giovedì 29 aprile 2010

Eclissi.

















 [http://www.youtube.com/watch?v=wulsFpH1J2E&feature=related]



Eclissi.

Testo celebre.
Ma mai trito.
Almeno per me.


Eclipse - Pink Floyd
da The Dark Side Of The Moon - 1973



Testo della canzone (lingua originale)

Eclipse

All that you touch and all that you see
all that you taste, all you feel
and all that you love and all that you hate
all you distruct, all you save
and all that you give and all that you deal
and all that you buy, beg, borrow or steal
and all you create and all you destroy
and all that you do and all that you say
and all that you eat and everyone you meet
and all that you slight and everyone you fight
and all that is now and all that is gone
and all that's to come
and everything under the sun is in tune
but the sun is eclipsed by the moon.

Testo della canzone (traduzione italiana)

Eclisse

Tutto quello che tocchi e tutto quello che vedi
tutto quello che assapori, quello che senti
e tutto quello che ami e tutto quello che odi
tutto quello di cui diffidi, tutto quello che difendi
e tutto quello che dai e tutto quello che tratti
e tutto quello che compri, chiedi, prendi a prestito o rubi,
e tutto quello che crei, tutto quello che distruggi
e tutto quello che fai e tutto quello che dici
tutto quello che mangi e tutti quelli che incontri
e tutto quello che disprezzi e tutti quelli che combatti
e tutto quello che è presente, tutto quello che è passato
e tutto quello che dovrà venire
tutto quanto sotto il sole è in sintonia
ma il sole è eclissato dalla luna.



Lo sento dentro stasera.
Solo questo.


Franz.K

Grazie a http://www.riflessioni.it/testi_canzoni/pink_floyd.htm

mercoledì 28 aprile 2010

Mulino bianco.



















 [http://www.youtube.com/watch?v=Y1SK6WF0EU8&feature=related]


Anche io.
Come tutti.
Ho  creduto
Che potesse esistere.
Il mulino bianco.
La felicità del suo risveglio.
Preparato almeno in 10 ore di lavoro.
Quindi senza sonno.
Paradisiaco.
La serenità di una colazione.
Dolce.
Soprattutto di cuore.
Di buone intenzioni.
Di discorsi allegri.
Già di prima mattina.
Di giorni senza pioggia.
Solo di sole.
Mai da soli.
Avrebbero dovuto andare avanti.
Fare un film.
Anche sul dopo colazione.
Ma forse si sono stancati troppo anche loro.
Ad immaginare anche solo una colazione.
Anche se sarebbe stato bello.
Sapere il dopo.
Vederlo.
Tutto uguale.
Tutti i giorni uguale.
Ridente.
Leggero.
Giulivo.
Avrebbe fatto bene.
Al morale.

Mi immagino.

Auto gelatinose, con piloti sorridenti.
A far riverenze a chi passa per primo.
Inchini.
Sorrisi.
E poi saluti.
E auguri di buona giornata.
Mai neppure un graffio per le polveri sottili nella gelatina delle loro carrozzerie.
E poi il lavoro.
Che bello.
Colleghi comprensivi.
E premurosi.
Antistress.
Morbidi.
Gommosi.
A svolgere compiti sensati.
Intelligenti.
Sorridenti.
Da non servire neppure le ferie.
La mobilità.
La cassa integrazione.
Poi i ritorni a casa.
Per strade sempre differenti.
Mai noiose.
Sempre piene di buone sorprese.
Di opportunità.
Di nuovi sorridenti amichevoli incontri.
E la famiglia.
Che ti aspetta.
Forse le mogli non lavorano.
E crescono i figli e basta.
Dato che ti aspettano a braccia aperte.
Oppure non lavorano gli uomini.
E aspettano a braccia aperte le mogli.
Che lavorano.
Insomma, si può scegliere.
Anche il colore degli occhi dei figli.
Il loro carattere.
Attitudine.
Per non restare delusi e deluderli della tua delusione.
Da rianimare in un litro scarso d’acqua.
Senza passaggi adolescenziali.
Senza problemi.
Prima di un bel programma.
Televisivo.
Liofilizzato.
Ma insolubile.
E di un riposo sereno.
Prodotto da una bevanda speciale.
Di cui non si dovrà mai sapere la natura.

Anche io.
Come tutti.
Ho  creduto
Che potesse esistere.
Il mulino bianco.
E forse non mi sono sbagliato.
Nel crederlo possibile.

Franz.K

martedì 27 aprile 2010

Passo.

















Come l’uvetta.
Dentro il Legendario.
Rum speciale.
Che ne prende il gusto.
Dell’uvetta passa.
Come credo di farlo prendere io.
In questi tempi.
Alle cose che mi circondano.
Che mi proteggono, anche se mi sciolgono.

Mi sento passo .
Come un ananasso.
Disidratato.
Come un dattero.
Come una prugna.
Lassativa.
Come una mela.
Lasciata troppo al sole.
Passata nel caramello.
Di una notte felice.

Mi sento proprio passo.
Mi accade di rado.
Spero passi presto.
Che passi il passo.
Per fare un altro passo.
Meno passo.
Più caramellato.
Più dolce.
Molto più lungo di una notte.
E meno lassativo, soprattutto.

Forse è stata la Dordogna.
Chissà.
Abbiamo preteso troppo.
Da un viaggio troppo lungo.
Preteso di tornare ancora freschi.
Non passi.
O forse è stato il viaggio successivo.
Già da passo.
Secco.
Il ritorno è stato peggio.
Ancora meno idratato.

