lunedì 30 gennaio 2012

I Giorni della Merla.





Eccoli, sono arrivati.
I giorni della merla.
I giorni più freddi dell’anno secondo tradizione.
E pare che quest’anno il volatile sia stato puntuale.
Non stia tradendo aspettative.
Quanto lo ha fatto l’inverno almeno.

Anche se stanotte il freddo polare che ho attraversato passeggiando non l’ho sentito negativo.
Come il bianco della neve che rende tutto così magico.
Forse è la necessità della natura di dormire un poco.
Di riposarsi, quanto il ghiaccio che copre la terra è forse solo una coperta nel quale ha necessità di raggomitolarsi per un po'.
L’ho sentito come un tempo necessario di riposo.
Un sonno sereno.

Che sia freddo allora, che sia riposo.
Prima di altre rigogliose rinascite.
Di sudori lamentati in altro modo, circondati da verdi smaglianti.
Di cellule in continua trasformazione.
Che sia un buon riposo, con buoni sogni.
Che il freddo lo protegga, ne protegga un risveglio più vigoroso.

La mente corre alla mia infanzia.
Ai risvegli di lato ad una finestra piangente di stalattiti di ghiaccio interne, appena sopra la mia testa.
Quel momento tremendo di uscire dall’abbraccio della piuma d’oca.
Dal suo calore così naturale.
Per affrontare temperature poco superiori  a quelle esterne.
Battendo ogni giorno il guiness dei primati del tempo della vestizione.

Nelle mie terre c’era una tradizione, nei giorni della merla.
Un momento magico per bambini e adulti.
Si colmava d’acqua un piatto fondo e, alla sera, ognuno lo disponeva all’aperto, ognuno al posto prescelto.
Fuori al freddo glaciale della notte, appena prima di andare a dormire, rimuovendo il “prete” .
Un doppio arco di legno che sollevando la coperta, creava una camera d’aria preriscaldata dal ferro da stiro in ghisa colmo di braci ardenti di cui faceva oltremodo da supporto.
Così quando ti infilavi nel letto avevi almeno qualche secondo, non di più, perché il calore del tuo corpo si trasferisse alle piume d’oca  affinché loro lo trattenessero per tutta la notte isolandolo dalla Siberia appena lì fuori.

La mattina dopo era festa.
Perché ognuno correva al suo piatto, e ricorreva veloce davanti al camino, tutti insieme, tutti riuniti.
E dentro nelle forme dei cristalli di ghiaccio si interpretava il proprio futuro, il suo auspicio.
Una festa semplice, quanto indimenticabile nello sfidarsi a riconoscere la forma più attendibile, più vera.
E quante volte era vero quello che quei cristalli nel proprio piatto disegnavano del proprio futuro.
O forse erano solo semplici credenze e passatempi da poveri, chissà.

Chissà se provassimo adesso a colmare un piatto comune quale premonizione cristallina scolpirebbe.
Non siamo più poveri e non crediamo più in nulla, forse anche se fosse vero non ci crederemmo lo stesso.

Comunque stanotte il freddo polare che ho attraversato passeggiando non l’ho sentito negativo.
Come il bianco della neve che ha reso tutto così avvolto, protetto, definito.
Forse è la necessità della natura di dormire un poco.
Di riposarsi.
L’ho sentito solo come un tempo necessario, per riposare, riprendersi.
Un sonno sereno.

Sperando di risvegliarsi carichi di bellissimi sogni verde smagliante.
Magari un po' più poveri ma con la forza necessaria per credere ancora in qualcosa.

FranzK.

1 commento:

  1. Anche io lo sento come un momento per riposare , per sognare, per stare con qualcuno in un posto fuori dal mondo,dove fuori nonostante il freddo,la neve, c'è qualcosa di accogliente, di caldo che ti fa sentire bene, sereno, che ti fa sognare bene.
    Eldomingo

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