https://www.youtube.com/watch?v=x8FTP1IgqBA
Non ha un nome la parte che accende la nostra vera energia,
che ne sprigiona tutte le particelle.
Non ha un viso, una provenienza, una residenza, una
nazionalità, una cultura, se non dentro noi.
L’indirizzo è dentro a noi, a quello che non sapremo mai di
noi, non come naufraghi, ma semplici timonieri.
Che cercano nel mare infinito di tutti le variabili di un
algoritmo senza conoscenza, la propria terra.
Quante interpolazioni servono per condurci a lei, quante
manovre, quanti venti e rotte da seguire.
E forse non sapremo mai se ne esiste una sola o molte
possibili, forse solo una nel meglio, molte possibili se dentro a noi non
troviamo prima quel “meglio di noi”.
Il meglio di noi, il meglio di un timoniere senza timori,
con il viso segnato dalle tempeste, che senza sosta e con motivata determinazione,
non stacca mai le mani né il cuore da quel timone, non si accontenta della
prima isola che scorge all'orizzonte.
Desidera la sua terra.
Perché, timonieri o naufraghi, non siamo nati per la solitudine,
anche se possiamo abituarci, comprometterci in lei.
Come possiamo comprometterci nella stanchezza di cercare
dentro noi, in quel mare in continua tempesta che è il nostro passaggio da qui,
possiamo cedere all'illusorio riposo della prima isola, del primo attracco.
Anche se non lo riconosciamo come nostro ma solo come un comodo
e riposante giaciglio, anche se lo sguardo continuerà a indagare orizzonti, e
il pensiero altre mete, senza più il coraggio di ripartire, di rischiare altri
venti, altre tempeste, altre sacche di ristagno d’ossigeno.
Lo chiamiamo amore, e non ne conosciamo la natura.
Scriviamo poesie, musica, trattati filologici, indaghiamo
interazioni chimiche, dipingiamo colori, vorremmo capire, senza mai prima
provare a capire noi, quello che sentiamo per noi come il meglio.
Senza la cognizione del meglio per noi ancora prima di un
meglio solo indicizzato dalla stereotipo, dalla consuetudine o dalle semplici apparenze.
Abitudini antropologiche, il mare ha una sua fine, meglio
una terra non tua, ma sicura, che il dirupo del nulla, là dove , senza dubbio
alcuno,le acque terminano il loro scorrere, ribollire, là dove i venti si
perdono nel silenzio senza più sibili del vuoto per sempre.
È difficile cambiare, cambiarsi, è tremendamente
destrutturante, perché è con il peggio che forse è necessario confrontarsi
prima di sapere della nostra giusta terra.
E il peggio per noi siamo noi.
È con noi, con noi stessi, soli davanti allo specchio delle
nostre introspezioni, che non governate da una ontologia certa né ben delineata
dall'esperienza sensoriale
epistemologica, viviamo il perenne tormento della convergenza di tutte le
nostre nature.
E non è il “da dove vengo, cosa faccio, dove vado”, ma forse
solo : “chi sono, cosa voglio”?
Come se la “necessità” del volere, non fosse interdipendente
dall'“obbligo” del sapere chi siamo prima di tutto.
La “non solitudine” basta a un naufrago, come un surrogato
dei sentimenti è sufficiente a sopravvivere.
A un timoniere non può bastare, lui cerca la sua terra, il
luogo metafisico dove può esistere la felicità, che quanto l’amore è solo una
parola se non ne percepisci l’essenza, al di là di qualsiasi esperienza
unicamente sensoriale.
La felicità, quanto un amore vero, è un evento “metafisico”
raro quanto rari sono i veri timonieri delle imbarcazioni che chiamiamo vite.
Timonieri coraggiosi, non impavidi, determinati, non folli.
E forse solo quando trovi “te”, la tua vera terra può
incontrarti, quanto vane risultano le ricerche “fisiche” o “logiche” nel
poterne trovare una.
La mia terra ha un volto, un identità, un indirizzo, un nome
e un cognome, ma è solo il contenitore dell’essenza del mio meglio, che non è
più solo, ma finalmente illuminato, acceso, e può esprimere tutta la sua
energia, tutti i giorni, in tutte le azioni, i pensieri, le opere di un mare finalmente
calmo.
Quel “mare” che incontrando la sua terra, il meglio di se,
può finalmente essere navigato senza naufragi, ma solo con infiniti, non più
soli, veri sentimenti, senza più sguardi verso altri orizzonti, pensieri verso
altre mete, senza più un “cuore” privato dalla percezione della “felicità”.
Ho navigato il mio mare come un timoniere.
Questa è la mia terra.
FranzK.
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