Vedrai che passa.
Mi sono detto stamattina.
Anche se aumenta.
Ogni giorno di più.
Quella bella sensazione.
Di crema idratante.
Protettiva.
Acquea.
Fragrante.
Delicata.
Come una moneta fresca su una ferita.

Come una spremuta.
Di agrumi freschi.
Con ghiaccio.
Mango.
Ribes.
Con ghiaccio.
Come il mio bene.
La mia sorgente.
Che non passa.

Franz.K

lunedì 26 aprile 2010

Bic da combattimento.




L’incontro si può dire.
Sia stato casuale.
Non voluto.
Assolutamente.
Stesso reparto.
Differente follia.
E sesso anche.
Quindi nulla in comune.
Per la guarigione.
Nulla da condividere.
Che non fosse un semplice dettaglio.
La voglia di combattere.

Disperatamente.
Non cedere.
Alla tentazione della normalità.
Del quotidiano molle.
Molliccio.
Afoso.
Appiccicoso.
Non cedere.
Non darsi per vinti.
Meglio il reparto con lo svolazzo del cuculo.
Che le stesse parole.
Sempre gli stessi significati.

Meglio lo psyco-fish.
Cibo da matti.
Fatto di nutella spalmata sul salame crudo.
Con finale a sorpresa.
Altro che bistecca alla milanese.
Altro che.
Discussioni a non finire.
Su raccoglimenti infantili.
Di persone sbadate.
Che non riescono assolutamente a capire.
La differenza fondamentale.
Tra neonati e bottiglie di champagne.

Non parliamo di questioni personali.
Come l’eucalipto sottomarino.
Mai riconosciuto.
Come alterazione genetica di una cernia.
Da combattimento.
Si intende.
O come certa bellezza malcelata.
Vergognosa.
La fusioni di suoni linguistici.
Le spurie.
Gli accenti.
E le regine musicali.

Tutto per non cedere al consueto.
Al molle.
All’amorfo.
Così adesso giochiamo ai lati estremi del reparto.
Con delle cerbottane.
Fatte con delle bic.
Ci spariamo pallottole di pensiero.
Con le cerbottane.
Fatte con delle bic.
Che ho reso pieghevoli.
Per non farci scoprire.

Franz.K

domenica 25 aprile 2010

Perle ai porci.




 [http://www.youtube.com/watch?v=3HaoTyRb2fM&feature=PlayList&p=C99D0715BFA51964&playnext_from=PL&playnext=1&index=1]


Dai vangeli:

In Matteo 7,6:
Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.

Non posso confondere.
Quello che sono io.
Non posso.
Non dare perle.
Al mondo.
Che balla assatanato.
Sulla piattaforma di argilla umida.
Non posso.
Evitare il mio dono.
Le mie perle.

Cosa ne sarebbe?
Se non divenissero del mondo?
Cosa avrei guarito?
Per cosa avrei vissuto?
Io.
Che sono nato con perle nelle tasche.
E sfere d’acciaio tra le gambe?
Di cosa potrei temere?
Le perle non uccideranno i porci.
E gli acidi dei porci non trasformeranno le perle in escrementi.
E  la verità è troppo forte per potere essere sbranata.

Date le vostre perle al mondo.
I porci diverranno nobili pensieri.
Convinti dalle perle.
Non calpestati.
Solo convinti.
Dall’evidenza del loro splendore.
Tanto che anche i porci terranno alla loro igiene personale.
Che non saranno più gli stessi.
Davanti allo splendore delle perle.
Alla loro verità.
  
Cosa c’è mai da temere?
Se non di noi stessi?
La nostra porca natura.
Che cede alle tentazioni dell’assoluto.
Della superiorità.
E mai cede.
Alla virtù di un confronto.
All’umano di un confronto.
Perché è una perla il confronto.
Quanto è porca la sua negazione.
Il suo tradimento.

Non potrò mai confondere quello che sono io.
E non posso.
A costo della vita.
Non dare le perle che ho in tasca.
Non dispensare chi mi ha dispensato.
Di un dono così grande.
Così tondo e luminescente.
Da riflettere luce sul buio.
Troppo duro e forte per  essere morsicato.
Dalle fauce voraci dei porci.
Né da essi finire sbranato.

Diamo le nostre perle.
Ai cani.
Ai porci.
Senza timore.
Senza paura.
Senza che possano sbranarci.
Perché è a loro che servono.
Le perle.

Non  al gioielliere.

Franz.K

Le nostre convinzioni più giustificate non riposano su altra salvaguardia che un invito permanente a tutto il mondo a dimostrarle infondate. (John Stuart Mill)

sabato 24 aprile 2010

Comete lagunari.




 [http://www.youtube.com/watch?v=jP7U-RWUN1c&feature=related]
 [Slideshow]



Abbiamo camminato fianco a fianco giù per gli stretti viottoli dell'antico borgo.
Uno di fianco all'altra.
Volevo fosse così, senza ombra alcuna di possibili fraintesi.
Volevo solo il tuo bene, io volevo che potessi vedere il tuo bene.
E volevo farti un dono.

