lunedì 3 dicembre 2018

Il "Non Senso" Comune















https://www.youtube.com/watch?v=GXFSK0ogeg4



Ne hanno parlato e scritto in molti, da Manzoni, a Reid, a Hulme e, ancor prima di loro, Aristotele, Cicerone, Cartesio San Tommaso D'Acquino, Descartes, Giambattista Vico, Carlo Giusti e molti, molti altri filosofi, scienziati, antropologi, pensatori.

Tutti d’accordo (che comprende il disaccordo) che il “buon senso” e il “senso comune” (il "common sense" anglosassone) fossero comunque fiumi divisi e difficilmente condivisibili. Forse tutti abbastanza d’accordo che il “buonsenso” fosse virtù, o difetto, di una minoranza, assumendo invece come “senso comune” la percezione della realtà dei più. A prescindere da quale fosse, tra i due, il meglio da riconoscere e da seguire.

Inutile riportare i famosi aforismi di competenza che sono ben noti, anche se mai compresi, forse, fino in fondo. Né in un caso che nell'altro. E non sono certo io, in questo caso, a volermi addentrare in arcaiche introspettiche rivisitazioni a riguardo.

Penso sia invece interessante proiettare l’argomento nella nostra vita, nella nostra quotidiana “modernità”, per scoprire di quanto si sia spostata la prospettiva a riguardo.

Di quanto sia, ancor più che cambiata, direi lesa, snaturata, verso altri contenuti che non trovo possono rientrare nel pensiero degli antichi luminari. Di quanto, da una teorica contrapposizione di due membri più o meno ben distinti, una sorta di “matematica” binaria per interpretare e programmare il comune vivere, il “sistema” si sia trasformato quasi in una fase entropica di equilibrio monodirezionale a scambio energetico nullo. E, ancor più che “comune” direi virale. Meglio,……. globale.

Ho la decisa sensazione che il teorico “buon sentire” dei pochi quanto il secolarizzato “senso” dei più, si siano congiunti, se non fusi completamente nel “non senso” di tutti.

Ed è in questo “non senso”, spero di sola personale percezione, che purtroppo si sta realizzando, continuando per altro ad inflazionarsi senza fine, una sorta di totale infelicità diffusa, tremendamente mascherata e ben truccata dai “beni” che ci ha offerto l’evoluzione ed il progresso. Intesi non solo nella direzione più osannata del momento, ovvero quello “tecnologica”, ma anche e soprattutto, e viceversa, dall'involuzione non tanto di “ideali”, (forse a riguardo è meglio così) ma di “valori”.

E se la mia analisi mi porterà ad essere riconosciuto come vecchio “moralista” non ha importanza, perché è proprio l’uso delle etichette, e del contrasto per abitudine, una di queste tristissime, involute acquisizioni, in sostituzione, ad esempio, del “valore” di una leadership reale e naturale in quanto riconosciuta e mai imposta.

In questo modo, qualsiasi “senso” o meglio "buon senso", inteso come percezione della realtà, diviene sempre e comunque il “non senso” di una discussione, non tanto perché essa sia necessaria, ma perché pare sia essa stessa il fine. Questo non scalfisce il naturale dibattito, anche critico, di una vita comune, ma diviene “non senso” se il senso del vivere finisce per divenire solo questo.

Credo che possiamo ritrovare infiniti esempi all'interno della nostra (non confinata oltretutto) società. 
Che si vanta dell’evoluzione tecnologica della comunicazione istantanea e invasiva, come una conquista di “felicità” e “senso comune” per poi ritrovarsi negli stati più profondi di distanze e solitudine. 
Infelicità in una semplice parola.

Che può drogarsi legalmente “per uso proprio” senza aver in alcun modo la possibilità di curarsi dopo e soprattutto prima, dal momento che solo una carenza di felicità può portare a tanto. E non è neppure in grado di prevenirne l'importazione e la distribuzione soprattutto di tipo culturale oltre che meramente materiale.

