giovedì 19 gennaio 2012

L'Umiltà.





Ho avuto due maestri.
Di uno, donna, ho già raccontato.
L’altro era un uomo.
Uomo, non scimmia come i tanti altri che credo di non aver avuto solo io.
Tanto uomo da assicurare a tutti i suoi alunni una certezza.
Che non ci sarebbero stati bocciati.
Scatenando tifo da stadio.
Quando ci spiegò il perché cadde il silenzio.
Per la prima volta, in quella classe “pericolosa”.
Famosa per mandare professori in casa di cura.
Psichiatrica.
E quella classe cambiò, per sempre.
Divenne silenziosa e attenta.
Ecco il perché che cambiò le nostre vite:
“sono il professore più pagato di questo istituto e il motivo è perché sono il più bravo”.
“sono così bravo che basterà una sola lezione perché ognuno di voi impari a conoscere “.
“anche solo una presenza, per poter essere preparati per l’esame dell’anno successivo”.
“ecco perché non ci saranno bocciature, ecco perché sono il più pagato”.
“una sola lezione, vi basterà ad affrontare la prova, come sicuramente preparati”.

E fu così.
Non è una favola, è la verità.
L’anno successivo, l’anno della “maturità”, portammo tutti la sua materia.
Anche quelli che avevo seguito una sola lezione.
Tutti promossi a pieni voti.
A voti più tondi e ricchi di chi aveva obbligato altri a tormenti e immani sacrifici.
Lo portiamo tutti nel cuore.
Nel suo trapasso, era già molto vecchio allora.
Di anni si intende, mai conosciuto un vero giovane come lui.
E non lo portiamo solo nel cuore.
Ma nella nostra vita.
Nel nostro essere al suo posto adesso.
Nella speranza, ognuno nel suo, di esserne degni.
Di aver imparato così tanto, in così poco.
Degni di una verità che sconfina oltre  professioni e professori.
Nozioni e memoria.
Nell’aver compreso come si fa a comprendere.
Qualsiasi cosa ti si proponga davanti.
Qualsiasi incomprensione, prima di qualsiasi formula.

E un giorno ci interrogò riguardo una semplice domanda.
Riguardava l’”umiltà”.
Cos’è l’umiltà?
Me lo ricordo come fosse adesso.
Il suo sorriso tranquillo mentre ognuno di noi sparava la sua.
Tutte diverse tutte uguali, le nostre risposte.
Secondo lo stereotipo acquisito, trasversale a dottrine, educazioni, stati economici.
Dai figli dei borghesi piccoli o grandi, a quelli della plebe.
Il suo sorriso tranquillo e sapiente.
Di uno che non avrebbe mai abbandonato la nave, non l’avrebbe mai portato contro uno scoglio.
Aspettò con pazienza tutte le nostre risposte.
Tutte differenti, tutte uguali.
Tutti i nostri esempi, le nostre tesi.
Aspettò prestando attenzione, ascoltandoci davvero.

Alla fine, con calma, parlò lui.
Spiegandoci davvero cosa mai fosse l’umiltà.
E ci cambiò per sempre.
Tutti credo.
Per sempre credo.
Ebbene, ci spiegò l’umiltà anche con un esempio.
Semplice.
Che se sai guidare una nave devi “pretendere” di farlo.
Non proporti ma affermarti.
E se cade un bimbo nel fiume e tu sei campione di nuoto.
Devi “pretendere” di essere tu a provare a salvarlo.
Oltre a “pretendere”, importi sulla sola temerarietà degli altri, o solo umano desiderio di utilità.
Impedendo a loro di provarci.
Pretendere di impedire loro, anche solo per “umanità”, di divenire vittime, tentati eroi.
A costo di legarli a un palo.
Così ci insegnò l’umiltà.
Quella vera credo, quella giusta.
Quella della “pretesa” di un passo avanti se sei certo di te, se conosci davvero.
Senza alcuna necessità di celebrazione, riconoscimento, ma solo un sincero e cosciente atto di responsabilità.
Molto, molto di più di un timido passo indietro.

O di uno avanti, quando non sai.
  
FranzK.

P.S.
Ai morti contro uno scoglio, e non solo.

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