Tanti anni prima, conciato da buttar via, a volte, andavo sulle acque di quel lago perché il loro calmo e caldo abbraccio restituisse un po’ di colore al mio viso.
Ho fatto un patto con le acque di quel lago per l’aiuto che mi hanno reso nel ricucire le mie profonde, sanguinanti ferite.
Ferite  che mi avevano inciso gli uomini e la vita.
Ferite che comprendo adesso in gran parte mi ero procurato da solo.
Così ho chiesto al lago di custodire la mia anima laggiù, nel profondo, incontaminato, dei suoi abissi.
Di custodirla e conservarla.
E il lago ha accettato.
Da quel tempo è il luogo della mia anima.
Un giorno, quando sarà il mio giorno, tornerò a prenderla, per riportarla nella sua casa, nello strano, meraviglioso mondo da dove è venuta.

Così siamo arrivati nella piazza dell’antico borgo.
Ti ho chiesto di andare fino alla transenna, di andare a guardare, da quel posto, l’isola splendente e illuminata.
Guardandola, avresti finalmente visto la tua bellezza, ti saresti specchiata in lei.
Non ho mai visto cosa più bella che potesse rendere giustizia, almeno un poco, alla tua bellezza.
“Guardati , io ti aspetto qui sulla panchina”.
“Guarda come sei bella”.
Eri tornata tu, non eri più piegata in due dal peso della tristezza, qualunque essa fosse, per qualsiasi cosa fosse.
Ti guardavo vederti finalmente, e guardavo il cielo e lo splendore della luna.
“Dalle un segno, dalle un segno, ne ha bisogno” danzavano i neuroni propiziatori, dentro alla mia nuca con una cicatrice sotto un ciuffo di capelli rossi.
“Dalle un segno”.

Il cielo è stato tagliato in due dalla luminescenza di una stella che sembrava non volesse mai finire la sua corsa.
Era immensa e mai vista quella cometa che all’improvviso ha illuminato il lago a giorno prima di tuffarsi dentro.
Un caso, sicuramente, quasi sicuramente un caso …….

Ti sei girata e io ti sono venuto incontro.
Con un sorriso.
Incontrando il tuo.
Adesso il tuo viso era di nuovo il tuo bel viso ….
Adesso potevamo tornare.
Spero tu non abbia dimenticato.
Spero resti, dentro te, per sempre.
Di avere visto e conosciuto tutta la tua bellezza.
Perchè è stato il mio dono per sempre.

Il dono di un bimbo con una cicatrice sotto un ciuffo di capelli rossi.

Franz.K

Dedicato ad un ricordo vero e indelebile.

venerdì 23 aprile 2010

Quattro stagioni.




 [http://www.youtube.com/watch?v=7qNIyLe57vM&feature=related]


I figli delle quattro stagioni.
I loro frutti.
Del sole e della terra.
Dell’acqua e del sudore.
Degli uomini.
Del loro disperato tentativo di capire.
Del loro necessario capire.
Delle loro necessità.
Per sopravvivere.
Alla fame e al freddo.

I figli delle variazioni delle quattro stagioni.
Del bello o cattivo tempo.
Delle pestilenze e della fortuna.
Della malattia o della salute.
Degli uomini.
Nella loro rincorsa disperata.
Per  capire.
Per avere meno necessità.
Più tempo.
Per la felicità.

I frutti delle differenze delle quattro stagioni.
Della loro singolarità.
Dei meridiani e dei paralleli.
Differenti.
Di uomini di razze differenti.
Nella loro differente necessità.
Per cercare di capire.
Le compensazioni.
Le differenti capacità.
I singolari impossibili.

Così abbiamo inventato il denaro.
Per dare valore alle cose.
Misura.
La misura del valore.
Per capire.
Le possibilità delle quattro stagioni.
Di quelle appena passate.
Per sopravvivere alle successive.
Una cosa buona.
Il valore delle cose.
Secondo la misura del denaro.

Ha funzionato e funziona.
Forse è l’unico modo per avere meno problemi.
Meno caos.
Per capire quando è bel tempo o tempesta.
Quando far “costare” poco perché c’è “troppo”.
Ma soprattutto non dimenticarsi del cattivo tempo.
Quindi non far costare troppo poco perché c'è un possibile cattivo destino delle stagioni del futuro.
Intanto che si cerca di capire perché siamo qui.
Intanto che si cerca di sopravvivere a qui.
Non sarebbe poi tanto complicato.
Anzi sarebbe una cosa buona.
Protettiva.

Il valore delle cose secondo la misura del denaro.

Almeno per le cose e i frutti delle quattro stagioni.
Cioè per quelle che possono essere troppo o troppo poco ma esserci “per sempre”.

Poi abbiamo inventato il denaro un’altra volta.
Per i figli e i frutti della pressione e del tempo.
Cose che non appartengono al ciclo delle quattro stagioni.
E che finiscono.
Abbiamo usato la stessa misura per due condizioni differenti.
Opposte.
Sarà una cosa buona?
Misurare il valore dei figli della pressione e del tempo.
Quelle che finiscono.
Attraverso il denaro?

Franz.K

giovedì 22 aprile 2010

Linguaggio e Pensiero.




 [http://www.youtube.com/watch?v=tZrBRQn6K0A&feature=PlayList&p=6B838C416CD0C2DB&playnext_from=PL&index=0&playnext=1]
Differenti.
Per dire le stesse cose.
Dire.
Per far sapere.
Agli altri.
Le nostre percezioni.
Differenti.
Basta spostarsi appena un poco.
Qualche centinaio di metri a volta.
Per  non comprendere più nulla.
Suoni.
Modulati.
Onde.
Percezioni.
Del cosa e non del come.