Che vive nella frenetica fino all'isterica necessità dell’”apparire” per “essere”,  per “percepirsi”, solo unicamente a favore di un “non valore” come il denaro o della fama se non del semplice "vuoto interiore". Un tema che cercherò di approfondire se mi riuscirà, più avanti nel tempo. Al momento mi fermo a constatare l’ascolto “intubato” di qualche stimato vecchio amico che descrive come in futuro, non saranno più i cellulari il "business", ma infinite microscopiche telecamere (il business sta nella parola “infinite”), che potranno alleviarci da non si sa quali pene. Non riesco più, da vecchio “moralista” ancora ben saldo su certi “valori” a stimare “pecorai” di greggi raglianti e oltremodo inermi.

Che permette di dimenticarsi quotidianamente delle tremende fatiche dei “padri” per costruire quel poco o tanto ereditato. Poco o tanto che, al momento, per non essere fuori dal “coro” deve obbligatoriamente essere condiviso con l’umanità intera senza che quest’ultima possa neppure comprendere il “rispetto” dovuto a quei sudori e a quelle fatiche. Senza neppure porsi il problema dei “figli” di quelle fatiche che non riescono quasi a sopravvivere. Adesso mi si dirà che sono “Salviniano” ma il problema delle etichette l’ho già estinto in precedenza.

Che non si scandalizza più di nulla e più a nulla reagisce, ma si distingue come una società che è campionessa intergalattica per creare scandali a vantaggio o svantaggio di qualcuno. Che ha strumenti per poterlo fare, senza che neppure il “senso comune” possa recalcitrare, tanto è avvolto e coinvolto "felicemente infelice" nel suo "sistema".

Che pensa che, oltre a poter comunicare in modo bulimico possa anche essere informata in modo corretto, senza mai accorgersi, o, peggio, senza neppure averne consapevolezza, che tale “informazione” risulta, al minimo, “stomachevole” e disonesta. 

Che non legge libri ma giornali perché i libri, quelli veri e importanti, non si stampano neppure più. E, a fronte di tutto questo, si sente comunque “tuttologa” tanto, mi ripeto, da essersi trasformata da una società di “intenti” e di "azioni" in una di “discussioni” e di "talk-show".

Che spera ancora nel rifiorire di qualche boom economico, che inneggia alla ripresa dei consumi, senza comprenderne l’inutilità se essa è quantomeno rivolta a consumare sempre le stesse cose. Senza capire che, anche solo per “produrle” (non parliamo di immaginarle, pensarle, idearle...) è necessario faticare e non ho mai conosciuto un “disoccupato” che una volta “occupato” non abbia cominciato a lamentarsi appena dopo qualche mese di attività.

Che vuole indebitarsi senza mai prima comprendere, non tanto da dove proviene il debito monetario, (molti economisti lo sanno spiegare bene) ma da dove provengono gli sprechi dei non troppo antichi connubi: io ti do un voto – tu mi dai un lavoro= ci siamo garantiti il futuro tutti e due.( si chiama Mafia o Corruzione, vedete voi - è il seme più piccolo apparentemente, solo apparentemente..)

Che impegna, su imposizione altrui, il lavoro di quasi un anno dell’intero “governo” e relativi costi, per legiferare matrimoni LGBT per realizzarne 212… (e non ho nulla contro tranne chi ha qualcosa contro di me che sono etero - comunque sono circa, a tutt'oggi circa 700.000 euro/matrimonio di soli costi governativi), ma non trova il tempo e le risorse per dare sollievo a chi soffre davvero, ad esempio il sostegno alle famiglie con figli portatori di handicap e peggio ancora a quelli affetti da malattie psichiatriche (altro che società evoluta). 

Che vive infelice, ma vuole apparire felice a tutti i costi, insistendo su strumenti vuoti di “valori” quanto ricchi di insulse promesse e aspettative.

Che non costruisce, non si ingegna, non impara, non insegna, non rischia, non si slancia, che aspetta comandi perché non sa darsene uno, che aspetta e basta. Non innova, non pensa, non si parla, non si pone né si predispone. Che si inchina e si convince e si affida ai falsi informatori, ai sognatori ubriachi non distinguendoli da quelli sobri. Che, in una parola, si intrappola senza mai comprendere quanto spazio libero c’è ancora. E quanto questo spazio di libertà necessita della sua presenza e della sua azione, del suo lavoro.

