martedì 17 aprile 2012

Fiore Selvaggio.





L’ho curata.
Dopo aver perso tutto.
Con serenità.
Senza speranze.
Senza aspettative.
In fondo è solo un ciclo naturale.
Il razionale ne è convinto.
Me ne sono convinto anch’io.
E forse ho perso tutto.
Davvero.
Adesso che il buio è di nuovo la mia casa.
Tornato al razionale del buio.
Anche io.
Là dove posso servire a qualcosa.
Di comprensibile.
Senza più slanci oltre i confini.
Ci vuole altro.
Forse un destino.
Per esserne degni.
Per non finire testardi e stupidi alla fine.
Meglio stupire la stupidità.
Che dedicarsi stupidamente allo stupore.
È più semplice e meno pericoloso.
Meglio ubbidire ad un ordine che provare a far ordine.

Se non è la tua strada, il tuo destino.

Però l’ho curata quella pianta.
Perché era piena di qualcosa di speciale.
Non solo di ricordi.
Ma di vero vissuto.
L’ultima goccia di irrazionale felicità sperata.
L’ultimo atto di coraggio trasgressivo.
Prima del nuovo buio del raziocinio lineare.
E da quel ramo spezzato.
Dallo stesso ramo.
Monco e triste.
Ne è rinato un altro.
Di cui mi sono preso la giusta cura.
Evitando la stupidità dello stupore.
Ma solo l’osservazione del raziocinio.
E dal quella nuova vita.
Quel fiore è rinato.
Per sette volte.
E per sette volte, nello schiudersi dei sui petali, avrò il tempo per cambiare.
Vedrò aprire i suoi sette frutti.
Quei meravigliosi petali bianchi e candidi.
Nell’anniversario di una fine.
Senza più alcun inizio.
Che non sia la fine della fertilità del suo ambiente.
Fino alla fine della morte di quel morto legno appena bagnato.
Dal quale è nato e si è nutrito.
Fino a tornare a vivere, testardo e selvaggio.

L’ultima speranza.
Della stupidità dello stupore.
Poi dentro al buio.
Per tornare a stupire la stupidità.

Un vero, definitivo, addio alla stupidità dello stupore.
Prima dell’ultimo definitivo inizio dello stupore della stupidità.


FranzK.


“bisogna avere in sé il caos per partorire una stella che danzi”
Friedrich Nietzsche

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