Pensieri.
Non è possibile.
Che siamo meno di un chip.
Meno di una discretizzazione.
Fine.
Multipoint.
E che crediamo nel bluetooth.
E non crediamo nelle nostre percezioni.
Evolute.
Ancestrali.
Ma sicure.
Se solo provassimo a sentirci.
Se solo avessimo la fiducia.
Che sia vero.
Sentirci.
Attraverso sensi ancora non decodificati.
Quindi medioevali.

Empirici.
Magici.
Non certi.
Per la procedura logica.
Di una codifica.
Certificata.
Iso.
Sincert.
Visio.
Pensieri.
Senza periferiche.
Senza captazione.
Senza prove provate.
Per prove logiche.
Sensate.
Meglio un linguaggio.
Di suoni certi.
Frequenze campionate.

Certe.
Rassicuranti.
Altro che pensieri.
E sensazioni.
Meglio linguaggi senza senso.
Per uomini trogloditi.
Senza senso.
Che fanno andare avanti il mondo.
Senza senso.
Verso un baratro.
Senza senso.
Eppure sono io l’anomalo.
Il difforme.
Il detestato.
Io che cerco verità.
Non bugie.
Non linguaggi ma pensieri.

Bugie.
Verità.
La bugia è un’invenzione di linguaggio.
Usa verità certe e le confonde con i suoni di parole conosciute.
Vecchie verità acquisiste.
La verità è il nuovo.
Vero.
Ma nuovo.
E quindi estraneo.
Differente.
Difforme.
Inaccettabile
Per le nostre sicurezze.
Più facile accettare una bugia.
Che placa e rassicura.
Che una verità
Che inquieta.


La bugia è sempre vera, perché è un’invenzione degli uomini.
Che usa verità vecchie e acquisite.
Come il linguaggio.
La verità è quasi sempre falsa.
Distruttiva.
Disturbante.
Perché è nuova.
E usa cose nuove, sentimenti.
Non consueti.
Ma veri.
Forme evolute.
Nuove e vere.
Altrimenti non sarebbe necessario cercarla.
La verità.
Che usa cose nuove, come le scoperte.
Come il pensiero.
Insieme al sentimento.

Linguaggi e pensieri.
Bugie e verità.
Confusione e futuro.
Vecchia babele e nuove felicità.

Stasera sono lontano.
E c’è brezza di mare.
Non protetta da montagne.
Fino a qui nell’entroterra.

Ma stasera sono felice.
Di amare.

Franz.K

mercoledì 21 aprile 2010

Movimenti immobili.




 [http://www.youtube.com/watch?v=02DURB-aw2Y&feature=related]


Piacere di muoversi.
Di far fatica.
Di sudare.
Con tutta questa santa fatica.
Che non comprendo.
Come non comprendo molte altre cose.
La conquista.
Lo sfogo.
L’impresa.
La potenza.
L’impotenza.
La vittoria.
Il dolore.
La resistenza al dolore.

È intelligenza?
È virtù tutto questo?
Evoluzione?
Utilità?
Valore aggiunto?
Augurio?
Dono?
Scoperta?
Conoscenza?
Illuminazione?
Ingegno?
Santità?

Un giorno mi sono svegliato.
E ho deciso di provare a provarmi una cosa.
E ho costruito una macchina.
Sì, un’altra ancora.
D'altronde è quello che so fare.
Senza troppa fatica.
E così ho costruito la macchina dei movimenti immobili.
Con la quale è possibile fare movimento da fermi.
Senza alcuna fatica.
Anzi.
Come se ti facessero delle coccole.
Delle carezze.
Perché sembra logico.
Che se vuoi stare bene.
Non puoi prenderti a botte.

Prendersi a botte.
Credo abbia un motivo, solo per un motivo.
Doversi per forza abituare al dolore.
Alla sua sopportazione.
Alla sua convivenza.
Perpetua.
Perenne.
Allora lo capisco.
Allora ti devi allenare.
Per alzare la soglia percettiva.
Non per divenire più forte.
Ma meno debole.
Cioè più abituato, non più convinto.
Più duro, non più tenace.
Dentro e fuori.

Mi sono guardato attorno.
Non troppo.
E ho preso una decisione.
Per quella bizzarra macchina.
Del movimento immobile.
La solita decisione.
Quella che ho preso anche per le altre.
Mie folli macchine del bene.
Di ritirarla.
Almeno ancora per un po'.
O forse per sempre.
Chissà.
La verità sembra meno credibile della bugia.
Forse per sempre.
O forse solo ancora per un pò.

Chissà.

Franz.K

martedì 20 aprile 2010

Profumo di Libertà.




 [http://www.youtube.com/watch?v=Vv0LoCvd9PA]


La Libertà.
Il suo profumo.
Il buono spesso del suo profumo.
La Libertà ….
Per essa prego.
Perché ne ho bisogno ogni giorno.
Del suo profumo.
Spesso.
Delle sue buone intenzioni.
Dei suoi sensati motivi.
Delle verità a cui conduce.
Dei suoi meravigliosi capelli castani con sfumature rosso cupo.

La Libertà.
Ha un profumo.
Un profumo buono.
Di cose buone.
E io prego.
Perché ogni minuto tutti ne hanno bisogno.
Di quel suo profumo.
Di quel respiro.
Di aria venuta da fuori.
Che scambia ansie di afa e gelo con fresco.
Con calma.
Con tutto il bene della sua sussurrata tiepida voce.

La Libertà.
È molto di più di un profumo.
È un essenziale non un’essenza, cioè basta il suo profumo.
E così non vorrei, ma prego.
Perché ogni secondo l’universo ne ha bisogno.
Di quel sorriso.
Essenziale.
Per il corso del fiume.
Per il suo disegno.
Che possa dipingere certezze.
Senza macchie, senza ombre.
Come attraverso lo sguardo sereno dei suoi splendidi occhi scuri.