Che si illude e insegue le “mode” senza avere la minima idea di come si fa ad imporne una. Che pensa che il sole e il vento ci daranno tutta l’energia per sempre e non comprende che è solo una possibilità, non una realtà. E si converte al dio SOLE e al dio VENTO, si dipinge di verde senza conoscerne le conseguenze reali. Senza mai provare a dedicarsi alle soluzioni piuttosto che inebriarsi di stolte provocazioni. Pensando che "tutto è possibile", senza capire che le soluzioni esistono ma per divenire vere, reali, necessitano di quei “valori” dimenticati, o irrimediabilmente perduti.

Che vive senza pudore e non se fa pena. E dal momento che non se ne fa pena è riuscita a farsi addirittura governare da chi, di pudore, non possedendone neppure il sentore e senza neppure essere stato prescelto dalla democrazia vigente, è diventato “capo” delle più dilanianti bugie. E persiste, pur in una leggera ombra, ancora adesso, sempre pronto a tornare in "voga" senza vergogna.

Forse, molti dei miei semplicistici esempi, sono solo "sentori", o, dal momento che è stata abolita la realtà, solo personali percezioni, ma non vedo valori e quei pochi, pochissimi che incontro, sono al lumicino, già contaminati dal “virus”, pronti a giustificare ogni, se pur piccola, appartenenza al “vuoto”.

Chissà ….. forse quei pochissimi che mi leggeranno penseranno che sono pessimista, un'altra etichetta forse …….o forse, tra le righe del mio pessimo scrivere, scorgeranno strade differenti, che inneggiano ai “valori”. 
Quali? 
Il Rispetto, l’Onestà, la Libertà, la Conoscenza, l'Umiltà, il Pudore almeno intellettuale, la Giustizia, e poi …. 
Poi c’è nè uno che è la conseguenza degli altri ….. il più importante di tutti forse …..
Quella Felicità che non esclude problemi ma che ti fa venire una voglia matta di vivere per risolverli o comunque vivere per qualcosa di vero, tutti i giorni.


FranzK.

martedì 29 maggio 2018

Il Valico e il Colle












https://www.youtube.com/watch?v=CmK-uaYFBJc



Quante volte lo stavo a sentire incantato, durante la mia adolescenza e non solo, il mio vecchio padre.
In quel poco, pochissimo tempo che il duro lavoro gli concedeva come pausa “famigliare”, prima di un necessario e precoce riposo.

Quel riposo che contava i minuti poco prima o poco dopo, al massimo le 21e 30, imposto dai tempi di una sveglia molto più precoce, ben prima che sorgesse l’alba, verso le 4e30.

Senza mai sosta e senza mai un premio, che si discostasse di poco dalla sopravvivenza offerta a noi, e alla sua famiglia. Senza mai sosta per 52 lunghi anni……

L’unico premio in palio era qualche opportunità in più per noi, null’altro, o forse anche altro …..l’onestà….., la dignità….e sempre un sorriso, mai un peso né per noi né per nessuno…….. se ne è andato senza debiti né crediti al netto di un funerale, ma ha lasciato un segno , una traccia indelebile e non solo in noi ma in tutte le persone che hanno avuto la fortuna di conoscerlo, di incontrarlo..

Che fatica, che gioia e che “struggle” direbbero gli anglosassoni, parlare di lui, ricordarlo….

Sono stato un figlio molto fortunato, non capita così spesso.

Povero e fortunato, qualcosa di difficile da comprendere ad oggi e forse non solo ad oggi.

E chissà quanti come lui, tra nonni e trisavoli, hanno costruito e costruito senza mai un lamento senza mai un rammarico o una rabbia.

Tutto o molto di quanto ci circonda è figlio delle loro davvero “Sante” fatiche, entusiasmi, valori.

Credo ce lo siamo dimenticato un po’ troppo, abbiamo troppo poco rispetto per le “formichine operaie” che hanno costruito il nostro presente. Tutte insieme, chi con le mani chi con la mente: altro non avevamo se non sassi dei fiumi e rocce delle montagne, un po’ di legno, qualche rigogliosa palude, qualche bestia più affamata di loro e davvero poco, pochissimo d’altro.

