lunedì 18 gennaio 2010

La Paura.




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Era davvero strano quel minuscolo paesino.
Con tutti i servizi.
Ma con una strada a dir poco impercorribile, per raggiungerlo.
Come un piccolo mondo a parte.
Il castello, antica residenza dei frati fondatori, era il reale fulcro dell’abitato e cingeva tra le mura, sia l’antico convento, che la residenza di braccianti al servizio dei religiosi.
All’esterno di quel mondo, ed aggrappato ad esso, si era formato il nucleo di abitazioni “private” .
Tra il castello e il mondo civile, solo un minuscolo fossato.
Così minuscolo da poter essere trapassato con un salto anche da un bambino.
Poco oltre il ponte levatoio, il rivo d’acqua, al posto che continuare la periferia esterna delle mura, le trafiggeva, infilandosi all’interno,  attraverso un lungo e stretto cunicolo arcuato a tutto sesto.

Un giorno, verso l’imbrunire, un giorno di fine secolo di circa un paio di secoli fa, accadde una cosa terribile.
Mentre i contadini rincasavano dai campi, all’improvviso, il silenzio e la quiete del paesino, furono dilaniati da un disumano straziante lunghissimo urlo.

Di potenza sonora assolutamente non terrena.

La gente scappò, e si chiuse nelle case.
Terrorizzata fino al silenzio, da quello strano evento.
Passarono la notte a pregare, quasi tutti.
Ma la mattina successiva, la luce del giorno, e le necessità delle faccende della coltivazione, li spinse di nuovo all’aperto, nei campi, al quotidiano lavoro.

Sfortunatamente, l’imbrunire successivo, ripresentò lo strazio del precedente.
Con tonalità e frequenze appena differenti, il tuono di quella voce senza natura, rimbalzò da un architrave all’altra di tutte le case.
E di tutti i controlli emotivi degli abitanti
Facendo appena comprendere la sua sommaria provenienza: il castello o lì vicino.

Un uomo sbattendo la porta dietro a se, nella sua fuga verso casa, gridò:
"è arrivata la Paura!"
 e continuò:
"Che nessuno esca più dalla propria casa, che nessuno parli con il vicino, con i parenti siano essi i figli o la moglie, che mai sia tentato di andare nei campi, e che tutti tengano le finestre e le porte di casa ben chiuse.
È arrivata la Paura e dobbiamo stare nel silenzio e nel buio.
Solo i religiosi potranno forse fare qualcosa".

L’indomani, nel deserto dei campi e delle strade del paese, i religiosi decisero per una processione per l’intero abitato, in modo da benedirlo e tentare un esorcismo, riguardo la nuova cattiva presenza.
Poco prima dell’imbrunire però, loro stessi, sveltendo il passo, si rinchiusero nelle loro celle di preghiera, aspettando il nuovo boato.

Che puntualmente si ripresentò.

Erano ormai più di due settimane, e le scorte di cibo cominciavano a scarseggiare, quando un uomo, l’unico che avrebbe potuto far qualcosa, prese una decisione.
Era nato senza paura e quindi, privo delle sue sensazioni emotive, non la percepiva e non poteva quindi subirne le drammatiche conseguenze.
Un uomo senza paura, sarebbe andato a cercare la Paura.
Per scovarla, comprenderla, e decidere cosa farne.
O cosa avrebbe fatto lei di lui.

La speranza  bisbigliò negli spifferi delle porte l’annuncio dell’evento, a tutti gli abitanti del paese.
E tutti cominciarono a pregare, con più ardire e credo.

Era un venerdì di fine marzo e aveva piovuto tutto il giorno, quando l’uomo, indossato il suo cappello a larghe tese e la giacca di fustagno, si incamminò verso la piazza del paese e, attraversandola, si diresse verso il castello.
Era poco prima dell’imbrunire, e non voleva perdersi neppure un istante di quel suono diabolico, tanto da tentare, nel tempo della sua durata, di intercettarlo e seguirlo fino al suo vero nascondiglio.

E il fragore arrivò, portando con sé tutto il gelo e i brividi che cancellano la mente e la ragione, i sentimenti e le vibrazioni che distinguono il vivente dall’inerte.

Ma lui non aveva paura, e affrettò il passo verso la fonte delle compressioni e rarefazioni elastiche dell’aria sempre più in fretta, tanto da farle divenire sempre più chiare.
Più si avvicinava e più il terrore, se fosse stato un uomo comune, l’avrebbe pietrificato.

L’agghiacciante urlo sembrava provenisse proprio dal cunicolo nel quale si infilava il rivo di protezione del castello, trapassandolo, per formare al di là delle sue mura, un piccolo laghetto per abbeverare gli animali.

Si sfilò rapidamente solo il cappello e con tutto il resto, giacca inclusa, si infilò nel rivo e nuotando, prese la direzione verso lo stretto budello.
La Paura e le sue pulsazioni sonore intanto crescevano fino quasi ad assordarlo mentre lui, senza troppi spruzzi, le nuotava incontro.

Il tremendo ululato smise solo, quando, alla fine, egli l’afferrò.
Era pelosa e fredda la Paura.
E tragicamente incagliata tra le forti liane subacquee di una strana pianta.
La liberò mentre essa si dimenava, ma senza più emettere che flebili sospiri.

La bestia era  di aspetto spaventoso, ma buona.
Poteva essere il frutto di uno strano incrocio di origine incestuosa o comunque, poco convenzionale.
Le sue carni erano macere e prossime alla definitiva cancrena, dopo tutto quella permanenza nelle gelide acque del rivo.

La portò verso casa e la curò, e vissero insieme e, insieme, qualche tempo dopo, lo stesso giorno, morirono.

Ma l’indomani della notte in cui lui la liberò ci fu un grande festa, nel paese.

Poi  i contadini poterono finalmente tornare nei campi.
E i religiosi tornare a pregare.

Franz.K

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