Almeno il profumo della Libertà.
Io prego.
Per noi.
Per tutti.

Franz.K

lunedì 19 aprile 2010

100'S.




 [http://www.youtube.com/watch?v=l7fiQ7l8LvY]


Online recording software >>

Bionde.
A tutte tinte
Slanciate.
E filanti.
Profumate.
In modo inebriante.
Morbide.
E sode.
Vestite.
Dentro l’oro.

Spogliate.
In un attimo.
Incorruttibili.
Praticamente.
Ma pronte a incendiarsi.
Con nulla.
Di fuoco lento.
Ma succulento.
Caldo il giusto.
Con classe.

Calmante.
Con stile.
Eccitante.
Se serve.
Ad una ad una.
Oppure una dietro l’altra.
Lentamente.
Voracemente.
Con gusto.
O per gusto.

Troppo evidente.
Ne sono consapevole.
Eppure me ne sono fatte molte.
Troppe.
Da vero gigolò.
Da amante passionale.
Incallito.
Inguaribile.
Ossessivo.
Ossessionato.


Da tutte.
Di più.
Formato da re.
O da “100”.
Slim.
Magnum.
Leggere.
Forti.
Nazionali.
Straniere.

In un botto da 10.
O da 20.
Alcune volte da 19.
Ma sempre a 100 per volta.
Per giorno.
Senza poterne fare a meno.
E senza capire il perché.
Quell’insanabile malattia.
Della passione per le bionde.
Irrinunciabile, ossessiva.

Fino ad una notte.
Quando ho fatto un sogno.
Che avevo già anche sognato forse.
Un sogno strano.
Pieno zeppo di  uno strano profumo.
Pieno zeppo di ammoniaca.
Che trapassa la corteccia cerebrale.
La madre dura.
E allora non decidi più tu.
Decide l’ammoniaca.

Perché i vestiti delle bionde sono zeppi.
Di quello strano profumo.
E non mi sono sentito più libero di decidere.
Della mia passione per loro.
Di quella inguaribile ossessione.
Di farmene anche più di cento al giorno.

E dal giorno dopo ho messo la testa a posto.
Con una sola stupenda ragazza dai capelli neri.

Franz.K

domenica 18 aprile 2010

Gemme.




 [http://www.youtube.com/watch?v=PpJjLAaSX5I]


Eravamo in fila indiana.
Uno dietro l’altro.
Ogni dieci quindici una torcia elettrica.
Una semplice candela per quelli più spaventati.
Uno dietro l’altro, in fila indiana.
E la notte era davvero spaventosa.
Nessuna luna.
Nessuna speranza.

Eravamo le gemme dell’albero nuovo.
Cresciuto sul precipizio di un torrente in piena.
Un albero che prometteva radici forti.
E tanti frutti.
Di cui noi eravamo le semplici gemme.
Senza sapere nulla di torrenti e precipizi.
Giù in fila indiana, uno dietro l’altro.

A parte quelli spaventati.
Quelli con la candela in mano.
Ridevamo tutti,  eravamo solo eccitati.
Nel scendere quel buio, non vedendo neppure dove finivano i piedi.
Avevamo fiducia.
Delle nostre guide, persone affidabili.
Con ancora meno paura di noi.

Le acque del lago appena abbandonate erano scure.
Niente luna quella notte.
Solo torce elettriche e candele per i più spaventati.
E le preghiere dette prima di partire.
I riti propiziatori.
La luce morente del falò.
Che si allontanava velocemente, mentre velocemente, al freddo della notte, moriva.

Mi basta questo stanotte.
Non voglio null’altro.
Nessuna parola in più.
Solo il ricordo di tutte quelle gemme mai sbocciate.
Quella verità che adesso appare luminosa.
In una notte troppo buia.
Che sono sceso lungo il precipizio senza candele né torce elettriche.

Da solo, ancora una volta, e senza alcuna paura.

Franz.K

sabato 17 aprile 2010

Oggetti non identificati.




 [http://www.youtube.com/watch?v=tdT933cAfD0&feature=PlayList&p=1440B88DB2ED47E8&playnext_from=PL&playnext=1&index=12]


L’altra sera ho visto una sedia.
Tentare di danzare.
Le ho chiesto il motivo di tutta quella vitalità.
Di quella voglia di muoversi.
Si era stufata di essere un oggetto di riposo.
Basta con quel sedentario da sedia.
Così si è fatta staccare una gamba.
Inutile per la stabilità.
E di troppo per danzare.
Con tre adesso sta molto meglio.
E riesce a svagarsi.
Oltre che servire da seduta di comodità e di riposo.
Non ci voleva poi molto per farla felice.
Anzi ci voleva meno.

Appena di fianco un paio di scarpe brontolavano anche loro.
Ne avevano davvero basta di contenere piedi sempre di fretta.
Sudati.
Scomodi.
Piedi che a volte le storcevano tutte per ficcarsi dentro e le scaraventavano via per liberarsi di loro.
Erano davvero arrabbiate.
Tanto che avevano deciso per una manifestazione.
Pubblica.
Quasi sindacale.
Si erano incollate al pavimento.
Con le stringhe tutte per aria.
Così vicine e ordinate da essere incalzabili.
Allora  ho tolto loro le stringhe e le ho lucidate.
Ma non so proprio come me la caverò domani a piedi nudi.