Ma ho perso la via e cerco di ritrovarla.

Lo ascoltavo moltissimo quando mi raccontava della “guerra”, già la guerra alla quale era stato controvoglia destinato: dalla sua “palude padana” che si ostinava a lavorare per sfruttarne la rigogliosità ad un'altra palude, lontana, molto lontana e molto più “malsana” della sua: l’Albania.

Prima linea, punto.

Lui che non aveva neppure visto il mare, attraversò, prima di conoscerlo, l’intera penisola in treno e non si era mai spostato più di quanto una malandata bicicletta potesse concedergli.
Credo fosse all'incirca il 1943 forse 44, mio padre aveva 30 anni e senza di lui quella piccola azienda (famiglia) agricola avrebbe avuto davvero grandi difficoltà.

Ma era necessario, per la “madre patria” andare a conquistare altri popoli, chissà mai perché, ma era necessario.

Dagli innesti di rose come passatempo festivo si ritrovò a montare e regolare le ottiche di cannoni come impiego “full time”.

Lui che faceva fatica a sacrificare un coniglio per il pranzo della Domenica.

Comprese presto, nella sua innocente intelligenza, che la patria non è mai madre ma “matrigna” ed ebbe modo di scriverlo ad un cugino invidioso della sua posizione avanguardista da “prima linea”. E lo scrisse con un “patriottismo” profondamente radicato.

Ne avrei molte da tramandare, troppe forse, ma una di queste “storie” non la dimenticherò mai, forse supererà anche la decadenza della memoria nel tempo della mia senilità.


Beh, lo sapete.
In Albania non si combattevano gli Albanesi ma gli Inglesi, lo scontro era tra l’esercito Italiano e quello Inglese.
Era uno dei tanti “fronti” e non credo ci fosse qualcuno dalle parte “giusta” della Storia, “noi” sicuramente no, almeno.

( E’ mio convincimento che sia necessario stare dalla parte “Giusta della Storia” , in ogni caso o quantomeno se vuoi “vincere” in modo che la “Storia” mai abbia a contestarlo).

Loro, gli Inglesi non lo so uguale, lo dirà la Storia più in là, al momento pare fossero quantomeno in una posizione meno sbagliata della nostra, tanto è, che poi ebbero la meglio.

Non importa il “come”, come ben insegna il Macchiavelli.

Non importa che le popolazioni locali, del tutto estranee a quegli avvenimenti e dedite assai più dei “nostri” alla sopravvivenza frutto in gran parte dell’attività di poveri pastori o poco più, fossero ubriacate e mandate contro le nostre linee schierate con le mitragliatrici ad altezza “fianchi”, Machiavelli avrebbe senz'altro approvato.
E fino a qui si sa: la guerra è guerra, non l’ha concepita De Coubertin di sicuro.

E’ di un altro “mezzo” che non posso dimenticare il racconto:
Il servizio di “intellingence” dell’esercito Italiano, aveva scoperto che il nucleo più importante dell’esercito Inglese sarebbe passato lungo uno stretto valico ai lati del quale sorgevano due colli, due tratti altimetricamente elevati rispetto al passaggio stesso, alla gola.
Il risultato era ancora in parità, la partita era aperta e quella “scoperta” si prefigurava come una “manita” calcistica.
L’esercito Italiano appostato sulle due prominenze avrebbe “insaccato” quello Inglese dall’alto con una facilità disarmante, in tutti i sensi. E avrebbe “vinto”.
Tremila di qua e tremila di là, uomini, fucili, cannoni e mitragliatrici su quel colle. Non sono Inglese (forse neanche Italiano) ma mi vengono i brividi.

Non sarei qui a scriverlo, a raccontarlo, se a mio padre, chissà per quale strano caso, furono impartiti altri ordini con incarichi differenti. Uno dei pochi, pochissimi che la notte non si assopirono su quel doppio colle in attesa dell’alba e dei primi rumori di preludio dell’arrivo dell’esercito “nemico”.
Lui dormì in un altro posto quella notte, e io sono qui.

