lunedì 12 dicembre 2011

Poesia d'amore





Vorrei un mondo non digitale.
A sette prese.
Sette vocaboli.
Come le note musicali.
Non due.
Come la matematica binaria.

Vorrei trasmettere sentimenti.
Non sms.
Sentimenti, non chat.
Sentimenti, non e-mail
Non profili, non cerchie, non improbabili privacy: solo sentimenti.
Accordati in la maggiore.

Allegri, felici davvero.

Vorrei, ma non posso, trasmettere profumi, sapori, sguardi, pelle, suoni, sensazioni.
Vorrei sapere scrivere parole come Salinas.
Vorrei poter recitare i suoi versi a sguardi estasiati di sentirli recitare dalla mia voce.
Vorrei solo emozioni.
Non scelte, schemi, razionalità.

Sette prese di segnale.
Oltre i sensi comuni.
Perché sette note non bastano a far bella la musica, come cinque sensi non bastano a spiegare l’universo.
Come nella musica vera, servono i bemolle e i diesis che non sono uguali.
Anche se li abbiamo approssimati ad essere uguali, come tante altre cose.
Per costruire strumenti vendibili, facili da suonare.

Come tante, tante altre cose, tanto vendibili e uguali e facili, quanto vuote di sentimenti.

Vorrei poter scrivere canzoni e sinfonie.
Sui profumi.
Vorrei far vedere a un cieco i colori.
Sotto forma di emozione.
Di sensazione tattile.
Fino al suo cuore.

Vorrei che si sbrigassero i sapienti.
A codificare sentimenti.
In modo sensibile, univoco.
Vorrei un amplificatore per spedirli, e un decodificatore per riceverli.
In modo univoco, certo, ben oltre qualsiasi forma digitale.

Tempo fa, mi ero interessato ad un sistema per far vedere i ciechi.
Elettronico, digitale anche lui.
Qualcuno aveva pensato di far sentir loro una serie di pressioni differenti.
A secondo dell'immagine trasmessa da occhiali speciali.
Sul petto, pixelata, come tante piccole dita che con differenti pressioni imprimono un'immagine sulla pelle, come un tenero massaggio.

Chissà se si può pixelare un sentimento.
Direttamente sul muscolo cardiaco.
Attraverso pensieri speciali.
Ben oltre le onde elettromagnetiche e le fibre ottiche.
Attraverso emozioni che come piccoli polpastrelli che con delicate e differenti pressioni, possano imprimere un sentimento, direttamente sul cuore.

Ma non è questo che davvero muove il mondo?
Non sono i sentimenti che ci cambiano, fino a poterlo cambiare?
In meglio.
Non è una prova d’amore quella che serve?
L’amore che butta sempre lo sguardo oltre, oltre qualsiasi errore, inciampo, limite?
L’amore che perdona e costruisce, oltre qualsiasi incomprensione, paura, oltre qualsivoglia pregiudizio?

Come potrebbe mai questo modello trasmettere sentimenti, trasmettere amore?
Come mai può averli vissuti e sentiti?
Come può averne trasmesso e valorizzato lo scambio energetico?
Quello che in un sentimento vero diviene sinfonia.
Nel meraviglioso sacrificio del dare e del ricevere.

Credo che questo modello li teme i sentimenti.
Perchè è raro che li provi e li approvi.
Che li abbia provati.
Almeno quelli veri.
Quelli a un solo bit o meglio a sette note ben temperate.

E se non li teme li usa, surrogandoli a semplici contratti di convenienza, a proprio vantaggio e sostentamento.

Già, poi i sentimenti sono pericolosi.
Perché finiscono con il finire della nostra vita, che non è infinita.
Lasciano sofferenze, a volte insopportabili.
Come certi amori veri.
Che ti portano oltre confine, oltre qualsiasi confine.

Anche quello della vita stessa, e delle sue possibili consolazioni, del “tutto passa, basta sapere aspettare”.
Per non dire di quelli, che, per amore, il confine non possono passarlo, ma solo attenderlo.
Per tutti quei pochissimi che ne hanno provato e vissuto uno vero davvero.
Con tutti i suoi limiti, tutte le sue inquietudini, tutti i suoi “ma perché proprio a me?”.
Perché questo dono e questo fardello?

Si legge che non sono un poeta.
Che la poesia non è un granchè.
Ma invidio chi ha un amore vero.
Tranquillo o inquieto ma vero.
Univoco, certo, condiviso.

Anche dovesse mai portarlo un giorno oltre confine.

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