giovedì 29 novembre 2012

Una Sedia di Lillà.






























https://www.youtube.com/watch?v=5Ge_8G7H-bU



Siamo cresciuti insieme.
Il tempo non ha cancellato ricordi, sensazioni, sorrisi.
Siamo cresciuti all'ombra di quei vecchi cortili con il colore grigio di cemento.
Nel sole dell’estate, nella sua insopportabile afa, nel gelo dell’inverno, delle sue nebbie.
Eri la sorella del mio migliore amico.
E siamo cresciuti con le stesse speranze.
Gli stessi sogni.
Divisi da pochi anni, da tanti interessi non comuni, uniti nello stesso tempo, nelle stesse speranze, sogni.
I primi motori, quell'odore di benzina che sapeva di libertà per noi.
La  vespa,  la moto, la macchina, sempre più libertà, o almeno, era quello il nostro sogno.
Di odore di benzina, e aria fresca che potevamo avere solo con il suo odore.
E il tempo non riesce a cancellare i ricordi.
I tuoi primi amori, i miei,  i tuoi lunghi e lisci capelli neri che io osservavo da spettatore, da fratello acquisito.
Amavi il mare, non le zanzare della terra dove il destino ti aveva condotta, la terra delle zanzare e del fango.
La ricca terra che non restituiva i profumi della tua, non il tepore del sole, la sabbia delle spiagge.
Ma dava speranze profumate di benzina e di sogni di non povertà almeno.
Non avevamo strade comuni, ma ci siamo sempre stimati.
Tu amavi il ballo della disco dance, io e tuo fratello le notti senza fine a parlare della vita.
Eri molto bella, dolce, riservata e davvero buona.
Mi sembra di vederti comparire, con le tue sorelle-cugine, sempre allegre, tu, sempre moderata anche nell'allegria.
Mi sembra ieri che mentre io e tuo fratello smontavamo carburatori, arrivavate voi tre con un semplice “ ciao, cosa combinate ancora”?.
Non avreste mai potuto capire, l’importanza delle nostre illusioni, come noi non avremmo mai potuto comprendere le vostre.
Un sorriso, un saluto e poi ognuno con le sue illusioni, speranze, con il proprio “importante”.
Siamo cresciuti, insieme, ridendo insieme, mangiando insieme, negli anni che ci hanno visto crescere, illudendoci di essere cresciuti.
Ed eri sempre più bella, dolce, riservata e davvero buona.
Poi è cambiato il tempo, e il destino ci ha ritrovati vicini, per quella lunga, infinita, torrida estate.
Stava male tuo fratello, aveva sfidato le leggi della fisica, per soddisfare la sua sete di sapere, di crescere.
Era finito in un letto e noi ci siamo presi cura di lui, insieme, da soli.
Aspettavamo che i suoi dolori si sopissero un poco all'imbrunire, quando la canicola si faceva appena più sopportabile, poi, insieme a parlare per ore sul balcone e a fumare qualche sigaretta.
Giorno dopo giorno, ci siamo conosciuti, dopo tutti quegli anni che ci avevano visti solo crescere insieme.
Ci siamo conosciuti in quella lunga infinita estate dove non si riusciva a dormire per il caldo.
È arrivato l’autunno, e mi hai insegnato a guidare, è arrivato l’inverno, e non riuscivamo più a stare lontani.
Sotto un ponte, durante una sosta della “scuola guida” mi sono dichiarato regalandoti un disco: “la sedia di lillà”.
Mi hai invitato a ballare, sono venuto ma siamo rimasti soli in silenzio, mano nella mano.
E basta.
E ancora adesso non comprendo quale scandalo potevamo mai produrre, quale insopportabile condizione.
E così la vita ha finito per dividerci, per dividere tutto, amori, amicizie, semplici frequentazioni e ancora adesso, te lo confido, non riesco a farmene un motivo.
Sono passati 30 anni.