Dormì poco, pochissimo ma non era là insieme agli altri su quel doppio colle quella notte.
Dormì pochissimo perché molto prima dell’alba fu risvegliato dal crepitare del piombo.
Non durò neppur un granchè tutto quel frastuono.
Il superiore gli impartì un nuovo ordine, a lui e ai pochi rimasti.
E non posso dimenticare gli occhi lucidi di mio padre nel raccontare, non posso dimenticare quegli occhi grigio chiari che ancora, dopo molti anni e molte ripetizioni di quel racconto, si inumidivamo. Ancora e ancora.

Giunsero al doppio colle alle primi luci della loro alba più triste credo, un alba che tentava di farsi largo in una nebbia di polvere da sparo: dalla sua parte il prato verde era rosso di sangue e contava 3000 “compatrioti” trafitti alle spalle, uno ad uno, con ancora in giro qualche poverissimo “sciacallo” Albanese che cercava sui loro corpi qualche croce o qualche anello d’oro.
Gli altri 3000 erano dall'altra parte, sull'altro versante del colle, morti uguale.

E’ questo “come” che non si capisce, non lo comprendono, nessuno può immaginare cosa possa essere successo, doveva essere un successo scontato, era finito in una carneficina di pallottole nella schiena.
Qualcuno potrebbe pensare che l’esercito Inglese avesse un “intelligence” tanto più brava da aver prevenuto l’imprevedibile.

E invece no.

La verità era da un'altra parte.

Purtroppo....
Il Generale comandante in capo delle forze militari Italiane in Albania aveva venduto per denaro l’informazione.

Aveva Tradito.

Almeno il popolo del suo esercito.
Al minimo quei 6000 uomini colpiti alle spalle.

Mio padre lo incontrò e gli parlò, sulla nave che, non si sa come, riuscì a riportare quei pochi in Italia, nel loro paese.
Il Generale parlava e parlava mentre attraversavano il mare.
Ma mai alzò lo sguardo per incontrare quello di mio padre.
E il Generale tornò e, se già non era ricco di suo, di certo morì ricco e lasciò ricchezze.

Ma chissà se mai riuscì nella sua vita a guardare ancora qualcuno negli occhi.
Chissà cosa ha lasciato alle sue generazioni.

Mio padre ne era al corrente.

Che mentre lui andava a dormire al massimo alle 21e 30 per potersi svegliare alle 4 e 30 per la nostra sopravvivenza e le nostre auspicate opportunità, in qualche luogo indefinito del suo “paese” c’era un vecchio Generale che proliferava nelle ricchezze acquisite quella notte.

Lo sapeva.
E non ha mai perso il sorriso con noi, mai l’ha perduto con la sua vita.
Ed è morto anche lui, dopo molto tempo ma credo un po’ anche quella notte.
E’ morto povero, da “formichina operaia”.
Ma onesto.
Senza tradimenti.
E ha lasciato valori, rispetto, dignità oltre al frutto del suo immenso lavoro.
E non solo a noi.
Sono valori che vivono ancora nell’aria di adesso.
Valori per tutti.

Chissà che non faccia una differenza.
La sola che qualunque forma di denaro o potere non potrà mai misurare.
Ma soprattutto comprare.


FranzK.

