anima.

Mi trovai a casa, d’un tratto.
Mi ritrovai a sorriderle come se fossi tornato a casa.
E a parlarle come se ci conoscessimo da sempre.
Da sempre lei conoscesse tutto di me, della mia natura.
E io di lei, come se da sempre fossi entrato e uscito dal suo speciale bar, ristoro.

Il mio amico restò stupito anche lui.
Lui che era uno dei suoi due figli.
Rimase stupito di come fosse facile e naturale per noi parlarci.
Di cose che sapevamo da sempre.
Di entrambe.
Rimase stupito perché lei, normalmente, era un tipo silenzioso.

Prima di cena ci ritrovammo un istante da soli.
Lei già impegnata a cucinare.
Io seduto al tavolo della piccola cucina, dove mi aveva appena preparato e offerto un caffè di transizione.
Io e lei da soli.
In sintonia.
E parlammo di lui, di quel suo figlio, di quel dono e salvezza.

Perché quando rimase incinta di quella creatura, si ammalò gravemente.
Un figlio in seno e un blob appena lì vicino.
Un peso mortale, inguaribile, vicino ad una vita.
Vicino ad una vita speciale, una vita capace del sorriso e della positività della vita.
Un bene immenso separato da una sottile parete dall’immenso male.
Colui che avrebbe riparato molte cose, a dormire appoggiato sul cuscino dell’irreparabile.

Vinse la vita.
No, la dico come credo sia avvenuto davvero.
Come la sento dentro, da quel giorno.
Vinse l’amore.
Vinse a mani basse.
Vincendo due vite insieme.

E così parlammo di lui, io e lei da soli.
Parlammo di molte cose.
Di tante intere vite in dieci minuti.
Lei che spadellava girandosi a sorridere ogni tanto.
Io a seguirne le parole e le movenze, sentendomi a casa.
L’ho incontrata solo un’altra volta prima che volasse via.

Ma quella sera aveva preparato un piatto speciale.
Semplice.
Tipico di quella terra.
E la cena conviviale risultò un momento davvero speciale.
Almeno per me.
Che non avevo ormai più nessuno.

Sulla tavola il miglior gnocco fritto delle montagne emiliane.

Nel cuore la culla di una casa.

Franz.K

Dedicato alla specialissima mamma di un amico e persona altrettanto speciale.
Che una domenica pomeriggio è tornato nella casa dei suoi genitori ormai volati via.
In quello che un tempo era stato uno  speciale bar ristoro.
E ha scritto. [scarica F.D.]
Facendo rivivere il tempo. 

martedì 16 marzo 2010

Cerchi luminescenti.




 [http://www.youtube.com/watch?v=jj3-fQ7qZJg&feature=related]

Sono sceso, pian piano …….
Ho avuto grossi problemi con le grinze, come immensi canyon, della pelle.
Ho dovuto strapiombare e risalire vertiginosamente .
Non è stato come attraversare la prateria.
Gli altissimi filiformi mi hanno procurato un po’ d’ombra, qua e là.
Non un gran ristoro dalla accecante luminescenza.
Ma sufficiente almeno a non lacerarmi irrimediabilmente le pupille.
Il su e giù degli intagli, è stato peggio, come ho già detto.
Il territorio, comunque morbido, al mio incedere.
Un sollievo.
E anche una speranza.
Perché potevo proseguire.
Data l’elasticità del “tessuto” sottostante.
A un tratto è comparso, quasi all’improvviso.
Il “Grande Cerchio Luminescente”.
Inquietante, nella sua ordinata, perfetta geometria.
Accecante, fastidiosamente accecante, il riverbero delle sue superfici!
Portava in sé il tempo e la fatica e le promesse e le arcane convinzioni.
Il tempo oltre ogni cosa.
Accecante.
Pian piano che mi avvicinavo, il calore ed il riverbero diventavano sempre più insopportabili.
Maledetti Stefan&Boltzman.
Perché non tornare?
Perché ?
Verso la rassicurante pulsazione e poi più in su, velocemente, verso i lobi intricati ma funzionanti.
E ordinati almeno.
Perché?
Perché il grande toroide non era poi così perfetto.
Dovevo capire.
Laggiù, nascosto verso sud-ovest, gli irraggiamenti sembravano rallentare.
Una bolla di buio?
Impossibile.
Così ho continuato ad avanzare per capire.
Per questa maledetta natura che mi spinge a voler capire.
A dover capire.

Il tempo è scaduto ma ho scoperto un immenso “mancante” nel sole della galassia delle scontate certezze.
Una immensa incisione.
Un vero, profondo, inguaribile, intaglio.

Presente da sempre.
Le scontate certezze non esistono.

Franz.K

lunedì 15 marzo 2010

Muscoli di stoffa.




 [http://www.youtube.com/watch?v=XWoWbNwyqOg&feature=response_watch]


Siamo  in tre.
Con davanti  un lungo viaggio.
Verso le terre dello jodel.
Un viaggio che può essere solo sereno.
Anzi , interessante, che è ben di più.
Un amico comune intanto è in gara per un evento importante.
Un amico che ho preparato e seguito per tutto un inverno.
Un amico così vecchio che non ha speranze.
Forse neppure di finirla la gara.

