https://www.youtube.com/watch?v=FOh8kpuQuy4
"....... I gradini della scala, adiacenti al cortile, appena fuori dall’unica stanza
della
casa
di campagna in cui era cresciuto e viveva in tenera età, erano il suo posto
preferito
quando, già da allora, veniva colto da quella inconsueta, frenetica,
laboriosità
creativa.
Si
rivide e ripensò con una lucidità forse mai maturata: quel bel bimbo, biondo
con
una macchia di ciuffi rossi appena sopra la nuca, con qualche lentiggine
qua
e là era già al lavoro: con i pochi attrezzi e materiali scovati nel magazzino
e
concessi dalle ristrettezze economiche della sua famiglia, stava costruendo
qualcosa.
Manovrava
gli attrezzi con disinvoltura.
Quando
pretendeva, per modellare meglio un dettaglio, un pò troppo dalla sua
poca
forza fisica, tanto da non riuscirci, si arrabbiava moltissimo, buttava a terra
un
arnese, scuoteva il capo nervosamente poi, dopo un attimo di sosta ed un
profondo
sospiro, riprendeva con ritrovata calma il suo da fare.
Si
scoprì in un sorriso a rivedersi: il sorriso del vecchio saggio e vissuto che
spia
un bimbo ovviamente un poco maldestro ma tenace e risoluto.
Seguì
il bimbo nella sua opera, in tutti i vari passaggi che ne determinavano la
realizzazione:
tagliare il pezzo di legno a giusta misura, raddrizzare a martello i
pochi
chiodi che aveva trovato, quasi tutti recuperati dal padre strappandoli con
la
tenaglia da chissà dove e, di conseguenza tutti almeno piegati su un lato,
segnare
con un moccolo di matita le posizioni sul pezzo di legno nel quale
doveva
conficcarli, …………
In
un tempo non superiore a qualche ora, il bimbo aveva costruito un
complesso
e potente fucile ad elastici con il quale avrebbe dato la caccia alle
galline
del cortile, accoppandone sicuramente almeno una.
Si
sarebbe guadagnato, in tal modo, una bella suonata e molti castighi dalla
madre
che, per ripagare la gallina al legittimo proprietario, avrebbe dovuto dar
fondo
alle pochissime risorse di un salvadanaio decisamente anoressico .
Aveva,
su per giù, cinque anni.
F perse di nuovo il sorriso perché di nuovo il bimbo ed il vecchio,
riunendosi
nel
compiacimento dell’opera compiuta, erano diventati lui, tutto ciò che era e
che
sarebbe sempre stato per sé e per gli altri.
Tornò
dentro alla stanza, si accese un’altra sigaretta e ritornò fuori all’aria
aperta:
era venuto il tempo di affrontarsi, di comprendere e accettare la sua
natura
per l’ultima volta: per raccontare ciò che aveva iniziato, nel migliore dei
modi,
era necessario.
Comportava
sicuramente un certo tempo ma a se stesso,doveva dire tutte le verità
importanti di sé,
su
di una lapide, lo sapeva, ma si doveva, finalmente, tutta la verità.
Rientrò
e proseguì.
Così,
oltre ai fucili, provvedeva, anche per i piccoli amici, a costruire pericolose
frecce
con la punta battuta e ribattuta con il martello, tale da risultare oltre che
molto
affilata, anche molto resistente.
Le
ricavava dalle aste metalliche degli ombrelli che sua madre assemblava a
cottimo.
Poi
era l’ora dei fischietti ottenuti dal tappo di ottone delle cartucce sparate
dai
cacciatori
che raccoglieva durante le lunghe passeggiate esplorative nei boschi,
e
le “cerbottane” costruite con i rarissimi tubi in plastica rubati nei pochi
cantieri
edili,
le costruzioni tridimensionali in carta da giornale incollata, che
riproducevano
fantasiose città con molti grattacieli, le barchette scavate nel
legno,
i contenitori di vetro per la raccolta, l’osservazione e la conservazione
degli
animaletti che avrebbe poi riciclato come merce di scambio con gli amici,
in
cambio di qualche soldatino di plastica.
L’anno
successivo, a sei anni quindi, scoprì qualcosa che lo distolse per molto
tempo da quelle frenesie creative ......."
Cosa faccio?
Continuo a costruire barchette, fischietti, città tridimensionali in
carta, immaginati sempre in un modo diverso.
Forse immaginando solo più di prima cose differenti, sguardi più
curiosi, scoprendomi sempre più lontano.
Dal comune sguardo.
Mai più fucili per sparare alle galline.
Solo semplice trasgressione, controllata.
Semplice incolmabile curiosità, forse semplice amore per la vita, quel
“troppo” che la vita mi ha dato.
Quel “troppo” che ho vissuto fino in fondo per molte vite, senza mai
aggrapparmi ad una di loro.
Quel “troppo” di cui tempo fa speravo solo la fine.
Non posso rinascere ma solo finire nel migliore dei modi.
La mia natura, la mia nascita.
Perché qualcuno mi ha tenuto qui, con il bene vero di saper
comprendere.
Un uomo buono, tra molti non cattivi.
Un semplice uomo che ha “capito” fino in fondo, un uomo che, come me,
ha incontrato la fine prima ancora che qualsiasi inizio.
Ha lottato per un'altra metamorfosi, ha sopportato tutto il mio dolore,
l’infinita rabbia della solitudine del mio pensiero, il tremendo di uscire da
quella “pelle”, per un'altra ancora, diversa, nuova.
Quindi vado avanti, accettando la difficoltà di un altro cambiamento.
Sperando di non incontrare buchi neri di energia, ma corpi radianti.
Non so se ce la farò, a dare il meglio del meglio di me.
Ci provo, vado avanti, con l’energia che ho.
Me lo devo, lo devo a chi mi ha tenuto qui, per i comuni intenti,
speranze.
Che mi ha fatto comprendere che più ancora che ad ogni altra cosa.
Lo devo alla vita.
Grazie.
FranzK.
“L’universo, l’infinito, non si può spiegare né comprendere, solo intuire e
rivelare”. (Schlegel).
Che vuol dire sentire e vivere.