Non ci siamo mai più visti, ci siamo sposati, abbiamo vissuto insomma, o semplicemente sopravvissuto senza mai più rivederci.
Avevo notizie di te, qualche volta, forse tu di me.
Sono passati 30 anni e poco tempo fa, in un altro caldo agosto, l’ultimo, tuo fratello mi ha chiamato.
Era distrutto, ferito più di sempre, dal dolore che la vita non gli ha mai risparmiato, ma più di sempre ho sentito quel dolore trafiggerlo, ferirlo là dove le ferite possono diventare letali.
Ti mancava poco, settimane …. giorni …. forse solo qualche ora.
Già, sono passati 30 anni.
E dovevo saperti in partenza, su quel treno che non torna mai indietro.
Non volevo essere d’impiccio, nel dolore insopportabile dei tuoi cari, ma avrei voluto vederti, salutarti, oltre qualsiasi sciocco scandalo che mai avessimo potuto provocare, incomprensibile, nel nostro ingenuo e pulito innamoramento.
Di 30 anni prima.
Ho proposto la mia presenza, sostegno, non potevo altro, sarebbe stato confuso ancora una volta, con un intrusione.
Il cuore batteva forte, nel salire le scale fino al reparto.
Ho ripreso fiato, sul ballatoio, prima di entrare, volevo essere solo di conforto, almeno per tuo fratello, al quale, anche in quel lungo silenzio, in quelle mai spiegate distanze, fratture, non ho mai smesso di volere bene, di essergli amico per quel sentimento vero di amicizia che non pretende neppure una presenza, una parola.
C’era un muro per me davanti alla tua stanza, spalancata su tante persone che ti volevano bene.
Ma chiusa per me, un muro trasparente quanto impenetrabile, per qualcosa che non avevamo mai fatto.
Un evento mai accaduto.
Ero contento di averti vista, da lontano, mi bastava, doveva bastarmi, per il rispetto in punta di piedi obbligato.
Io non ho visto quello che eri in quel momento, ti ho rivista come allora, con i lunghi e lisci capelli neri, gli occhi buoni e quel tuo modo riservato e un po' timido, di inclinare un po' il capo per nascondere un sorriso.
Ho salutato tuo fratello e stavo per andarmene, mentre lui veniva da te, libera da tutto quell’amore che hai lasciato in chi ti ha conosciuta e che era al tuo fianco, nel momento della partenza.
Ma tu, forse hai visto me.
Tu che non vedevi quasi più.
Tuo fratello è tornato.
Mi ha detto che volevi  salutarmi.
Sono entrato.
Ho attraversato quel muro.
Fatto di nulla.
Solo di buone intenzioni.
Mie e tue.
Un muro di incomprensioni.
E di scandali mai prodotti, mai concepiti.
Che noi avevamo perdonato.
Accettato.
Nel silenzio di una nostra intesa.
Un muro vecchio 30 anni.
Ti ho preso le mani, tu hai stretto le tue sulle mie.
Ai piedi del letto il tuo amato marito.
Di fianco a me tuo fratello.
Non avevamo nulla da nascondere.
Mai avuto.
Solo un sorriso.
Finalmente.
Dentro a un silenzio.
Attraversato da tutti i ricordi.
Sentito .
Rotto solo dalla mia emozione.
“ti ricordi”?
“mi hai insegnato a guidare”
“ e sei stata una buona maestra”
“mi ricordo, tutto” con un filo di voce pieno di ossigeno artificiale.
Piegando il viso per nascondere un sorriso.
“mi ricordo il ponte …..” annuendo e sorridendo.
Ti ho dato l’unico bacio.
Sulla fronte.
Fredda.
Mi hai stretto le mani ancora più forte.
Ti ho dato un altro bacio.
Stringendo le tue ancora di più.
Ci siamo guardati.
Con un ultimo sorriso.
Un ultima stretta delle dita.
Intrecciate.
Ti ho salutata.
Ho salutato tuo marito.
Tuo fratello.
Un ultimo sguardo nei tuoi occhi.
E mi sono girato.
Senza più girarmi.

La mattina dopo.
È squillato il telefono.
Eri partita.
Dalla tua sedia di lillà.


FranzK.



Nessun commento:

Posta un commento