La caffettiera ha chiesto di sibilare più forte.
Per non rischiare di bruciarsi in continuazione la guarnizione.
Il porta abiti di non essere troppo sovraccarico.
Di inutili indumenti mai ritirati al loro posto.
La scopa di non finire sempre in luoghi bagnati oltre che sporchi.
Da dove ne esce sempre sporca in modo poco rimediabile.
E poi il rubinetto con la goccia al naso.
Stufo di guarnizioni fatte all’estero.
Introvabili quando si rompono.
E non vi dico il cibo nel frigorifero e il frigorifero.
Un disastro.
Un litigio insanabile.
Uno che vuole più fresco dentro.
L’altro che scoppia di caldo fuori.

Insomma oggi non è stata un gran giornata.
Almeno per gli oggetti.
Che non avevano identità.
Come tutto il resto forse.
Cose assurde.
Visioni senza senso.
Forse perché ero io così.
Mi sono sentito oggetto oggi.
Tanto che gli oggetti erano l’unica entità comprensibile.
Di pari natura.
Mi sono sentito uno di loro.
Usato.
Nel modo in cui si usa un oggetto.
Quasi sempre senza troppo riguardo.

Anche io avrei voluto lamentarmi.
Fare un sit-in.
Decidere un cambio di utilizzo.
Ma ho incontrato un problema insormontabile.
Tra tutti quegli oggetti.
E i loro problemi.
Di identificare bene il mio.
Tanto da non riuscire a identificarmi.
Nemmeno tra loro.

Franz.K

venerdì 16 aprile 2010

Vettori sentimentali.




 [http://www.youtube.com/watch?v=F3P14qg9ac0]


Sono quasi sicuro.
Ma anche assolutamente privo di esperienza.
Quindi da prendere con le molle la mia sicurezza.
Perché ho vissuto al buio.
Per quasi cinquecento anni.
Buio e poco arioso il posto.
Un postaccio.

Dicevo che però sono sicuro.
Che gli uomini e i sentimenti hanno un legame particolare.
Magari un po' differente da quello che potrebbe accecare troppa luce.
Scambiando il contenuto con il contenitore.
Cioè la persona con il sentimento che provi per lei.
Visto da uno che è stato al buio.
Sono due cose da non confondere.

Come per l’energia incompresa.
Uguale.
Per i sentimenti siamo solo vettori.
Interpreti.
Non personaggi.
Facce di fibrillazioni cardiocircolatorie.
Semplici catadiottri non fari.

Così non si può prendersela con l’interprete.
Nel caso le cose finissero male.
Ma con la parte di sentimento che ti è stata affidata.
La tua casella ad incastro.
Non quell’altra.
Nella quale dovrebbe adagiarsi.
Come in un abbraccio.

Non si può prendersela con l’interprete mai.
Neppure se le cose finiscono bene.
Nel senso opposto ovviamente.
Che l’interprete non conta poi molto.
Per la parte di sentimento che ti è stata affidata.
La tua casella ad incastro.
Perfettamente abbracciata all’altra.

Il problema è che non sappiamo dei sentimenti.
Da dove vengono.
A cosa servono.
Perché tutta quella gioia.
Perché tutto quel dolore.
Perché  a  volte finiscono.
Perché altre misurano l’infinito.
Poche volte per la verità.

Ho vissuto al buio.
Per quasi cinquecento anni.
Buio e poco arioso il posto.
Un postaccio.
E forse devo tornarci.
Tra non molto.
È finita la mia ora di aria e luce.

Pensavo che da quel buio non si capisse poi un granchè.
Quando ero là intendo.
Anche se facevo cose incredibili.
Pensavo fossero più importanti le cose che non potevo vedere.
Quelle dell’aria e della luce.
Quelle che non puoi vedere al buio.
Come i sentimenti.

Porto con me una certezza.
In quell’oltretomba.
Riguarda la natura dei sentimenti.
Che è sconosciuta tanto quanto solo trasportata da vettori.
Che siamo  noi.
Che dobbiamo rispettare un dono.
Quando ci viene affidato.

Franz.K

giovedì 15 aprile 2010

Poesie incrociate.




 [http://www.youtube.com/watch?v=3xmpKPUq520&feature=related]


Vorrei saper scrivere.
Essere poeta.
Per scrivere poesie.
Difficili.
Incrociate.

Ad ogni rima un pensiero originale.
Ad ogni frase un contenuto vero.
Che faccia emozionare.
Sentire.
Trasmettere.

Non sarebbe un gioco.
Neppure una sfida.
Sarebbe condivisione.
Sorgente aperta.
Di pensiero.

Ma la poesia non è pensiero.
O almeno non soltanto.
E non è per me, che ho solo pensiero.
Anche se è sorgente.
Di pensiero aperto.

Così sarebbe difficile per me, che poeta non sono.
Risolvere gli enigmi riservati ai poeti.
Ai loro destini.
Quelle domande in orizzontale e verticale.
Per cui sono nati con le risposte.

Quelle matrici.
Non di soli pensieri.
E di quesiti.
Con un numero preciso di emozioni da provare.
Per la risposta giusta.

Un incrocio difficile.
Per uno che poeta non è, sovrumano.
Perché sono emozioni contate.
Che è necessario incrociare.
Non semplici ragionamenti.

Emozioni.
Contate e governate.
Ma non logiche.
Da incrociare giuste.
Tra molte emozioni possibili.

I poeti a volte sono incompresi.
Troppo.
Da questo mondo di logica.
Che non capisce il loro compito.
Di solutori di enigmi.