La radio è il sottofondo delle nostre cantilene.
Informando, a tratti, di eventuali possibili intoppi.
Per tutti gli iniettati sul planisfero bidimensionale delle alte velocità.
È così che a un tratto gracchia l’infausta novità.
Per quell’amico.
Per quell’amico che non solo continua, ma è lì vicino ai primi.
Roba che non regge uno di vent’anni.
Figurati uno sopra i trentacinque.

I due amici compagni di viaggio mi guardano.
Perché mi guardano?
Cos’è che non va in me?
Da guardarmi in quel modo?
Come per dirti:  tocca a te?
Tocca a me cosa?
No.
Assolutamente, no.
Non ne voglio più sapere di andare tra le stelle a cercare diamanti.

Non posso e basta.
Non voglio più farmi male.
Eppure mi guardano.
E sanno che io posso.
E dai loro sguardi passa il dolore di quell’amico.
Come si fa a non andare tra le stelle.
Anche a me sembrerebbe davvero giusto solo se non dovessi farlo io.
Se non dovessi arrostirmi l’area di Wernicke per superare la troposfera.
E giocarmi parte di quella di Broca solo per tornare.

Così sono partito.
All’improvviso.
Senza assolutamente avvisarli.
O così, o nulla.
Per l’ultima volta, promesso.
So che si sta bene là tra le stelle.
È l’unico luogo dove puoi essere lucido.
E capire la verità mai capita.
Anche se però andare e tornare è molto difficile e doloroso.

Dopo neppure un’ora era già li con loro un'altra volta.
Mezzo disfatto.
Da non saper più distinguere una donna da una capra.
Ancora tutto appiccicoso del liquido amniotico protettivo.
Che serve per sopravvivere in quel luogo.
Sono tornato con una soluzione.
Vera.
Perché c’è solo la verità là tra le stelle.
Sono tornato con quattro muscoli di stoffa.

Il giorno dopo li abbiamo appiccicati alle gambe del nostro amico.
E lui non si è fermato.
Anche con muscoli strappati e oltre trentacinque anni di vita.
Avrebbe potuto anche vincere.
Ma non è successo ed è stato meglio così.
Perchè poi alla fine si è fermato per un altro motivo.
Non per i muscoli strappati.
Ma per lo strappo della sua vita.
Avrei portato indietro altro se sapevo esattamente quello che serviva.

Ma è andata bene così.
Molto meglio.
Adesso che posso appiccicare muscoli di stoffa su uomini che non devono vincere.

Ma solo cercare di vivere.

Franz.K

domenica 14 marzo 2010

Tamburi muti.




 [http://www.youtube.com/watch?v=bkIG7L8Fnu4]


Aveva le mani giuste.
Per battere sulle pelli tese di un tamburo.
Per battere non per nulla.
Non per pulsazioni non cicliche.
Non per far rumore.

Ma aveva il passato sbagliato.
In un certo senso.
Nel senso di  temere troppo di sé.
Di temere il coraggio della fiducia di sè.
Di crederci.

Come molti figli della polvere.
Anche se di polvere d’oro ricca di onestà.
Quanto povera di istruzione.
E in tal modo troppo ricca di paura.
Se non sai leggere, cosa puoi immaginare di uno scrittore?

Ma oltre le mani, aveva anche giusto il cuore.
Per battere le mani sulle pelli tese di un tamburo.
Perché senza cuore le mani non bastano.
A far vibrare pelli tese.
E con esse le membrane delle emozioni.

Anche di sbagliato aveva dell’altro.
Qualcosa che però abbiamo un po' tutti.
Quindi di non caratteristico.
Tanto da non poter essere una scusa.
Figuriamoci un alibi.

Molte volte, mentre gli parlavi, partiva per isole caraibiche.
Piuttosto che per minuscoli conglomerati di capanne africane.
Per danze di feste mai viste.
Per parole con suoni mai sentiti.
Per pulsazioni ritmiche irrefrenabili.

Ritmo come minima musica.
Come se la musica potesse avere un minimo.
Come se la musica fosse uno sport.
Potesse vincere o perdere.
In buona fede.

Le emozioni non possono essere numeri percentuali.
Non possono essere incise su piani di riferimento.
Sistemi di riferimento.
Biassiali, triassiali.
Cartesiani o archimedei.

E lui aveva le mani e il cuore giusto.
Per parlare con le pulsazioni di elementi comprimibili.
Per usare aria comprimibile per decomprimere il peso di cuori compressi.
Musica.
Quanto l’amore, una cosa “logicamente” incomprensibile.

El-dom il suo nome.
Che ha battuto su pelli tese di antichi tamburi per troppo tempo muti.
Perché forse temeva troppo il parlare del suo cuore.
Che ha battuto per troppo tempo le mani su pelli tese di tamburi lasciandoli muti.
Perché forse temeva troppo gli scrittori.

Adesso non è più così.
Infatti credo ve ne siate accorti.
Di quanto sentimento c’è in più nell’aria.
Di quanto cuori vedi per la strada meno compressi.
Di quanta primavera sta per sbocciare.

Da quando El-dom si è messo a suonare.

Franz.K