sabato 12 maggio 2018

Brigitte






Ti ricordi Alice?
L’avevi trovata a terra, per terra, sulla terra, decisamente “a terra” …...
Non era il suo mondo, non la sua condizione, sicuramente l’avevi trovata nella terna cartesiana opposta a quella relativa alla sua natura.
Per terra, “a terra” che più di così non si può. .
Il suo mondo era l’aria, il cielo come diremmo noi “terrestri”.
Noi che usiamo “il cielo” per indicare ancora adesso, nonostante l’aeronautica, un sogno, un Dio.
Beh, non c’èra allora, e non c’è dubbio neppure ora, che il suo mondo fosse il cielo.
Senza Dei, senza tutta la nostra “poesia”.
Era semplicemente il suo “mondo”, la sua triade cartesiana.
Dieri anche di più, nel tuo sentire di allora.
Il suo spazio temporale curvo.
La sua natura.
Il suo possibile ed unico “esistere”, “essere”.
Tu lo avevi compreso.
E comprendere è molto più in là di “conoscere” o “sapere”.
Io ero pessimista, avevo tanta paura, non volevo che potessi averne una delusione.
Una rondine, un piccolo di rondine caduto dal suo nido, la sua casa….
Come avrebbe mai potuto…?
Sopravvivere….
Vivere….
Mio padre mi aveva insegnato molte cose sulla natura.
Ed era saggio.
Uno dei rari saggi rimasti.
Ed io temevo l’illusione, la delusione per una vita che, secondo il grande saggio, non aveva alcuna speranza.
Non volevo che tu potessi vivere un “sogno” che sarebbe divenuto delusione se non incubo.

Brigitte.
Punto.

Hai deciso di darle un nome e con esso, una speranza, una illusione…...
Avevo paura.
Troppa che potessi soffrire, ma ho accettato.
Brigitte.
La tua decisione, la tua scelta.
Io ho accettato.
La tua decisione.
Chissà che i “piccoli” conoscano più dei “saggi”…..
Chissà….
L’hai nutrita, l’hai curata e credo gli hai dato tu la vita che non aveva più…., almeno secondo la “storia” e le sue “logiche” possibilità, almeno secondo la legge dei “saggi”….
Io ti ho solo seguita, accondiscesa, aiutata.
Tu l’hai salvata.
L’hai salvata con tutto il tuo coraggio e la tua determinazione.
Non sono stati i “vermi” comprati al negozio di pesca, e neppure la dieta consigliata dalla Lipu.
L’hai salvata tu.
Con tutto quell'immenso amore….
Ti ricordi quando, tornato dal lavoro, ci mettevamo sul divano e Brigitte ci faceva festa, volando in tondo nello spazio cartesiano, ma curvo, della nostra piccola sala?
E poi si posava sulle nostre spalle a guardare la TV…?
Non sono mai riuscito a crederci, nemmeno  adesso ci riesco troppo, mi sembra davvero una favola.
Che tutto questo possa essere successo davvero.
Brigitte, la piccola rondine caduta dal suo nido che svolazzava libera nel “ristretto” della nostra umile abitazione e condivideva le nostre abitudini.
Eppure è vero, è successo.
Ha imparato a volare in una ristretta umile sala.
Ed è solo merito tuo.
Con tutto quel tuo immenso amore……
So che hai pianto il giorno che ho alzato le zanzariere.
Ho pianto anche io, seppur di nascosto.
Era arrivato il suo tempo.
Il tempo della libertà, ma forse, e ancor di più, della sua natura.
Era ormai tre sere che la sua “razza” veniva a chiamarla, a sollecitarne il “vieni con noi”.
Giravano in tondo quasi fino a sfiorarla, e garrivano e chiamavano.
Lei ci ha messo tre sere per comprendere.
Alla quarta è volata via.
Con le sue compagne e i suoi compagni.
Nel cielo.
Senza il nostro Dio, solo con il suo, che forse è poi lo stesso…
Aveva imparato a volare in ristretto umile spazio.
Era stato il suo destino, ma adesso poteva volare nell'immenso del cielo, era a casa adesso, l'aveva ritrovata.
E l’hai salvata tu.
Con tutto quel tuo immenso amore.
E basta.
E prego e spero.
Che molto presto o molto tardi.
Nel suo giusto tempo.
Qualcuno possa alzare altre zanzariere, per lasciare ad un'altra “Brigitte” la sua opportunità, il suo Dio, la sua vita.
Sapendola pronta di poter volare.
Attraverso quello spazio curvo, pieno di pericoli.
Ma pieno anche di libertà.
Quella libertà che dobbiamo assicurare a noi stessi.
Imparando a volare,
Prima di “prendere il volo” con tutti i suoi rischi.

Carissima, infinitamente dolce, infinitamente figlia,  immensamente piena d'amore, “Brigitte”

FranzK.

A mia figlia Alice e basta.