Che il solo pensiero non saprebbe affrontare.
Non basta.
Per incrociare orizzontali e verticali.
Piene zeppe di emozioni.
Di comprensione differente.

Così vorrei sapere almeno scrivere.
Perché la poesia non la impari.
Ti nasce insieme.
Ti tormenta.
E insieme ti muore.

Ed è un peso.
Oltre che una virtù.
Non so se ti potrebbe far vanto.
O solo fardello.
Sicuramente non zavorra.

Ne sono sicuro.

Franz.K

mercoledì 14 aprile 2010

Riposo sospeso.




 [http://www.youtube.com/watch?v=yOWBCvJlppI&feature=watch_response]


Un giorno mi sono  svegliato.
A pezzi.
Da non riuscire a recuperare la verticalità.
Distrutto.
Da un sonno maligno.
Scomodo.

Istantaneamente ho creduto fossero cattivi pensieri.
Poca serenità per gli sforzi del giorno precedente.
Invece la causa era molto più banale.
Ridicola.
Era solo il letto.
Quell’arnese infernale che dovrebbe accoglierci nel riposo.
Non decentemente.
Oltre il meglio.

Perché il giorno dopo è sempre dura.
E quindi dovrebbe essere ben oltre il semplice comodo.
Dovrebbe essere all’altezza dei giorni dopo, in una parola.
Dei loro ineludibili sforzi.
Dei loro possibili se non quasi certi cattivi pensieri.
Quell’arnese infernale.

Così ho preso una drastica decisione.
Proprio perché non volevo essere arrabbiato.
E a pezzi.
E ho deciso di costruirne uno nuovo.
Dedicandogli lo sforzo di quel giorno.
Senza permettere di farmi prigioniero di cattivi pensieri.
Altrimenti non avrei potuto raggiungere il mio scopo.
Di costruirne uno all’altezza del giorno dopo.

Non è stato poi così difficile.
A volte basta una semplice intuizione.
E così sono andato a dormire.
Per capire se avevo avuto una buona idea.
Nel mio letto tutto nuovo.
In attesa della risposta della mattina dopo.

E ho capito una cosa.
Che se riposi bene diventi più buono.
E poi un altra, dopo alcuni giorni di quelle magnifiche notti.
Che se diventi più buono capitano cose strane.
Come una certa difficoltà agli ineludibili insensati sforzi del giorno dopo.
E una certa impossibilità a farti venire cattivi pensieri.
Che sembrerebbe una cosa positiva, buona anche lei.
Almeno raccontata così credo.

Sfortunatamente ho capito anche altre cose.
Dopo altri giorni di quelle magnifiche notti.
Cioè che se diventi più buono cominciano anche altre difficoltà.
Per esempio gli uomini stentano a comprenderti.
A capire cosa dici.
Quasi da ritrovarsi da solo.

Così alla fine ho finito per smontarlo.
E ritirarlo anche lui nell’armadio delle cose inutili.
In attesa di eventuali eventi nuovi.
Nuovi incontri.
E ho ricominciato ad essere compreso dagli uomini, nelle cose che dicevo.
Perché ero tornato ad essere solo un poco meno buono di quegli ultimi tempi.
Un pò più arrabbiato.
Meno maldisposto verso gli ineludibili sforzi del giorno dopo.

Così domani mi sveglierò.
A pezzi.
Quasi da non riuscire a guardarmi intorno.
Distrutto.
Ma rassicurato.
Da non essere proprio solo.

Franz.K

martedì 13 aprile 2010

Roghi di potere.




 [http://www.youtube.com/watch?v=mVRfM_KH9SI&feature=related]



Se avessi un potere.
Fortissimo.
Un potente potere.
Basato su un segreto.
Un enigma.
Un arcano.
Un dogma.

Il potere di un oggetto ad esempio.
Sotto forma di denaro ad esempio.
Ma ancor peggio di una prova.
Di un possedimento.
Di una religione.
Di una convinzione.
Di una ideologia.

Oppure quello di un sentimento.
Tremendo.
Pervasivo.
Indiscreto.
Ossidante.
Provato nell’impossibile.
Nella prigionia.

Piuttosto che di un’intelligenza.
Rara.
Cristallina.
Luminosa oltre il brillante.
Creativa.
Buona.
Anche nel peggior destino.

Un potere disgraziato quello dell’intelligenza.
Quanto potente.
Ingombrante.
Poco contenibile.
Forse il più potente.
Tra tutti i poteri.
Buoni e cattivi.

Adesso supponiamo che arriva un qualcuno.
Che non aspettavo.
E mi dimostra che il mio potere è falso.
Qualunque esso sia non è vero.
O almeno non lo è più.
O peggio non lo è mai stato.
Le prove del mio potere non esistono più o non sono mai esistite davvero.

Perderei tutti i miei poteri.
Siano stati essi destini.
Sentimenti.
Intelligenze, giacimenti o semplicemente virtù.
Non avrei più fidi ai quali affidarmi.
Per debiti futuri.
Per alibi immediati.

Temo potrei fare una cosa.
Per provare a sopravvivere in modo forse ancora più potente.
E a non scottarmi troppo.
Con il fuoco della verità.
Dovrei usarlo per la bugia.
Per la tomba.
Per la distruzione delle prove.

Allora forse preparerei dei roghi.
Di fuoco sporco.
Sui quali ardere legna secca.
E con essa il mio falso arcano svelato.
Sia esso destino.
Sentimento.
Intelligenza o semplicemente virtù.

Dimostrate false.
Che nel fuoco però perderebbero le loro tracce.
Diventando mito.
In modo non solo da perdere ma accrescere il loro potere.
Che non potrebbe mai più essere discusso da qualcuno e nessuno.
Ed essere scoperto falso.
Quindi più potente di sempre e, soprattutto, per sempre.

Franz.K

lunedì 12 aprile 2010

Il fascino della difformità.




 [http://www.youtube.com/watch?v=uclMGPz-Blo&feature=related]


C’è tutta una serie di cose.
Che sembrano produrre fatali attrazioni.
Curiosità isteriche.
Quasi fino all’alterazione dell’equilibrio perfettamente sferico del nostro baricentro.
E non so se è una semplice impressione, ma forse non accade solo a me.
Di subire gravità pesanti verso la difformità.
Come se potesse contenere chissà cosa.
Attrazioni molto accelerate.
Come se solo l’anomalia potesse distinguere l’unica casa per delle risposte.
Delle certezze.
E più essa è in deriva nella sua differente natura e più il fascino diviene insostenibile.

Il difforme a volte sembra apparire l’unico possibile contenitore del meglio.
Molto di più che non il nuovo.
Il nuovo o il differente?
Non sono affatto certo siano due cose uguali.
Assimilabili.
Anzi, mi sembrano quasi opposte, in una semplicistica apparenza di similitudine.
In quanto il nuovo è solo rinnovamento.
Con schema base inalterato.
Facce nuove, muri nuovi, vita uguale.
Il differente è rottura.

Vite differenti.
Con visi al posto di facce, spazi al posto di muri, libertà al posto di schemi.
Difficile la difformità.
Quanto attraente.
Da lasciarci cuore e mente.
Da avere necessità di tempo senza tempo per comprenderla.
Innescare il processo osmotico di assorbimento.
Acquisirla.
Trasformarla in consuetudine.
In normalità successiva.

In qualsiasi caso.
Non conta se accettata o rifiutata.
Conta solo che dopo un certo tempo diviene normalità.
E con essa finisce di agitare e calma.
Finisce di stravolgere e rassicura.
Non eccita più, comprende e basta.
E non affascina più.
Come tutte le cose che entrano nel quotidiano della nostra vita.
Non è più oggetto da comprendere masticandolo con le gengive di un ignaro infante.
Con le sole gengive a disposizione.
Appena lubrificate dalla bava.

Rari casi si contano come difformi relativi alla difformità.
E personalmente li auguro a chiunque.
Affidandomi alla vostra comprensione.
Parlo di quelli relativi all’anomalia dell’anomalia.
E non posso che augurarli a chiunque.
Perché sono rari.
Rarissimi secondo il mio conosciuto.
E riguardano il vero ovviamente.
La non ovvietà del vero difforme.
Che auguro proprio a tutti.
Perché rimane stupore e fascino per sempre.

Franz.K

domenica 11 aprile 2010

Armature di lana.




 [http://www.youtube.com/watch?v=XnA-tONk5QY]


Barcollava un po'.
Aveva appena visto la morte negli occhi.
Biancastro.
Un po' sudicio anche.
Ma rigido soprattutto.
Quel vecchio sgualcito maglione di lana.

Aveva due gambe.
Appena sotto l’orlo.
Che gli permettevano di camminare.
Quasi solo in avanti.
Ma quasi niente altro.
Né collo, né testa, braccia e mani.

Nessuno avrebbe mai potuto dire del tronco.
Nessuno avrebbe avuto il coraggio di un’indagine.
Al di sotto di quel lerciume.
Di quel rigido.
Per sapere se esisteva.
Con dentro un cuore soprattutto.

Forse sarebbe stato lercio anche lui.
L’eventuale cuore.
Con battito rigido.
E magari provvisto anch’esso di due gambe.
Per andirivieni da perditempo.
Nell’eventuale tronco.

Dimenticavo.
Una cosa importante per comprendere.
Parlava.
Quel maglione camminante era dotato di parola.
Afona.
Quanto saputa più che sapiente.

Camminava e parlava.
Senza mai cambiare il mondo.
Senza avere alcuna idea per guarirlo.
Nel caso fosse ammalato ovviamente.
Questione di punti di visti anche se non aveva la testa per avere idee.
Ovviamente.

La cosa più penosa era però un’altra.
Era che non riusciva proprio a cambiare se stesso.
Darsi una lavata dico.
In ammollo.
Per un paio di settimane almeno.
E procurarsi un cervello se non proprio un cranio.

Così gli sarebbero servite almeno un paio di mani.
Per levarsi quell’armatura di lana.
Zeppa di acari e tarli.
Un paio di mani almeno.
Per sfilarsi da un tronco forse inesistente quel lurido intreccio.
Correndo il rischio che fosse anche la vera spina dorsale.

Correndo il rischio di un clamoroso collasso strutturale.
Dove le gambe e l’eventuale cuore da perditempo sarebbe scivolati.
Chissà dove.
Diventando irrecuperabili.
Per la sopravvivenza del sistema.
Una sorta di impalcatura sbullonata.

Meglio rinunciare a lavarsi.
E a sognare un cervello di seconda mano.
Meglio continuare a parlare e basta.
Con voce afona.
E cantilenante.
Senza alcuno scopo per salvare il mondo.

Molto meglio così.
Finchè reggono le gambe.
E non si estinguono i tarli.
E gli acari.
Così fitti.
Da essere loro la vera spina dorsale.

Franz.K